Tim Burton, nel corso degli anni, si è imposto come un artista a tutto tondo, un regista amato da milioni di fans in tutto il mondo. A livello cinematografico è ormai considerato alla stregua di un auteur, un grandioso narratore di storie attinte da un suo personalissimo quanto sconfinato mondo creativo. Burton è anche un creatore prolifico di personaggi che hanno finito per essere simboliche icone dell’odierno immaginario collettivo. Non un semplice regista quindi ma un vero e proprio “autore” il quale ha saputo rendere (al pari del gota del cinema odierno e del passato) visibile e riconoscibile il suo specifico linguaggio. Linguaggio visivo caratteristico, personale e inimitabile. Risulterebbe arduo infatti ad un altro regista emulare la non-linearità con la quale Burton si approccia al processo creativo di una pellicola; ancora più impensabile il mettere in atto opere di sensibile, romantica e gotica bellezza quali quelle uscite dal cilindro nero dello spettinato ex enfant prodige californiano. Il precoce talento di Burbank riceverà alla 64° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia il Leone d’Oro alla carriera; Burton diviene il più giovane regista a ricevere tale ambito riconoscimento. Il 5 settembre 2007, all’età di soli 49 anni, il cineasta riceverà il premio dalle mani dell’amico oltreché suo attore “feticcio” Johnny Depp, interprete, dal 1990 ad oggi, di più della metà dei suoi film. Proprio l’attore di Owensboro, alcuni anni prima, aveva tracciato un ritratto profondo e incisivo del regista: “Tim Burton è un artista, un genio, uno svitato, un folle, brillante, istericamente divertente, leale, anticonformista, onesto amico. […] Non ho mai visto nessuno così evidentemente fuori posto essere esattamente al posto giusto. A modo suo”. Basterebbero queste poche parole a dare l’idea e lo spessore, non solo di un cineasta fuori dal comune, ma anche di un uomo eccezionale ed estremamente sensibile. Ritornando alla marca d’autore di Tim Burton si può azzardare un paragone con altri registi del passato che vennero per primi chiamati “Autori”, appellativo che gli conferiva un significato diverso e più autorevole rispetto agli altri artigiani della macchina da presa.
Erano gli anni ’60 e registi come Federico Fellini, Luis Buñuel, Satyajit Ray vennero innalzati a status di artisti della settima arte, con l’intento di nobilitare ancor più l’arte di fare cinema. Ebbene, costoro, ed altri grandi cineasti, ebbero la capacità di avere una ricezione positiva sia in larga parte della critica che nel bacino più ampio del pubblico non specializzato. Al pari loro, Tim Burton è stato riconosciuto come uno dei più specifici e rinomati registi odierni, ma anche un autore capace di raggiungere il pubblico più vasto ed eterogeneo: basti pensare che i suoi film hanno incassato più di un miliardo di dollari in tutto il mondo. Insomma, che le sue pellicole ci raccontino di cavalieri senza testa o di streghe e giganti, di marziani o di eterni Peter Pan, di barbieri omicidi o di uomini pipistrello, di ragazzi con le mani di forbici, e persino di registi di serie Z, il risultato finale è sempre di una qualità sopraffina scaturita da una profonda passione creativa. Una affinità curiosa che lega Burton al connazionale regista Stanley Kubrick è quell’essersi allontanato dal plastificato mondo hollywoodiano ed aver trovato una sua più adatta dimensione nella “vecchia” Inghilterra condividendo con il geniale regista di Arancia meccanica (Clockwork Orange, 1971) quel sentimento di amore/odio nei confronti della propria patria. Tim Burton è, oggi, il più grande regista gotico, colui che più e meglio di tutti ha saputo catturare e rendere pulsante la fantasmagoria dell’oscuro. Prendendo spunto da riferimenti quasi esclusivamente cinematografici, egli ha saputo dare alle sue storie “morbose” altre angolazioni visive, significati non sondati sinora. Inoltre, nelle sue pellicole, il gotico si intreccia molte volte con elementi carnevaleschi e irriverenti (si pensi ai personaggi di Beetlejuice, Joker, e agli Oompa Loompa) coloratissimi (in Pee-Wee’s Big Adventure, 1985, Mars Attacks!, 1996, Edward mani di forbice,1990, La sposa cadavere,2005) e ironici (da notare, tra gli altri, il lavoro fatto dal regista assieme a Johnny Depp per creare l’atteggiamento smarrito di Ichabod Crane nei confronti del soprannaturale; si può asserire comunque che tutto il cinema di Burton presenta una forte propensione all’ironia). Nei labirinti burtoniani può accadere di tutto, l’importante è che sovrana regni la fantasia; nel suo cinema non troviamo una separazione manichea tra bene e male, anzi molte volte si ha un capovolgimento fenomenologico nel riferirsi ai due fenomeni. Coloro che possono sembrarci in superficie degli esseri mostruosi (Edward, le grottesche figure di Big Fish, 2003, Jack Skeletron e Sally, protagonisti di The Nightmare Before Christmas,1993, gli esseri sotterranei de La sposa cadavere) e quindi potenzialmente maligni, si rivelano invece essere anime dolci e delicate, catapultate in una realtà di malvagia normalità e di indifferente ipocrisia.
