Il Paradosso di David Lewis, di Carlo Rovelli

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Saturno visto dalla sonda Cassini
Straordinaria questa affermazione di David Lewis: «Tutti i mondi possibili esistono davvero», che mette in discussione tutti i nostri principi basati sulla autoevidenza del senso comune. Il concetto non è estraneo a quello dell’universo infinito di Giordano Bruno (e sappiamo come sia andata a finire), che prevedeva già questa ulteriore estrapolazione: dall’universo infinito alla possibilità di esistenza di tutti i mondi possibili. Molti concetti filosofici dell’homo tecnologicus, come quello si «essere» ed «esistenza», sono fortemente condizionati dalla loro origine teologica, ma fare filosofia è, appunto, sgombrare il campo dai sedimenti di pensieri teologici, dogmatici, indimostrabili da parte delle nostre facoltà razionali; pensare le «possibilità» è dunque un equivalente di pensare le «realtà». Pensare significa fare continuamente dei «salti» da un pensiero all’altro per poi trovarne le connessioni; le connessioni verranno dopo, non prima. Tutti i sistemi filosofici finora dispiegati dall’uomo cadono sotto quello che è stato chiamato il «paradosso dell’autoreferenza»: i modelli autoreferenziali includono il soggetto-osservatore nell’oggetto osservato, e sono posti come una piramide al cui vertice sta il soggetto-osservatore. Ma le cose non stanno così. Per il principio di «tutti i mondi possibili esistono davvero», il soggetto è semplicemente un trascurabilissimo evento del cosmo, e il fatto che lui osserva il mondo è una delle infinite possibilità con cui si dà l’evento. E la «freccia del tempo»?; ma, è ovvio, se io (quale soggetto-osservatore) mi pongo come un puntino o segmento (infinitesimale) della freccia del tempo ecco che escogiterò che la freccia del tempo abbia una direzione precisa, dal prima al poi, dal passato al futuro passando per il presente. Ma questa asserzione, in realtà è una semplice credulità, non ha nulla di scientifico ed è priva di zoccolo filosofico: che cos’è il «presente»?, è un ente?, esiste?, non esiste?. Nessun teologo e nessun filosofo ha mai risposto in modo esauriente a questa domanda, perché è una domanda priva di risposta se ce la poniamo entro le coordinate spazio-temporali e filosofiche della «freccia del tempo». Ecco che comprendiamo la famosa frase di Wittgenstein: «ciò cui si può arrivare con una scala non mi interessa» (Considerazioni filosofiche trad. italiana, Einaudi, 1975): il cui senso significa che non ha senso ascendere da un cumulo di proposizioni che, come una piramide, dal basso partono verso l’alto e culminano con un assioma: è un tragitto autoreferenziale che ha una validità limitata al qui e ora. Siamo immersi tutti nella «dromomania», nell’ossessione della velocità che ci contagia con quella credenza nella velocità della freccia del tempo che è sempre davanti a noi, ed è irraggiungibile. Recentissimamente è stato postulato da alcuni fisici teorici l’esistenza, prima del Big Bang, di un altro universo, da cui deriverebbe il nostro universo che comprenderebbe 10 Dimensioni più il Tempo. C’è la dimostrazione matematica di ciò. Bene, un bel rebus per un filosofo che voglia pensare tutto ciò. E la poesia?, chiederanno alcuni: beh, è una delle infinite possibilità in cui può darsi il mondo, rispondo.
Giorgio Linguaglossa
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«Tutti i mondi possibili esistono davvero»: tesi che a un fisico (come l’autore di questo articolo) sembrava una bizzarria. E invece gli ha rivelato la figura di un grande filosofo.
