Tre poesie di Juan Ramón Jiménez, a cura di Fabrizio Milanese

 

 

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Juan Ramòn Jiménez – PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 1956

Juan Ramòn Jiménez nasce il 24 dicembre 1881 a Moguer, in provincia di Huelva in Andalusia; paese dove, secondo la tradizione, soggiornò Cristoforo Colombo alla vigilia della grande avventura americana. Figlio di Víctor Jiménez, un facoltoso produttore e commerciante di vini segue i primi studi in un collegio di gesuiti Puerto Santa Maria presso Cadice per poi spostarsi a Siviglia e studiare legge per adempiere alla volontà paterna. Spesso ritorna a Moguer, a riattingere forze dalla terra, dove “s’alza l’albero dalla vasta fronda e dalla grande ombra”, che nella visione successiva rappresenterà l’infanzia, il passato e la poesia stessa. A cavallo tra i due secoli, inizia la sua carriera poetica, con i primi versi inviati alle riviste ed un viaggio a Madrid, dove conosce Rubén Dario. Rientra a Moguer per la morte del padre ed intraprende un viaggio in Svizzera e a Bordeaux. Di nuovo a Madrid coltiva l’amicizia con Unamuno, Machado, Ortega, e i più giovani Lorca, Alberti, Dalì. Qui conosce anche Zenobia Camprubi, la sola donna della sua vita, e nel 1916 s’imbarca per New York dove la sposerà. Risalgono a questi anni le poesie scelte Convalescenza dalla raccolta Estío del 1916 ed Oasi e Notturno (dedicata ad Antonio Machado) dalla raccolta Diario de poeta y mar  del 1917. Dal 1917 al 1936 Jiménez non lascerà più Madrid e lo farà solamente in seguito alla guerra civile partendo dapprima per il Portorico per poi raggiungere Cuba e gli Stati Uniti dando conferenze e tenendo corsi nella Carolina, nel Maryland ed a Washington. Ormai giunto ad una fama mondiale si reca in Argentina, in Uruguay, invitato da Università e associazioni culturali. In questa sorta di esilio la sua natura difficile e solitaria s’è fatta d’una sensibilità dolorosa. Si lamenta delle città americane: «questi paesi senza piazza… »; Il destino lo spinge ancora a Portorico, dove nel dicembre del 1956, poco prima della morte che avverrà 29 maggio 1958, lo colgono gli avvenimenti estremi della sua vita: la morte dell’amata Zenobia, ed il premio Nobel per la Letteratura.

 

CONVALESCENZA

Solo tu mi sei accanto, sole amico.
Come un cane di luce, lambisci il letto bianco;
e io perdo la mia mano entro il tuo pelo d’oro,
vinta dalla stanchezza.

Quante cose che furono
vanno via… ancora più lontano!
Taccio
e sorrido, come un
bimbo, mentre tu, buono, mi lambisci.

… Di colpo, sole, t’ergi,
guardia fedele della mia disfatta,
e con grida ardenti e pazze
abbai ai vani fantasmi
che, mute ombre, mi minacciano
dal deserto del tramonto.

CONVALECENCIA

Sólo tú me acompañas, so! amigo.
Como un perro de luz, lames mi lecho blanco;
y yo pierdo mi mano por tu pelo de oro,
caída de cansancio.

¡Qué de cosas que fueron
se van… más lejos todavía!
Callo
y sonrío, igual que un niño,
dejándome lamer de ti, sol manso.

De pronto, sol, te yergues,
flel guardián de mi fracaso,
y, en una algarabía ardiente y loca,
ladras a los fantasmas vanos
que, mudas sombras, me amenazan
desde el desierto del ocaso.

 

OASI

Rumore senza voci!,
sole senz’astro!,
ah che allegria triste!,
che popoloso deserto senz’ombra!

… L’albero solo dell’anima cresce
veloce, e con le sue fronde ideali
custodisce ogni cosa;
e il suo silenzio umido
spiega sopra il deserto
arido e popoloso
una campagna, nido eterno
di solitudine, pace e dolcezza.

OASIS

¡Qué ruido sin voces!,
¡qué sol sin astro!,
¡ay, qué alegría triste!,
¡qué desierto tan lleno y tan sin sombra!

… Y el árbol solo de mi alma crece
raudo, y con sus ramajes ideales
lo va guardando todo;
y su silencio húmedo
tiende sobre el desierto seco
y lleno todo,
un campo, nido eterno
de soledad, de paz y de dulzura.

 

NOTTURNO
                                                          A Antonio Machado

… È la celeste geometria
d’un astronomo vecchio
sopra la città alta — torri nere,
sottili, brevi, fine di quel nostro… —

Come se, da una terrazza estrema,
se ne stesse a guardare
l’astrologo.

Son segni
esatti — fuochi e tinte —
con un segreto umile, dissolto
in un’aria diafana
di azzurra e fonda trasparenza.

Che brillii, che minacce,
quali fissità e auguri,
nell’imminenza certa
della verità strana! Anatomia
del cielo, col sapere
della funzione, in se stessa e per noi!

— Un grido acuto, immenso e solo, come
stella errante. —
… Quanto siamo lontani
adesso da quei noi,
da quella primavera di iersera
— laggiù in Washington Square, tranquilla e dolce —,
da quei sogni, da quell’amore nostri!

NOCTURNO
                                                 A Antonio Machado

… Es la celeste jeometria
de un astró
nomo viejo sobre la ciudad alta — torres
negras, finas, pequeñas, fin de aquello… —

Como si, de un mirador último,
lo estuviera mirando
el astrólogo.

Signos
esactos — fuegos y colores —
con su secreto bajo y desprendido
en diáfana atmósfera
de azul y honda trasparencia.

¡Qué brillos, qué amenazas,
qué fijezas, qué augurios,
en la inminencia cierta
de la estraña verdad! Anatomia
del cielo, con la ciencia
de la función en sí y para nosotros!

— Un grito agudo, inmenso y solo,
como una estrella errante. — …
¡Cuán lejanos
ya de aquellos nosotros,
de aquella primavera de ayer tarde
— en Washington Square, tranquila y dulce —,
de aquellos suefios y de aquel amor!

Juan Ramón Jiménez (traduzione di Francesco Tentori Montalto)

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