
Paul Klee, Munchenbuchsee, 18 dicembre 1879 – Muralto, 29 giugno 1940
La data, la mancanza di colore, che solitamente non caratterizza la sua produzione artistica e non solo la problematica immagine sono estremamente importanti per entrare nel cuore della rappresentazione pittorica e nella psicologia di Paul Klee. L’artista era ormai quasi sessantenne, (morirà due anni dopo) aveva già compiuto le sue giovanili esperienze pittoriche nel gruppo del Cavaliere Azzurro, con Macke, Marc e Kandinskij, fatto i suoi viaggi favolosi in Tunisia, alla scoperta della luce e del colore, ( “Questo è il momento più felice della mia vita….il colore e io siamo una cosa sola: sono pittore”), aveva partecipato alla prima guerra mondiale, e insegnato dal 1920 al Bauhaus di Weimar. Nel 1933 fu costretto dal regime nazista alle dimissioni dall’ Accademia di Düsseldorf, poiché il regime giudicava la sua produzione, insieme a quella degli artisti a lui contemporanei e vicini d’esperienza, come “arte degenerata”. Lasciò così la Germania per trasferirsi nuovamente a Berna, nella città natale svizzera. Si fece coraggio per apprezzare “la villeggiatura” non richiesta. Scelse nei suoi ultimi anni le luci della Svizzera meridionale, i colori del lago presso Locarno. Lo caratterizzava una grande saggezza che proveniva da letture di filosofi, come quelle di Nietzsche e di Schopenhauer, che lo convincono che l’arte è operazione altamente complessa, comunicazione intersoggettiva non mediata dal riferimento alla natura o al linguaggio comune dell’artista che emette il messaggio e del fruitore che lo riceve. Non esiste per lui una diversità di livello tra comunicazione normale ed estetica, poiché, ne è convinto, ogni comunicazione veramente tale è per immagini, ossia estetica. Già dal 1915 del resto Klee sapeva che “ più il mondo si fa terribile…più l’arte si fa astratta, un mondo felice provocherebbe arte immanente”. Il problema filosofico si pone nell’immagine, poiché lui sa che dallo stato puro l’immagine deve essere comunicata oggettivandola, ma in questa ardua complessa operazione il soggettivo non lo si rivela, ma lo si distrugge. Non si possono isolare gli oggetti, le cose esterne dal flusso storico della loro esistenza. L’immagine può avere mille significati o nessuno. È certamente la rappresentazione di un evento, ma costituisce un problema che ciascuno risolverà a suo modo, quindi rimarrà un problema. Pensieri difficili. Da meditare e ripensare. Nondimeno i disegni di Klee non costruiscono un percorso regressivo verso le forme arcaiche, ma sono un approdo antropologico nella sua ricerca delle percezione immaginale del primo istante, della scintilla dell’origine. Klee sostiene insomma che l’arte debba rendere visibile l’invisibile. Quindi non deve scontornare, dal tutto, sottraendone il nuovo, ma far vedere quel che l’occhio non ha potuto imprimere in forma segnica: in altre parole, compie un lavoro di integrazione e non di sottrazione. Quando è costretto a lasciare la Germania, all’avvento di Hitler, Klee ha pochi ammiratori. Sembra che la pittura non sia il suo destino, ma il crogiuolo più adatto ad accogliere la sua attitudine filosofica ed estetica a comporre e scomporre, avendone una restituzione immediata e tangibile.
Il quadro Alphabet 1 da cui siamo partiti, è del 1938, dipinto quindi alla vigilia della seconda guerra mondiale, quando ormai il pittore, malato, ha compiuto la maggior parte delle sue esperienze pittoriche e scritto sia le sue opere teoriche più importanti che i suoi Diari e le sue Poesie. A un primo sguardo quell’Alphabet 1 è spiazzante: un foglio di giornale sul quale Klee con pennello grasso, nero, ha tracciato disegni, simboli, lettere difficilmente interpretabili, una grande O a mezzo il foglio circa, o forse uno zero. Ha creato un disordinato insieme di lettere e misteriosi geroglifici impressi con “inchiostro nero pastoso”. Il foglio, che diventa parte integrante del quadro, è la pagina 13, quella sportiva, della National Zeitung di Zurigo, sulla quale campeggia il resoconto della finale della Coppa svizzera di calcio, appena disputata, e terminata incredibilmente con un pareggio, fra il Grasshoppers e il Servette e porta la data del 19 aprile. La O, tracciata dal pittore sulla formazione del Servette, copre parzialmente il nome di un famoso calciatore del tempo, la mezzala Gènia Walacek, amputandolo delle prime lettere. Non ha ancora 22 anni alla data del quadro questo or dimenticato calciatore, quando nel ’38 i calciatori svizzeri si incontrano nella finale di Coppa contro la Germania nazista. Un avvenimento storico. Come avranno fatto questi svizzeri mai troppo sportivi a battere la grande e ambiziosa Germania di Hitler? Questo l’interrogativo che un romanzesco Autore, Giovanni Orelli, si pone nel bel romanzo Il sogno di Walacek (ed. Einaudi), dove tenta di dare spazio non solo a una ricerca-evocazione di personaggi piccoli e grandi, gente comune e filosofi, ma addensa le sue meditazioni al grande tema storico del nazismo ( siamo alla vigilia della guerra) e sui sogni individuali e collettivi di un calciatore destinato ad essere inevitabilmente dimenticato. Che vuol significare quell’ O che campeggia a mezzo il quadro e taglia il nome del calciatore? “Interpretare una O è come interpretare una nota per tromba, che uscisse, isolata, nella solitudine di una campagna, da un concerto per tromba,…. Un poco discosta dal luogo dove aveva catapultato la sua fulminea o, aveva indicato una timida H, ma forse non era una H… o invece un teatro circolare, a pianta centrale, luogo della dimenticanza, del vuoto, della disponibilità, Klee voleva forse disegnare un circo…?” le ipotesi si possono moltiplicare all’infinito. …“la O di Klee forse era un < o lungo e roco>: quello che sale dagli stadi , quando il pallone.. va velocemente oltre la barriera dei difensori… – poteva essere l’ovale idea ordinata di cosmo,.. il cosmo formale, dice Klee ai suoi scolari del Bahuhaus, mostra tali somiglianze con la creazione, che basta un soffio per attuare l’espressione del religioso, la religione….”… “O è una cornice di uno specchio senza specchio? La coronatura di un pozzo senza più pozzo? Un pozzo nero?, gorgo, <abisso orrido immenso>…o era l’O dell’orrore, del fuoco? Dell’insondabile?” Forse davvero significa tutto, tenendo presente la data, la circostanza sportiva, il calciatore, naturalizzato svizzero ma nato in Russia, fortunosamente portato ai nonni residenti nel territorio, che si erano finti genitori…. E le ceneri di Paul Klee, riportate alla vedova su un traballante furgoncino da un inconsapevole autista dopo che i giornali svizzeri non avevano neanche dato notizia della morte del pittore, suggellano senza patetismi l’ insignificanza dell’ arte di fronte ai delitti della storia.
Maria Grazia Ferraris