Chi è David Lewis?». «È uno dei più grandi filosofi del secolo, forse il più grande». «Caspita, e cosa dice?». «Che tutti i mondi possibili esistono davvero». «Ma che significa, non ha senso, tu ci credi?». «No». Questa conversazione rasenta il surreale: come si fa a dire di qualcuno che è il più grande filosofo del secolo, e aggiungere che la sua tesi principale non è credibile? Eppure ho avuto questa conversazione un sorprendente numero di volte, con un sorprendente numero di filosofi, anche molto eminenti, di svariati Paesi. Nel mondo un po’ rarefatto della filosofia analitica, David Lewis, filosofo americano che insegnava a Princeton ma molto vicino all’Australia, morto dodici anni fa, è oggi indicato da diversi colleghi come uno dei grandi filosofi contemporanei, se non il più grande (in un recente sondaggio online fra filosofi è stato votato fra i tre più influenti filosofi del XX secolo); anche se la sua tesi più nota, l’esistenza concreta di molti mondi, lascia perplessi i più.
Lewis era un personaggio simpatico. Nelle sue conferenze parlava di film di fantascienza e di viaggi nel tempo. I suoi articoli filosofici pullulano di asini che volano, gatti che perdono il pelo sul divano, marziani che sentono male, e simili entità. Aveva una barba irsuta e l’aria stralunata. Qualcosa di anticonvenzionale e scanzonato. Amava profondamente l’Australia, dove passava molti mesi all’anno. Ha scritto decine di articoli sui temi più diversi d’interesse per la filosofia analitica, e diversi libri di cui il più noto si ìntitola Sulla pluralità dei mondi, dove difende la sua tesi che tutti i mondi possibili esistono. Compresi quelli dove gli asini volano. Ma, direte voi subito, in questo mondo non ci sono asini che volano. E Lewis è perfettamente d’accordo: non ci sono asini che volano, in questo mondo. Ma in altri mondi, ci sono. Ci sono molti mondi dove gli asini volano. Tutti questi mondi, esistono. Esistono, dice Lewis, concretamente. Noi non vediamo asini che volano perché viviamo in un mondo dove gli asini non volano. Così come io ora dalla finestra vedo il mare di Marsiglia e non il Colosseo, non perché il Colosseo non esista, ma solo perché sono a Marsiglia e non a Roma. Così come esiste Roma, anche se io non sono lì, allo stesso modo esistono altri mondi, dove noi non ci siamo. E quali mondi esisterebbero? Tutti, risponde Lewis, con un sorriso disarmante.
Sconcertato dal sentir raccontare queste idee, l’anno scorso ho deciso di provare a leggere Lewis, anche se non sono un filosofo, e non dispongo degli strumenti per capire bene. Per primo ho cercato l’articolo sui viaggi nel tempo. Il mio mestiere è la fisica, e mi occupo proprio di spazio e tempo e delle loro buffe proprietà, quindi mi sentivo abbastanza forte da affrontare la lettura del filosofo su un terreno a me favorevole. Ho sempre pensato che quello che si legge di solito sull’impossibilità dei viaggi nel tempo sia terribilmente confuso e pasticciato, e a dire il vero ho forse cominciato a leggere l’articolo con il gusto un po’ cattivello di aspettare al varco il preteso grande filosofo, e coglierlo in fallo. Invece mi ha lasciato a bocca aperta. La chiarezza con cui discute la possibilità dei viaggi nel tempo è completa. L’articolo è limpido, inequivocabile. Mette ordine perfetto nella questione. Tutte le sciocchezze sull’impossibilità di tornare indietro nel tempo perché potremmo uccidere nostro nonno sono spazzate via con lucida semplicità.
