Cinque poesie di Roberta Dapunt da “Le beatitudini della malattia”, Einaudi – 2013

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Nelle mani a volte il tuo corpo,
corolla appassita tra le guance e l’estremo delle dita.
Mai più l’adolescente primavera,
sussurriamo: mai fu tanto abbracciata la vita.
Eppure non invecchia la solitudine
e di nuovo la neve.

 

delle parole e del gioco

Unità non è il verso ma la parola
condizione di ciò che è accordo
e come tale, compie il suono e la grafia,
così che dall’informe pensare vengono incontro a volte
espressioni acute da sentirle perfino odorare
e senti esalare dentro alla stanza il grigio muffoso
del rimanere inutile. Sterile trovarsi e la mani al sonno,
l’aroma di vite bevuta e i compagni,
ognuno a dissetare solitudini tacite.
Confessioni del nulla parlare e il niente,
e ancora di spazi serrati, gli introversi pensieri
ed è ancora più forte l’odore imbrogliato, confuso
ardire e l’innocua codardia del dire.

Trovare dunque il dire giuste parole, parole per dire
tra i versi, unità unica in essi è arrivare
a sentirne gli odori. Appunto.

 

locuzioni amare

Sono nella tua demenza il potere e la direzione,
l’autorità e la volontà egemonica.
Sono l’ordine di ogni tuo movimento,
del tuo viso lavato, del fazzoletto che tieni in tasca.
Sono la testa, la guida alla tua ubbidienza. E sono
il precetto quotidiano e la regola di condotta.
L’impero dentro al quale trascorri l’esistenza.

*

Mai vedremo oltre. Ma tu la rugiada negli occhi.
Rendi libero il corpo in mezzo ai fiori raccolti nell’orto.
Non sono le frasi di conforto, non loro a sostenere,
non sono le preghiere, non loro a persuadere.

*

Non ci sarà descrizione delle cose vedute,
mentre fuori le visibili stelle,
riusciremo ad affondare questa attesa,
ma per ora non perderti dall’altra parte.

Roberta Dapunt

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