Moltissima poesia che si fa oggi nelle località della villeggiatura poetica disseminate in Italia è una poesia “onesta”, una poesia turistica, si parla del corpo (proprio), delle relazioni amorose, delle relazioni topografiche o topologiche, di quelle toponomastiche, degli alberi, delle targhe delle automobili, delle gambe della Minetti nel migliore dei casi. Si tratta di una poesia «onesta», nel senso che ciascuno fa quello che può e che crede, ma l’onestà non basta a fare una poesia, così come l’onestà non basta a fare dei politici capaci, ci vuole qualcos’altro.
Oggi si fa poesia low cost, occorre un po’ di carburante e si crede che la poesia si faccia da sola, per virtù dello spirito santo. Questa del giovane Cosimo Russo, venuto meno anzi tempo, è appartiene al genere della poesia confessione, poesia diario, poesia di pensieri appuntati sulla carta con l’onestà e la genuinità della giovinezza, senza infingimenti, senza paludamenti, senza polinomi frastici, senza l’aiuto di vitamine iperproteiche. Per un giovane è il massimo che si può richiedere, è sufficiente in questa sede dichiarare l’onestà intellettuale di Russo che avrebbe potuto raggiungere alti traguardi se solo fosse restato tra di noi. Ecco, questo è un omaggio che voglio rendere ad un giovane che non è più. Forse sarebbe diventato davvero un poeta memorabile.
Esemplificando un po’ potremmo dire che c’è oggi in Occidente una poesia low cost che si può acquistare in ogni buon supermercato dello stile narrativo, in specie in epoche di saldi e compri tre paghi due: abbassando il registro stilistico, lo schema prosodico, espungendo le metafore, le metonimie, le anadiplosi, le catacresi, le anafore etc., desertificando la tradizione, succede che alla poesia non rimanga altro da fare che registrare il resoconto stenografico, cuocere il già cotto, contare le ubbìe della vita quotidiana: una sorta di cronachismo borderline del tipo: “al mattino quando si alza a mio marito gli puzza l’alito”, oppure una sorta di iperrealismo ingenuo del tipo: “fontana, finestra, albero, mare”. Si tratta di un vero e proprio deposito di «tecniche» a buon mercato ampiamente provate e assimilate dal corpo sociale della piccola comunità letteraria, e in tal senso queste tecniche sono ampiamente leggibili e digeribili. Queste poesie di Cosimo Russo fanno a meno di ricorrere ai tropi consunti della poesia di oggi, parlano dell’io e delle sue adiacenze. Russo è ancora al di qua della nuova poesia, ma avrebbe potuto benissimo inoltrarsi nella nuova poesia se fosse restato tra di noi e avesse avuto degli insegnamenti congrui. Il problema della costruzione di una «nuova» poesia richiede un investimento di pensiero molto più elevato e una gestazione molto più complessa che gli autori del minimalismo e dell’iperrealismo di oggi non si sognano neanche nella anticamera del cervello di tentare.
Oggi, sembra che le parole si siano raffreddate, se non ibernate, giungono sulla pagina già fredde e costipate dal genocidio delle parole vere. E così anche lo stile, nella poesia odierna non c’è nessuno sbalzo emotivo, nessuno stato emotivo, tutte le poesie sono integralmente assorbite nella linguisticità dello stile narrativo che non concede spazio alcuno ad alcuna emozione. La nuova linguisticità media delle giovani generazioni ha decapitato l’emotività dai testi poetici, e invece queste poesie di Cosimo Russo, nel loro disarmante darsi al lettore senza schermi né preconcetti, riescono in qualche modo a parlarci di emozioni e di emotività linguisticamente espresse.
Giorgio Linguaglossa
Adolescenza
Soprattutto se inalavo l’ansia dell’attesa
dalle prime ore del mattino,
quando all’appuntamento delle sette
le case rispondevano presente con il loro biancore
e corriere blu come il cielo
fagocitavano gemme di giovinezza
ammantato dal caldo raggio di sole sulla spalla
attendevo un professore allampanato e con occhi di talpa,
che prendeva posto al mio fianco,
discorreva di filosofi e letterati,
accendeva in quell’adolescente il sacro fuoco del sapere.
Il faro
A intermittenza il tunnel di luce scavato dal faro,
risucchiato dalla notte,
scavato dal faro
risucchiato dalla notte
chiama all’appello
le cose illuminate
e muta in attori
due comparse vaganti sul lungomare.
Guido Reni
In una giornata perfetta di maggio, sgombra del
traffico del mezzogiorno, nelle prime ore del pomeriggio
con mio fratello è capitato di vagare in
una città d’arte, camminando senza meta ci siamo
imbattuti in monumenti, piazze e chiese. Entrati
quasi per caso in un museo aperto, deserto se non
fosse stato per un vecchio custode che ci seguiva di
stanza in stanza, distaccato, ma anche complice,
ormai nostro compagno di viaggio da essere testimone
in fine del nostro stupore nel vedere un dipinto
di Giudo Reni raffigurante il Cristo in croce
senza più le sue novantotto piaghe e con le sembianze
di una giovane vergine.
In attesa
Non so, ma capitano giorni inutili come vasi rotti,
da solo non ce la faccio ad aiutarmi,
impantanato come sono,
le ore girano a vuoto,
se non ci fossi tu mio soccorso,
mio respiro
in mancanza del mio a soffiarmi nei polmoni.
La luna a volte
La luna a volte abbandona
il suo magistero
infilandosi in una guardiola
più in basso
più vicina alla terra
silenziosa
censisce i nuovi amori
conosce dalla nostra sorte
la morte.
Mia madre oziava
Mia madre oziava
dietro fornelli incandescenti,
ripeteva ad alta voce
Dante
la sera prima degli esami,
intonava le grazie del Paradiso
e le miserie dell’Inferno,
nella stanza del Purgatorio,
illuminata dalla luce gelida del neon,
si sentiva il ribollire del pesce
e il suo profumo intenso
è stato l’odore della mia infanzia.
Partenza
Le partenze hanno sempre qualcosa di rituale
si va su e giù
per le banchine
sotto le pensiline delle stazioni
a controllare gli orari
o a guardare migliaia di girini
che pullulano nelle vasche delle fontane,
si sale poi sui treni
ma i cari luoghi che vedi dal finestrino allontanarsi
sono sempre lì ad aspettarti.
Cosimo Russo
c’è grazia in queste poesie, un respiro libero, e concordo con il commento critico