La basilica di Santa Sofia oltre ad essere l’edificio più importante e famoso di Istanbul, è uno dei più grandi esempi superstiti di architettura bizantina. L’edificio che oggi possiamo vedere è la terza basilica costruita in questo luogo. L’imperatore Costantino nel 325, anno del concilio di Nicea (presieduto dallo stesso Costantino) aveva voluto l’edificazione di una chiesa maestosa dedicata alla Divina Sapienza dove un tempo sorgevano dei templi pagani. L’inaugurazione di quell’edificio avvenne però solo sul finire del IV secolo, esattamente il 15 febbraio 360, quando Costantino era ormai morto da più di vent’anni, ma dopo poco tempo, nel 404, la chiesa andò in buona parte distrutta a causa di un incendio appiccato per ragioni politico-religiose. Ricostruita da Teodosio II nel 415, Santa Sofia viene nuovamente distrutta dal fuoco nel 532 a causa della «rivolta della Nika», durante il regno di Giustiniano. Santa Sofia risorge nell’ambito del programma di rinnovamento urbano giustinianeo fatto da una lunga serie di interventi tra cui la nuova Santa Sofia, la ricostruzione della ecclesia antiqua di Santa Irene e in quella della chiesa-mausoleo imperiale dei Dodici Apostoli ed il rifacimento o la fondazione di una trentina di altri edifici religiosi. Un progetto audace di due geniali architetti, provenienti dall’Asia Minore quali Antemio di Tralles e Isidoro di Mileto, vede la combinazione di pianta longitudinale e pianta centrale, schema basilicale e schema a doppio involucro, un’immensa cupola centrale del diametro di 32 metri, due semicupole sulle campate orientale e occidentale, quattro minori in corrispondenza delle esedre. Il risultato, raggiunto con l’impiego di diecimila operai guidati da cento capimastri e cinque anni di lavoro, è una spazialità interna complessa e dilatata che crea un effetto inatteso, ineffabile, “dove l’armonia delle proporzioni è aperta metafora della suprema Divina Armonia e la luce fulgente è quella stessa della Divina Sapienza, la Hagia Sophia, che illumina le menti dell’imperatore e del patriarca che vi si incontrano. Lo spazio assume valenza cerimoniale e simbolica, diventa luogo architettonico deputato a rappresentare il rapporto fra la divinità e l’imperatore isapostolos, eguale agli apostoli. L’aspetto esteriore dell’edificio venne lasciato relativamente spoglio e comunque severo. Il messaggio architettonico rivolto alla capitale, infatti, risulta affidato alla smisurata cupola che dall’alto sovrasta il resto della città, divenendo nuovo centro del paesaggio della metropoli” (Ennio Concina). Dal punto di vista puramente progettuale la sfida della cupola era vinta grazie agli ingegnosi accorgimenti impiegati; a tradire le ambizioni dei costruttori fu l’instabilità del suolo tipica dell’intera regione. Poco più di vent’anni dopo il completamento della costruzione, nel 559, alcune scosse di terremoto fecero collassare la grande cupola. Nuovamente venne ricostruita usando tecniche ancora più sofisticate e si costruirono poderosi contrafforti di sostegno esterni, molto più robusti di quelli che sorreggono le pareti delle cattedrali gotiche. La notte di Natale del 563, Giustiniano, giunto ormai alla fine del suo regno, inaugurò per la seconda volta la basilica. Le disavventure di Santa Sofia non erano però terminate: nel 989 ci fu un ulteriore crollo e una nuova riedificazione, nel 1204 l’intero tempio subì l’oltraggio dei crociati che lo spogliarono di tutti gli arredi e gli oggetti preziosi arrivando a strappare i rilievi dalle pareti, dopo il 1453 Maometto II, detto «il Conquistatore», la trasformò in una moschea, nel 1933 Kemal Atatiirk, padre della Turchia Repubblicana ne ha fatto il museo che oggi si può visitare.
Osip Mandel’štam dedica alla basilica giustinianea una lirica inserita nel suo primo libro di poesie, Kamen (La pietra) che viene pubblicato la prima volta per le edizioni «Akmè» nel marzo 1913 a Pietroburgo. Il titolo stesso della raccolta sottolinea la volontà del giovane Mandel’štam di affermare i tratti di concretezza e chiarezza del fare poesia: una costruzione verbale da realizzare in modo simile al progetto di un architetto e al cesello di un artigiano. Mandel’štam usciva da un’esperienza giovanile in ambito simbolista e da una meditazione sofferta sull’origine del mondo e della natura. A tutto questo si combinava l’idea di una costruzione poetica pietra su pietra e di una cultura quale conquista grandiosa e insieme fragile, sotto la minaccia dei cataclismi, del caos e del tempo.
Fabrizio Milanese
HAGIA SOPHIA
Hagia Sophia, qui destinò il Signore
popoli e re a fermarsi. Ché dal cielo
la tua cupola (dice un testimone)
pende come fissata a una catena.
E ai secoli diede esempio Giustiniano,
quando Artemide Efesia, per degli dèi stranieri,
accettò di lasciarsi carpire il verde marmo
di centosette delle sue colonne.
Ma che pensava il generoso artefice,
quando, sublime d’anima e talento,
in te dispose le absidi e le esedre,
additandogli oriente ed occidente?
Bello il tempio in un liquido universo,
un trionfo di luce le quaranta finestre,
e sulle vele ai piedi della cupola
beffi più d’ogni cosa — quattro arcangeli.
E quel sapiente, sferico edificio
oltre popoli ed ere avrà futuro,
e il singhiozzo alto dei serafini
non curverà le ombrose dorature.
Osip Mandel’štam (traduzione di Remo Faccani)
L’ha ribloggato su Paolo Ottaviani's Weblog.