L’esperienza
Non ti fermare dai contrabbandieri di datteri,
nel pozzo trovi sabbia
anche se hai sete,
la mantide è divorata appena dopo l’amplesso,
crampi allo stomaco e piatti sporchi
lasciano i convitati andando via,
un retrogusto acido al palato
segue il morso alla melagrana,
lo scirocco può trascinare al largo,
il mare è fuoco per l’assetato,
tagliato male il vino della festa;
gli ambulanti è da ormai una settimana
che hanno sbaraccato, un ricordo
di catrame secco e gomma bruciata
al posto delle loro bancarelle
di bengala e perline colorate.
Maya
È bugiarda la nebbia,
le sue maestose architetture si sciolgono
contro la legge dell’alba;
c’è una Venezia addormentata nello sguardo di chi ama.
Il contrabbandiere sale da mare
sempre alla stessa ora, la sa più lunga di noi:
ci caschiamo ogni volta
che ci propone uno dei suoi vantaggiosi affari.
Ci distrae facilmente
l’improvvisa risata dei tendaggi
ma è un capriccio del vento; ci voltiamo
ai neon intermittenti, al loro minimo cenno.
C’è un volto offeso dal vaiolo, una periferia brulla,
dietro ogni porta
che non avemmo la cautela
di lasciare socchiusa.
Diari di Mandeville
Da ragazzi è perdonabile credere
alle carte geografiche di età precolombiana,
ci si lascia sedurre
dalle topografie immaginarie
avvistatrici di qualunque eldorado
e alla loro sconfinata bugia;
poi le leggende si strappano il trucco,
si entra in una nazione al congiuntivo:
e sei già adulto, impari
a menadito il numero assegnato
dall’anagrafe e lo sai ripetere
con tranquillità ai posti di blocco,
ti unisci alle facili ironie
sull’aria pura dell’alba che fa
sembrare dilatate le distanze e la strada,
sul bugiardo splendore
che per poco paesaggi e volti assumono
per effetto della rugiada
o per una neve fuori stagione.
Uomo di gesso
Modi e modi di sprecare la vita,
di rivoltare un guanto in cerca del suo strappo,
di perlustrare un letto dopo l’altro
i lunghi dormitori dell’errore,
di dare fondo per la giusta causa
alle proprie riserve di glicogeno,
di lasciare che senza essere colto
marcisca il frutto di testosterone,
di abbeverare le strade del proprio sudore;
ma il peggiore è senz’altro questo
esitare sul bordo
di uno stallo, tra un gesto e qualunque altro:
fingersi morti trattenendo il fiato,
galleggiare su lenzuola di calce,
aspettare che spiova
per uscire, rinviando ogni passo
per paura, né terraferma né oceano
ma stagno
(eppure è così squisito l’odore
dell’erba dopo una pioggia inattesa,
che riscatta il mondo e ogni suo errore).
Finzione cinematografica
Tanto è un gioco,
se la macchinina esce fuori pista e va in pezzi
o se ci è dato il ruolo
meno nobile della rappresentazione,
non prendertela troppo;
debolezza infantile
restarci male
nel caso troviamo già chiuso
il chiosco di torroncini e liquirizie,
dopo la corsa e i semafori passati col rosso
per arrivare entro le sette.
Antidoto alla pioggia nel cappello
dirsi che è solo un film,
come da piccoli
quando il leone ingiustamente moriva
per mano dei bracconieri,
nella scena finale.
Guglielmo Aprile
Guglielmo Aprile è nato a Napoli nel 1978. Attualmente vive e lavora a Verona. È stato autore di alcune raccolte di poesia, tra cui “Il dio che vaga col vento” (Puntoacapo, 2008), “Primavera indomabile danza” (Oedipus, 2014), “L’assedio di Famagosta” (Lietocolle, 2015), “Calypso” (Oedipus, 2016), “Il talento dell’equilibrista” (Ladolfi, 2018).
Versi di grande risonanza e senso profondo. Evocano condizioni e stati d’animo del nostro tempo.