Ho cominciato a intravedere perché in tanti sono abbagliati da David Lewis. Così mi sono immerso nella lettura di una intera raccolta di suoi articoli. Qualcuno, più tecnico, filosofico, mi ha annoiato, non l’ho capito. Ma molti sono folgoranti. Che cos’è esattamente un’entità? Per esempio un gatto che sta su un divano? Comprende o non comprende un pelo del gatto che si è mezzo staccato? Dove finisce esattamente il gatto? E via via, zigzagando fra problemi tecnici di logica modale e quelle domande che discutevamo da adolescenti e che in fondo non eravamo mai riusciti a risolvere. Su ogni questione l’argomentare di Lewis, anche se sempre con un sorriso sulle labbra, è convincente. Trova la soluzione là dove la soluzione sembrava impossibile. È intelligenza scintillante. In un discorso in memoria di Lewis, David Chalmers ha chiamato la limpidezza del sistema di Lewis una “fisica fondamentale” per la filosofia: non stupisce che piaccia ad un fisico teorico…
Armato di questa esperienza, mi sono sentito pronto per affrontare il libro principale, Sulla pluralità dei mondi. Non riuscirà a convincermi, pensavo fra me e me, che ci sono asini che volano. E invece, confesso con desolazione, temo che ci sia riuscito. Non provo certo a ripetere qui l’esercizio con voi in questo breve articolo. Non sono Lewis. Leggete il libro di Lewis, se ne siete curiosi. Certo, qualche dubbio mi rimane. In fondo mi chiedo ancora se quello di Lewis non sia solo un cambiare nome alle cose, chiamare “esistere” quello che altri chiamano “essere possibile” e chiamare “di questo mondo”, quello che altri chiamano “esistente”. Ma certo a me Lewis è riuscito a far cambiare molte idee su cosa significhi “esistere”. A togliermi, credo, molti pregiudizi riguardo al significato di questo verbo molto sdrucciolevole. Esiste un burattino a cui cresceva il naso quando diceva le bugie? Si certo, è Pinocchio! Allora Pinocchio esiste. No, non esiste! Ma hai appena detto che esiste…
Con Lewis la filosofia analitica è tornata prepotentemente a occuparsi di metafisica, terreno da cui si era tenuta a lungo a distanza di sicurezza. La lezione del positivismo logico, che aveva insistito si parlasse solo di cose definite in maniera sufficientemente chiara, e soprattutto di Wittgenstein, che aveva mostrato come molti problemi apparentemente profondi non siano che il risultato di uso maldestro del linguaggio, avevano lasciato un’impronta molto profonda su questo vasto territorio della filosofia, con il risultato che le domande intorno a cosa esiste e cosa non esiste erano tradizionalmente percepite con grande scetticismo in questi quartieri della filosofia. Tutt’ora, la parola “metafisica’” produce un cospicuo sollevarsi di sopracciglia in molti dipartimenti di filosofia nel mondo. Le cose sono cambiate solo un poco durante l’ultimo decennio, e Lewis stesso viene visto ancora con sospetto a questo riguardo. Ma certo vi è una parte della filosofia analitica che ha trovato il modo, con la nitidezza di pensiero che caratterizza questo modo di fare filosofia, e con gli strumenti propri di questo pensiero, di tornare a trattare questioni come chiedersi cosa esiste e cosa non esiste. Lewis, che ad Harvard è stato allievo di Willard Van Orman Quine, fra i massimi esponenti della filosofia analitica, ha contribuito non poco a riportare la metafisica al centro del discorso.
Non è certo l’unico contributo di David Lewis. Per citarne un altro fra i molti, la sua filosofia della mente, una versione dell’idea che identifica stati e processi mentali con stati e processi del cervello, e quindi nega l’esistenza di proprietà irreducibilmente non-fisiche, è una delle posizioni centrali nel dibattito odierno sulla filosofia della mente.
Michele Salimbeni, versatile intellettuale italiano che si è occupato di cinema, teatro e filosofia, sta scrivendo una articolata biografia del filosofo, di cui un primo breve stralcio è uscito sulla rivista di filosofia Klesis, che ha consacrato il numero di dicembre a David Lewis. La aspettiamo con interesse. E speriamo che il mondo dove molti la leggeranno, e verranno a contatto con questo sorprendente e originale filosofo che è stato David Lewis, sia proprio il mondo dove siamo capitati ad abitare.
Carlo Rovelli
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David K. Lewis, On the Plurality of Worlds, Blackwell, Oxford, pagg. 276, $ 58,00 e $ 27,00 paperback
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