Poesie di Lucio Mayoor Tosi

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Come Chagall

Sì, è possibile che in futuro lasceremo che l’erba cresca liberamente

senza troppe manie di bellezza e ordine.

Nei libri di storia scorreranno immagini di noi.

Acrobazie e volteggi di un biplano rosso nel blu.

Qualcuno dirà sorridendo:

“A quel tempo, ogni famiglia possedeva un televisore a colori”

Atterrerò in un campo da calcio

dentro il vestito bianco di un uomo trasportato dal pensiero.

Tutti molto gentili.
Sì, ascolteremo molta meno musica.

Molte cose non avranno nome, le riconosceremo dal colore.

Chagall saprebbe come sottrarsi alla folla
una volta fuori dall’ascensore.
E prendere per mano chi ci sta sorridendo.

“The End”

 

Boom Shankar

Il grammofono in testa
governa la tigre di un istante fuggito
dal rimorchio di un tetto estivo tutto colore.
Beandosi in frasi di circostanza
la cupola ragionante di Dio
dice a tutti quel che mi rimane in tasca.
Il mondo compatto
simile a una sfera di piombo riluce
dentro le tasche di me che sarei
nobildonna. Chiederò in prestito
una bicicletta.  A un uomo per bene
è concesso d’essere Antoinette; lontano
mille miglia dal rapporto sensuale
con qualsiasi pesca di stagione;
anche la più bella e buona
se non sa di morire. A stento m’arrischio
sul dare e avere di un animale
da giardino; figuriamoci un matrimonio
tra soprammobili.
Sfere di carbonio, acciaio e padellami.
L’universo
esce di sera, dà una leccata
alle sue divinità, poi s’acceca nel giorno pieno
d’oblio. L’effetto è strabiliante.

 

Sei

La casa del Sei è un disegno di finestre. La spirale
inizia dall’ammezzato; sale al primo piano, percorre
l’antibagno e scende in cucina: stile tirolese, con tendine
di juta leggera e arnesi di rame appesi come quadri.
Lui è di sopra. Si è appena alzato e sta defecando.
Lei – vestaglia bianca, ricamata, che le arriva
alle caviglie – è in giardino. Sta raccogliendo immagini.
Legge i complicati rami di un albero morto.
Esamina quel che ha di fronte, osserva i margini:
muri di varia altezza, ruderi senza ingresso e senza
prospettiva, incollati al profilo di montagne lontane;
cielo azzurro, piatto, senza nuvole. Pagina d’aria fresca,
estiva. E’ ancora presto.
Senza fermarsi, il disegno sale da sinistra
in esterno alla camera da letto (dentro è ombra
ancora calda. Lenzuola aggrovigliate e libri
sul pavimento). Il pennello scarica l’inchiostro rimasto
con un segno spuntato, graffiante ma leggero. Finché basta.
Quiete assordante di un giorno nato senz’alba.
Improvviso. Lei colta mentre ancora sta sognando.
Lui cerca di riprendersi annaspando tra i ricordi.
Affiorano volti. Due gardenie bianche. Guarda
un uccellino sul tetto della casa di fronte. Poi
chi dei due distolga lo sguardo per primo, non si sa.
Non è domenica, è giovedì.
– L’altro ieri ha piovuto. E’ stata una settimana d’inferno.
Abbiamo litigato tutto il tempo. Mi ha strappato una camicia.
– Non so cosa sei!
Nero su bianco, segno elegante, perfetto sumi-e.
– A volte litighiamo senza ragione, come piovesse.
La terra è piena di cadaveri. Ci cresce l’erba.

 

Giace nella vita un usignolo

Un granello di polvere
comparve ondeggiando
e subito si allontanò
a gran velocità.

Nella notte infinita
il rintocco della campana.
Svelato il mistero di Dio.

E se mancasse la vista
e aprendo gli occhi fosse buio
e non si sentissero rumori
ma solo l’acufene dell’universo?

E se il ronzio andasse tra gli occhi
e scavasse nel buio una finestra?
E se poi vi entrasse luce
e la forma di un animale extra galattico,
poniamo, un cavallo privo di zampe?

Dall’oblò degli occhiali
un sorriso giapponese.

 

Woody Allen

– Prenderò del Cornac; con spremuta di pomodori e un Lìsson.
– Ci vuole della cannella sul Lìsson?
– Sì, perché no.

Lo sai che sono innamorata di te.
Le tende del davanzale coprono le mie gambe.
Lampeggia il semaforo sul gommino della matita.

Gli studenti sul terrazzo della villa guardano
danzare le luci accese in giardino.
Scommetteresti che dietro quelle siepi ci sia il mare.
Voce del violoncello.

 

Cinema

L’uomo esce sul ballatoio della casa a ringhiera.
Ha piovuto. Non sa dove sta andando, né se rientrerà.

Scende le scale: le sue scarpe, la rampa vista dall’alto.
La casa pare ormeggiata nel cassetto di una vecchia scrivania.

“Mi chiedevo dove avessi lasciato le scarpe”.

