Se la raccolta Sopra la terra nera (2010) portava una epigrafe di Leonardo Sinisgalli («la luce era gridata a perdifiato / la sera che il sole basso / arrossava il petto delle rondini a sera»), la successiva raccolta Tra cielo e volto (2013) già nel suo componimento d’apertura: «Sono Adamo. / Non ho ombra che mi veli. / Non ti intralci la mia naturalezza / accomodati.» era una implicita dedica a Raffaele Carrieri. Scriveva Ravegnani nel 1961: «Quando incontro Raffaele Carrieri mi pare di toccare un filo elettrico…». E lo stesso Carrieri in un suo brogliaccio di consigli ad un giovane poeta così si esprimeva: «in una poesia il grado di calore di umidità di tensione e di verità è assai più importante della preparazione filosofica e filologica dell’autore». Dunque la «naturalezza», la quasi visceralità, la predilezione per i versi brevi è ciò che contraddistingue la poesia di Luciano Nota e la apparenta a quella di Carrieri. Si pensi ad uno dei primi componimenti di Carrieri, Attesa di niente in Lamento del gabelliere (1945): «La luce non mi è stata compagna / sulla terra né l’acqua sorella. / L’affabile acqua piovana / che materna addormenta / il vecchio gabelliere / e la giovane rana. / Avrei voluto chiudere il cielo / come una semplice porta / per restare una giornata / acquattato nell’erba / in attesa di niente». Se il tema di Tra cielo e volto era il rapporto tra il paesaggio (le Dolomiti lucane e il Carso) e la persona (l’io e il suo doppio: leggansi le composizioni: Volto, Pierrot, e soprattutto Dalle perle che cadono dal cielo, che significativamente si conclude: «Punto dritto al maldestro / all’inetto, al resto»), con particolare attenzione al motivo della madre a cui lo lega una «stessa scioltezza di cuore, stessa pienezza di affetti» (i titoli più significativi sono 25 agosto, Inverno e, soprattutto, Le anziane lucane. Il motivo dell’ultima raccolta), quello di La luce delle crepe (2016) è ancora la terra materna («La mia terra è ciò che incide / duramente il dorso / e nel petto si stagna, / e non sarà mai spina, / ma cima». Non a caso l’epigrafe della raccolta è esplicitamente una poesia di Carrieri «Il vento ci somiglia» che fa parte della raccolta Il trovatore (1953): «Il vento ci somiglia/ e pure l’eco / dentro la conchiglia / che rimormora lo spreco / delle maree». Dicevamo della naturalezza, della visceralità e non a caso la sezione delle poesie d’amore è introdotta dai versi di Catullo: «Odi et amo…». Dicevamo ancora della brevità e sicuramente uno dei componimenti cardine della raccolta è intitolato «Brevità»:
Assomiglio più a te
e che questo sia vero
lo dice la tua presenza
sulla tavola da pranzo
dove al posto del piatto
tu ci posi una parola.
Che questa non sia piena
francamente poco importa.
I miei palazzi sono alti
le tue vetrate sempre scure.
Coraggio quindi
mettiamoci le scarpe
e andiamo.
Ti chiedo solo questo:
non seguirmi come al solito
non metterti più a nudo
(è facile pensare che tu sia
la mia coscienza).
E ti raccomando
non svanirmi al primo sciopero del sole.
Siamo entrambi verità
la brevità di chi ha parvenza.
Sabino Caronia
.
Emergono con intensità due temi che costituiscono- mi sembra- la specificità del dire poetico di L. Nota: la brevità e la parola, l’una-l’ideale cui tendere-, l’altra –lo strumento di comunicazione e di uscita dal soliloquio- da lui ricercati, testimoniati ed espressi in modo raffinato, in modo asciutto, distaccato, inusuale.
“la tavola . ..dove al posto del piatto / tu ci posi una parola..” : dire senza enfasi, attento, autocritico e meditativo “Che questa non sia piena/francamente poco importa.”
Si tratta di un viaggio e una conquista nell’invito partecipe: “mettiamoci le scarpe/ e andiamo.”
La parola poetica trasfigurata, per quanto quotidiana, va conquistata; la parola: un corpo a corpo, facile all’abbandono, facile di perdita di consistenza, eppure verità.
La poesia di Lucuiano Nota ha un tale spessore linguistico che taluni versi mettono i brividi per la capacita’ di attraversare la pelle. La sua poiesia non si accontenta di raggiungerci, ci avvolge.
L’uomo e la sua poesia : “Siamo entrambi verità / la brevità di chi ha parvenza”. Dice bene Roberto Taioli: siamo “avvolti” e sconvolti da questo poetare che in soli due brevi versi ci dichiara una doppia verità metafisica – quella dell’uomo colto nella sua quotidianità – “mettiamoci le scarpe” – e quella della parola poetica posta “sulla tavola da pranzo” come necessario nutrimento spirituale. Ma ci dichiara anche la doppia, consustanziale, terribile caducità di tutto ciò che ha “parvenza”. Uomo e poesia compresi. L’effimero e l’eterno vanno in cortocircuito qui e ora, dentro e fuori di noi.
L’ha ribloggato su Paolo Ottaviani's Weblog.