“Scritto nell’acqua” di Nuccia Benvenuto, Falco Editore, letto da Francesco M. T. Tarantino

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Scritto nell’acqua è un romanzo ben costruito che si snoda in un intreccio di storie parallele con  personaggi che girano intorno all’affascinante figura del poeta inglese John Keats, autore di versi memorabili tra cui quello che dà il titolo al libro. Il poeta è sepolto nel cimitero acattolico di Roma, che fa da scenario agli avvenimenti che la Benvenuto intreccia dando inizio alla storia di vita personale dei protagonisti, ognuno con un passato elaborato che lo rende pronto a ricominciare abbandonando la finzione in qualche modo diventata predominante all’interno dello scorrere univoco del tempo senza mai una pausa di riflessione, un attimo per riprendere fiato, per interrogarsi su ogni impercettibile spostamento dell’anima. Ci pensa l’autrice ad informarci sulle sfaccettature di ogni singolo attore sconfinando in varie direzioni grazie al suo bagaglio psicologico, antropologico, sociologico, letterario e filosofico. Così ogni protagonista interpreta il gioco delle parti con maggiore o minore intensità, facendoci quasi toccare con mano le varie personalità, il loro vissuto a volte facile a volte difficile, complicato, perfino inestricabile. L’approccio dell’autrice con ognuno di essi è sempre confidenziale perché lei ne conosce i cuori, i pensieri reconditi, le ferite, le furbizie, le passioni, le crisi e la lealtà. Tuttavia non ingerisce nei comportamenti,  li lascia liberi di esprimersi con una tecnica ammirevole: li presenta e poi lascia che ognuno esista secondo le proprie convinzioni, la propria ricchezza d’animo, le proprie frenesie e le proprie convinzioni. I loro gesti e la loro quotidianità così diventano convincenti e il romanzo acquista forza espressiva, ritmo, compattezza. È innegabile l’emergere della forte personalità dell’autrice incapace di mezze misure, tanto che ai suoi protagonisti chiede la stessa unità di giudizio, il rigore delle scelte e l’abbandono del precedente modo di essere per un approccio reale per quanto sconosciuto possa rappresentarsi. Il coraggio di mostrarsi lasciando le apparenze e dando vita alla sostanzialità delle cose, in un itinerario di risalite e discese, lungo un percorso a volte piano a volte scosceso, che insegue valli e ruscelli ma anche murge e torrenti in piena, vento in tempesta e mare calmo in un’alternanza di paure e solitudini, di inquietudini e carezze della sera, di cambi umorali repentini e rasserenamenti, è il tessuto di un itinerario assai complesso da dare l’impressione, a volte, che la trama partorisca un fluire di vita incessante. Nuccia Benvenuto è insegnante di filosofia e quindi conosce il valore delle parole, delle opinioni, degli esempi letterari; sa che le figure negative, se non trovano opposizione e dialogo, finiscono per diventare inconsistenza. Di conseguenza ogni personaggio è rappresentato con dovizia di particolari, con analisi ponderate, lontane dalle superficialità del mondo di oggi che si muove e celebra una narrativa solo e semplicemente di trattenimento. Direi di più, Nuccia pone se stessa come misura umana, intellettuale, e culturale per monitorare le vicende e renderle interessanti e soprattutto proficue. La sua scrittura non è soltanto esercizio che insegue la bellezza, ma anche impegno che vuole lasciare un segno nel lettore, specialmente se giovane e aperto alle sensazioni e alle percezioni del divenire. Se nel Romanzo di Penelope l’intessuto della storia lasciava intravedere una maturità, forse ancora in nuce, in Scritto nell’acqua la maturità, sia nel tessere la storia che nella scrittura estensoriale, non mostra cedimenti o interferenze, rotture, screpolature, fessure di abbandono; tutto gira in un intorno che non vanifica la tensione sottesa al dipanarsi della storia in un attraversamento delle trame costituenti l’ordito delle enunciazioni in un progressivo misurarsi con se stessa, esattamente come si misurano i protagonisti del romanzo in un continuo rimando di intimi pensieri e cancellazioni di memorie e infranti del cuore. La scrittura della Benvenuto ha ormai quei tratti identificativi così unici da renderla riconoscibile al semplice sfoglio delle pagine, perché è tale il pathos trasfuso in esse che solo l’immedesimazione, emotiva o cosciente, può raggiungere il lettore e trascinarlo all’interno del romanzo non sapendo più dove finisce la finzione e dove inizia la realtà. Un altro dei meriti del romanzo è di aver posto all’attenzione di chi legge storie da smistare in cui necessita il contributo del lettore, e nella misura in cui il lettore non resta assente determina il pregio di un buon libro come affermava Voltaire: “I libri più utili sono quelli dove i lettori fanno essi stessi metà del lavoro: penetrano i pensieri che vengono presentati […] rafforzano con le proprie riflessioni ciò che appare loro debole” . Sicuramente la scrittura interrogante della Benvenuto, senza punto di domanda, oltrepassa la banalità dell’avvicendarsi di emozioni e stasi della mente come compartimenti stagni che esulano dal battito intenso e dalla frantumazione di uomini e vicende in una diffrazione della continuità narrativa. È una scrittura incalzante che non ci esime dal partecipare alle vicende dei protagonisti sottoponendoceli come riguardanti il nostro modo di essere davanti allo scorrere del tempo. Chissà, forse il significato autentico di Scritto nell’acqua è quello di essere scritto in una delle fonti della vita, in una memoria vastissima che l’acqua necessariamente possiede, dal momento che come elemento liquido filtra ogni cosa attraversando mondi in superficie e sotterranei, assorbendo quindi le più diverse culture e le linfe, le essenze, le storie, le pulsioni, le idee e quant’altro per secoli e secoli e millenni, filtrando ogni più breve sentire ed ogni spasmo, i lampi, i tuoni e le paure, le piogge e il sudore dei popoli, sintetizzando il tutto in quel desiderio di un sorso di acqua fresca che è inevitabilmente una infinitesima particella di memoria a testimonianza del passaggio del tempo e della storia e dell’avvenire. Essere Scritto nell’acqua, forse vuol dire essere scritto in questa vasta memoria che non scompare, anzi continua a sopravvivere nella storia degli uomini e delle donne, nella cultura che incarna la storia delle idee. Del resto il finale previsto dalla scrittrice stessa sta a dimostrare che il nome di Keats scritto nell’acqua continua a produrre movimenti e straniamenti intessuti all’interno di storie che guarda caso finiscono sulla tomba del poeta, generatore, rigeneratore e continuo riferimento, e quindi memoria della sua struggente poesia. Tutto questo la Benvenuto lo sa, io mi sono limitato ad offrire una possibile chiave di lettura del romanzo che non ha bisogno di indicazioni supplementari per approcciarsi alla lettura dello stesso:

La mente è solo un ponte che collega la parola all’idea: tutto viene filtrato dalla rete intuitiva” […] “tutto viene consumato, da questo grande guastatore che è il tempo ma… L’arte riesce a vincerlo, perché azzera ogni divario fra il passato e il presente, consegnando loro un’intesa magica, permettendo all’uomo di avvicinarsi ad un senso pur se vago di eternità”.

Francesco M. T. Tarantino

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