“Crivu”di Patrizia Sardisco, Plumelia Edizioni – 2016, letto da Maria Grazia Di Biagio

crivu1La silloge Crivu, che nella parlata di Monreale significa Setaccio, arriva alle stampe dopo una selezione che la vede vincitrice del I° premio nella sezione opere inedite in lingua siciliana del 42° Premio Internazionale “Città di Marineo”. L’opera, composta da 30 liriche vergate in uno stile asciutto e denso, è incentrata sul tema della fatica di esistere che, per il poeta, è tutt’uno con la fatica di scrivere. Inusuale, per i canoni della poesia dialettale , legata per lo più ai temi della satira politica (dai Risorgimentali al Mistero Buffo di Dario Fo) o della rimembranza – nostalgia (come in Tonino Guerra o Pasolini). In Crivu, Patrizia Sardisco rompe gli schemi pregressi elevando il proprio dialetto alla dignità di lingua madre , si serve magistralmente di quella valenza straordinaria che è propria del lessico dialettale, per infondere nel verso tutta la potenza di significanti permeati da secoli di storia, dove ancora vibrano il suono dell’onomatopea originario e la traccia delle incursioni straniere. Non vi sono riferimenti al luogo geografico, e quei rari elementi riferiti al mondo rurale sono strumentali alla fusione – identificazione tra paesaggio, corpo e sentimento. E’ un linguaggio affilato, quello della Sardisco, che arriva dritto al nòcciolo attraverso figure metaforiche e procedimenti analogici propri della poesia dei maestri moderni da Quasimodo fino, e direi soprattutto, a Zanzotto, del quale in più punti si avvertono vibrazioni, nella tensione alla poesia come “suprema proposta qualitativa”, nella ricerca dell’autenticità situata in quel momento dell’infanzia in cui realtà e linguaggio coincidono, nello slancio “Vocativo” a quel “Chiarore acido che tessi / i bruciori d’inferno/ […] chiarore-uovo / che nel morente muco fai parole / e amori”. In quest’epoca sovrabbondante di voci poetiche, Patrizia si pone in contro tendenza, con il fare schivo di chi sente tutta la responsabilità che lo scrivere poesia comporta. “I poeti lavorano di notte”, scriveva Alda Merini, perché scrivere non è un mestiere né un diletto, ma una vocazione alla quale spesso la poeta non vorrebbe rispondere. E’ la pietra tagliente che non passa dal setaccio e lacera la lingua del poeta.
E’ fatica, lo scrivere, toglie le ore al sonno:
#22
[…]
u scriviri è nuttata e lanza feli
senza nudda prudenza scricchia l’ossa
e dici senza mancu pipitari

scrivere è notte e vomita fiele / senza alcuna prudenza rompe le ossa / e dice senza nemmeno aprir bocca

Il discorso poetico di Patrizia è un dialogo sommesso , quasi una confidenza fatta con pudore, con l’umiltà che rende incantevole la bellezza autentica, nuda e semplice. E’, come direbbe Quasimodo, la “rivelazione di un sentimento” che il lettore accoglie con la stessa umiltà con cui le è stato donato e, “lo riconosce come proprio”.

#1
cocci ‘i luci c’abballa
e s’accumenci di ddocu
po’ riri nzoccu e gghié

a vita rura
fin’a quannu cci susci
mentr’ancora t’abbrucia

a vuci crura
canta papuli papuli

la favilla che danza / e se cominci da qui / puoi dire qualsiasi cosa // la vita dura / fin quando ci soffi su / mentre ancora ti brucia // la voce cruda / narra tra le vesciche

# 25
vucca chi cerca a matri
picciridduzzu nicu
chi s’arruspigghia ‘i notti

chi cianchiteddi friddi
rapi l’occhiuzzi e aricchi

c’u scuru nte manuzzi
e a scorcia d’ovu mmucca
ammunzedda paroli

havi a lingua a culuri
ch’i manicheddi curti

bocca che cerca la madre / bambino piccolo / che si sveglia di notte / con i fianchi freddi / apre gli occhi e gli orecchi // con il buio nelle manine / e il guscio d’uovo in bocca / accumula parole // ha la lingua a colori / con le maniche corte

# 30
e appressu tuttu u tùssiri
a vita s’arrisetta
e si ntosta accussì

nta stu nchiappari carta
ca pulizìa u sonnu
arrascannu e scurciannu

nta sta vuci all’urbigna
di erba c’un è nnata
e porta cardacìa

e certi voti
ciàvuru

e dopo tutto questo tossire / la vita si deposita / e si rapprende così // in questo sporcare carta / che ripulisce le tempia / grattando e scorticando // in questa voce alla cieca / di erba che non ancora spuntata /porta prurito // e a volte / profumo

Maria Grazia Di Biagio

4 commenti
  1. La poesia è davvero sostanza che si dichiara da sé nalle sue scaturigini, al di fuori di calchi preordinati e formalismi poetesi. E dice quella fatica del vivere che pure esiste, fin nelle minime occorrenze, nonostante la meraviglia incomparabile di questo mondo nel quale si è avuta la fortuna di nascere e di vivere. Ecco. In ciò mi pare che consista l’operazione complessiva che compie la poesia in questo libro , stando per lo meno a ciò che qui si trova esemplificato

  2. Desidero ringraziare con tutto il cuore Maria Grazia Di Biagio, raffinata poetessa e sensibile lettrice, per il dono prezioso di queste riflessioni su Crivu. Ogni attraversamento critico serio e intellettualmente onesto sulla propria scrittura contribuisce a una migliore messa a fuoco delle proprie istanze e delle forme che queste assumono nel farsi parola : generosamente Maria Grazia aggiunge un calore vibrante di sintonia che illumina e commuove. Il mio grazie anche a Luciano Nota, e a tutta la redazione di Erato

  3. Ha ragione, gentile Alvino, le chiedo scusa. L’ho ringraziata attraverso un messaggio privato, ma sarebbe stato corretto farlo anche qui. Spero non me ne vorrà, lungi da me cancellare qualcuno “dalla mente del mondo”, e a maggior ragione chi si è cortesemente dato la pena di soffermarsi sulle mie piccole cose. La ringrazio ancora e le invio un cordiale saluto

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