E noi finiamo per preferire questi reietti dalla società (ma non è forse qui che il regista ambisce a condurci?) perché più pregni di significato, psicologicamente contorti e quindi più interessanti. Gli incubi veri, sembra dirci il regista, sono emanazione non degli esseri altri (che semmai danno più colore ad una esistenza altrimenti omologata), ma di esseri piatti che sopravvivono nella conformità di una vita in cui ogni giorno è uguale a se stesso, dove tutto va bene ma niente va bene. Burton, da buon cinefilo, che di cinema si è nutrito sin da fanciullo quando guardava, tra gli altri, anche scadenti movies d’orrore e di fantascienza, trarrà molta ispirazione nel corso degli anni da maestri come Mario Bava e Roger Corman (che con l’attore Vincent Price diede vita nei primi anni Sessanta ad un interessante ciclo di film ispirati da Edgar Allan Poe) dal virtuoso della stop motion animation Ray Harryhausen e assorbirà appieno la lezione dell’amato Dr. Seuss (al secolo Theodor Seuss Geisel), originale creatore di storie per bambini dal cui libro How the Grinch Stole Christmas Burton prenderà ispirazione per il suo film di animazione The Nightmare Before Christmas. Sarà del carismatico attore Vincent Price la voce narrante in Vincent (Id., 1983) cortometraggio d’animazione che Tim aveva creato pensando proprio all’amato attore. Price regalerà a Tim Burton una interpretazione vocale profondamente gotica e nobile conferendo così al film un eccezionale sapore “poesco”. Ma Price è stato oltreché un collaboratore per il cineasta di Burbank, un vero e proprio nume tutelare, una delle poche persone che da subito ha intuito il suo enorme talento. L’attore lavorerà ancora con Burton in Edward mani di forbice prima di spegnersi pochi mesi dopo le riprese del film. Burton non lo dimenticherà mai, e prima della sua morte andrà a casa dell’attore ad intervistarlo. Ne nascerà un meraviglioso racconto-ritratto: Conversations with Vincent (Id.,1995). Oltre alla maniera eccentrica e del tutto personale del suo praticare cinema, al nuovo modo di intendere e di rappresentare l’universo più macabro e oscuro, Burton ripropone sul grande schermo un antico quanto artigianale procedimento riguardante gli effetti speciali: l’animazione a passo uno, in inglese stop-motion. La cinepresa, in questo caso, impressiona fotogramma per fotogramma l’immagine di pupazzi mossi poco per volta al fine di ricreare un movimento il più fluido possibile. Tim Burton si appassiona a questo particolare procedimento sin dall’adolescenza quando gira The Island of Dr. Agor (Id., 1971), un piccolo cortometraggio sperimentale da egli stesso interpretato. Ma i risultati più significativi, in fatto di animazione frame by frame, arriveranno con il già menzionato Vincent, piccolo gioiellino gotico, poetico e visionario nel quale è già possibile rintracciare la cifra stilistico-espressiva del cineasta californiano. Infine, la stop-motion burtoniana, grazie anche all’aiuto di fidati ed esperti collaboratori come Henry Selick, Mike Johnson e Rick Heinrichs, si affinerà oltremodo con la produzione di The Nightmare Before Christmas, sino ad arrivare alla perfezione stilistica de La sposa cadavere. Come detto a più riprese, Tim Burton è divenuto oggi un artista di culto, celebrato da milioni di ammiratori e da critici specializzati di tutto il mondo. Ma non solo.
I suoi pupazzi, i suoi schizzi, i dipinti e gli acquerelli, il suo mondo intero ha “invaso” due anni fa il prestigioso Museum of Modern Art di New York che gli ha reso omaggio con una mostra durata ben cinque mesi (dal 22 novembre 2009 al 26 aprile 2010). Ben settecento pezzi esposti che testimoniano a trecentosessanta gradi la sottile leggerezza con la quale Burton ha saputo tratteggiare i suoi caratteristici personaggi, così fragili e scheletrici, dalle cavità oculari enormi e dai visi pallidi e smunti, eppure così pieni di vita.
Fabio Lacovara
Orribile!
Certo, non mette timore
ma il delirio è che non lascia pace.
Silente nel suo drappo cremisi.
Occhi forati
bianca espressione macilenta.
Tulipano con la falce
assolvimi.
(poesia di Fabio Lacovara)
Tim Burton non è un artista di culto, cioè conosciuto e amato da pochi, bensì un artista di massa e di cassetta. Dotato di un certo talento e di un minimo di originalità, riesce certamente a emergere rispetto all’attuale mousse holliwoodiana assolutamente livellata verso il basso e votata al blockbuster ad alta tecnologia. Non è minimamente paragonabile ai geni citati in questo articolo, da Corman a Fellini a Kubrick, e nemmeno al capostipite del genere cui Burton fa riferimento, Todd Browning. Insomma una risciacquatura di piatti in salsa pop. Edward mani di forbice poi, è un film estremamente noioso e sopravvalutato.