Ciò che resta al fondo della questione stilistica nella poesia di Luciana Vasile è la narratività, lo specchio opaco dell’«io» poetico, il calco mimetico che ha preso il modello narrativo ad icona della propria procedura. Luciana Vasile accetta l’io narrante, posiziona i linguaggi allo stato di radura narrativa, li riposiziona in «uno spazio interiore come prima e unica palestra» dell’io narrante con il risultato di ritrovarsi tra le mani un continente magmatico, «le emozioni e i sentimenti che attivano l’intelligenza del cuore», di qui si apre la via che conduce a «Eros, Filìa, Agape» che rappresentano le tre sezioni in cui è diviso il libro. Il medium narrativo si nutre di una metricità/narratività diffuse, una koiné linguistica che, un tempo lontano nel lontano Novecento, a monte e a valle aveva il retroterra di un linguaggio poetico frutto di una convenzione, di un patto, di un concordato, insomma, di una contratto-tregua tra i linguaggi poetici. Voglio dire che anche la neoavanguardia si muoveva in una direzione certa: la messa in discussione degli altri canoni poetici e della tradizione post-ermetica; oggi invece non c’è più alcun canone da mettere in discussione, tutti i canoni convivono e non collidono affatto, non c’è più attrito tra i registri semantici e lessicali nella poesia odierna. La traiettoria lungo la quale si muove questo libro, oltre ad essere chiaramente indicata, è anche volutamente «tradita» dall’autrice la quale marca, a suo vantaggio un punto importante, che accetta la poesia di impianto privatistico. Ed è perfino ovvio che, a monte e a valle, cioè ai giorni nostri, il discorso poetico della poetessa romana non può non ricalcare, nella sua struttura formale-linguistica, la crisi di identità dell’io narrante.
Giorgio Linguaglossa
Sul parapetto il ventre schiacciato
Sul parapetto il ventre schiacciato
solido il tuo corpo da dietro aderiva
mi avvolgeva. Coperta di gioia. Mantello di vita
Nuovo, in fiume scorreva per noi
Complice di amanti il ponentino soffiava
strisciava sul pelo dell’acqua
spezzando la figura di luce sdraiata
di alti lampioni, sentinelle di giorni preziosi
alla ricerca di un senso, di un dove
Scomponeva e ricomponeva
bagliore vivo di anime intersecate
di emozione tremule
che si specchiavano nella condensa
della magica notte nella nostra estate romana
Poi, sono partita
ora qui, nel rovescio del mondo
questa volta, non sono più sola
il tropico bolle. Il vento corre altrove
fende impetuoso i duri sentieri
solleva la polvere delle miserie
scompiglia assetato di bene, i pensieri
Ascolti con me, nell’alba che nulla promette
i galli che gridano le disgrazie di un popolo
per il quale a volte, sembra quasi, migliore la morte
Dividi con me, le strade sterrate
i sobbalzi del carro, le lunghe mattine assolate
Su volti rassegnati e rugosi, insieme leggiamo
i perché ed i come di una vita di stenti
offerti nel canto sincero che dal punto più basso
raggiunge la fine del cielo
Insieme, aiutare sarà forse più facile?
Insieme, faremo qualcosa per loro?
Insieme, sapremo moltiplicare l’amore
incontrare altri amici, continuare in un coro?
stringi la mia mano, camminami accanto
e non solo nei battiti vivaci del cuore
la felicità detiene un primato
solo si tocca… se si costruisce
comincia dall’uno, dal poco
È il tutto che posso, il poco che ho
El borracho
Grigio giaceva il corpo magro
di un misero pupazzo inanimato
erano le membra rigide infilate
come segmenti fragili e sottili
di una collana umana abbandonata
e senza dignità
Un paio di braghe luride sbucavano
sotto i brandelli di una maglietta
Armani, firmata nel mondo ricco
poi consumata e regalata in uno slancio
di generosità
Disordinati gli arti
sul cemento di quella osteria buia all’equatore
battevano al ritmo dell’urlo disperato
che cantava se stesso dalle labbra
di una bocca bavosa e sgangherata
che puzzava di guaro e povertà
Un uomo grasso e laido
rappresentante della buona e giusta società
lo sollevò per una mano e un piede
lo trascinò
inerme lo lasciò nel fango
davanti al Municipio
e a quel Parque Central
Uno scroscio d’acqua si accanì
la pioggia tropicale e rumorosa
che non lava le colpe
della ferocia silenziosa
di questa indifferente umanità
Inutile e così falsa è la pietà
ci condanna l’ipocrisia delle parole
sbandierate dalle comodità
Non possiamo FARE noi, niente
per lui?
per quel mondo?
per quella dimenticata innocente umanità?
Luciana Vasile
Luciana Vasile è nata a Roma e fa l’architetto. Per il verso del pelo è il suo primo romanzo, del 2006 Editrice Nuovi Autori di Milano; ha ottenuto riconoscimenti in otto Premi Letterari. È presente in Lo sguardo senza volto 11 poeti del disincanto, 2008 Fermenti Editrice, volume antologico, a cura di Donato Di Stasi. Danzadelsé – Ho ballato per Paparone e altre storie, 2012 Prospettiva Editrice.