La donna guarda attraverso le fessure della tapparella.
Ha sentito sbattere la portiera.

“Abbiamo fatto l’amore senza baciarci”.

In anticamera, le ombre hanno qualità marine.

 

Untitled

Queste poesie van bene per metterci il formaggio.
Era un pittore.
Se scriveva poesie, poi, era capace di dargli fuoco.
Se gli prendeva la rabbia.

“Poesia è dire?” chiese sommessamente il carillon.

E’ parlar chiaro, nero su bianco:
una civetta si posa sul davanzale della finestra
sui glutei sparsi e persi di un temporale all’equatore.
L’oro di carta su cui scrive faticosamente
l’ala di un uccello.

Ombre di netturbini prestati all’esercito
oscurano la mente. Un pettirosso al portachiavi.

E’ sleale, molto sleale questo che sto facendo.

Lucio Mayoor Tosi

lucio-mayoor-tosi.jpgDopo essersi diplomato all’Accademia di Brera entra in pubblicità: il tempo di dare una mano a Marco Mignani nella nota campagna “Milano da bere”. Ne esce nel 1990, quando diventa sannyasin, discepolo di Osho ( da qui il nome Mayoor: per esteso Sw. Anand Mayoor = bliss peacock). Trascorre più di vent’anni facendo meditazione e sottoponendosi a ogni sorta di terapia psicanalitica: sulla nascita e l’infanzia, sul potere, sulle dipendenze affettive ecc. Di particolare importanza, per la realizzazione di Satori, sono stati alcuni ritiri zen dove ha potuto “lavorare” sulle parole tramite l’esercizio dei Koan (quesiti irrisolvibili). Sue poesie sono state pubblicate in varie antologie tra cui, nel 2015 “I quaderni di Èrato”, “Beneficio D’inventario (Limina Mentis). Quest’anno dieci sue poesie sono state pubblicate su “Come è finita la guerra di Troia non ricordo” a cura di Giorgio Linguaglossa. Altre poesie si possono trovare sui blog “L’ombra delle parole” e “ Poliscritture”. Figura tra i 7 finalisti al premio “Opera prima” di Poesia 2.0 (2015).

E’ pittore:
dal 2 al 6 novembre esporrà un’opera a Paratissima 2016 (Torino Esposizioni). L’opera s’intitola “Dragon”.
Vive a Candia Lomellina, in provincia di Pavia.

 

8 commenti
  1. è un piacevole linguaggio quello che usa l’autore che conosco solo indirettamente per qualche intervento molto acuto su Poliscritture.
    Un linguaggio che oserei definire ” surrealista ” con qualche ripiego su Magritte, visto che parliamo anche di un pittore.
    Un testo su tutti : Woody Allen.
    Grazie

  2. Ringrazio Attolico e Paraboschi per il loro incoraggiamento. Il linguaggio sconfina talvolta nel surrealismo per via dell’uso del nonsense, della scrittura automatica, e per il fatto che tolgo la metafora dal terreno delle figure retoriche secondo dettami che ho appreso dalla poesia di Tomas Tranströmer. Lo stile è dato dal frammento, che trovo più idoneo a “fermare” l’istante delle immagini rispetto alla scrittura lineare, descrittiva o narrativa. Praticando il frammento mi sono reso conto di quanto lo stile possa modificare l’ordine, la durata e perfino la qualità del pensiero. Nelle mie intenzioni il verso dovrebbe farsi didascalia per immagini che intendo come vuoto spazio: spazio per immagini che si ricreano in lettura. Si tenta un rapporto vivo, non costretto in logica e raziocinio ma nemmeno nel tempo, cronometrico e verbale. Sono lieto per le mie poesie qui, su Èrato, validissima “palestra di poesia”.

  3. Della poesia di Lucio apprezzo l’ispirazione, e ,se pur formalmente vuole apparire prosa-poesia, forma “antiletteraria”, in verità ha tutti i colori del principio lirico con esiti stilistici intensi e innovativi.

  4. proseguendo nella lettura mimo il tuo stile: noto. stacchi visivi e quadro ri-raggruppato in significati piatti. mattine ariose. profili, scene che si presentano, poi altre considerazioni. suoni lunghi. fessure. altro che non si vede, gesti mancati.

    • Ti chiedi se il godimento estetico non possa essere l’unico fine dell’arte, è così? Dunque vorresti sapere qualcosa di più circa la poetica? Quando scrivi dei “gesti mancati” hai già risposto. Scrivo poesia nel farsi della scrittura, che è prossima al farsi della vita: è lì che, pur tenendomi al riparo da desideri, immancabilmente m’imbatto nel mancante. Il passo successivo potrebbe essere quello di una poesia di impegno sociale o politico, ma io questo lo do per scontato. La poesia apre più numerose porte.

      • no, no, non mi chiedo se il godimento estetico… l’unico fine dell’arte, ma a un modo di leggere esistenzialmente il mondo per stacchi, per salti e riposi, per quadri composti e mancanti.
        Questo mi pare sia, più che la tua poetica, la tua “estetica”, il tuo “sentire”, “avvertire” e ridire il reale

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