Lodovica San Guedoro, “Amor che torni…”, Felix Krull Editore – 2019

San-GuedoroAmor che torni …” è la continuazione di “Pastor che a notte ombrosa nel bosco si perdé …” e delle peripezie dei due amanti protagonisti: del loro errare e soffrire, cercarsi e sfuggirsi, ferirsi e amarsi, mille volte perdersi e ritrovarsi infine una sera di aprile, nel modo più inaspettato, prodigioso e fulmineo. Ha lo stesso respiro epico e insieme intimo, la stessa struggente dolcezza, la stessa potenza di sentimenti, le stesse grandi ali dispiegate nel sogno. Perché i due libri sono in verità un unico romanzo, una summa di tutte le storie d’amore mai scritte, di tutti i tormenti e le gioie d’amore mai vissuti, di tutta la psicologia amorosa descritta e sintomatologia amorosa rappresentata dall’inizio della storia umana, ma anche, e più d’ogni altra cosa, un paradigma dell’impossibile che si rivela possibile.

 

I

Come descrivere l’inesprimibile, particolarissima condizione del mio spirito dopo, il giorno seguente, i giorni e le settimane che si affastellarono su di me? Galleggiavo trasportata come una foglia semimorta dalla corrente dei giorni, senza peso, senza corpo. Il sangue era stato dato tutto. Dopo tutti quegli sforzi e quelle lotte per domare la mia sventura e riportarlo a me, le mie vene erano rimaste vuote. Avevo fatto l’impossibile. Avevo sostenuto tutte le lotte che c’erano da sostenere, usato tutti gli stratagemmi che si potevano usare. E ora seguiva un silenzio immoto. Ora non c’era più appiglio di speranza, ora la certezza era definitiva, ora non restavano più lotte da sostenere contro il destino, sperando disperatamente di capovolgere il suo decreto: il destino si era espresso a fondo, il suo verdetto era irreversibile, pur se pronunciato nella forma più dolce, soave e pacificatrice. E come immaginare, come prevedere che quella mattina di maggio, ad appena dieci giorni dal memorabile, irrevocabile addio, me lo sarei visto improvvisamente riapparire davanti a poca distanza da casa mia?! …  Era il due, un sabato, e il quartiere, invaso dai mercatini, brulicava di gente. Ogni anno le stesse scene, lo stesso viavai, fra tavoli e banchetti subissati di ogni genere di paccottiglia rastrellata nelle cantine. Ogni anno rimanevo esterrefatta di fronte all’indecente bruttezza degli oggetti che erano capaci di riversarsi da case e ville dalle facciate spesso tanto contegnose o graziose. Ciò nonostante, anch’io m’inoltravo regolarmente tra quei tavoli e banchi, perché avevo il misterioso dono di scovare sempre qualche cosa di utile o di bello. Anche quella mattina avevo avuto occhio e fortuna e comprato, con quindici euro in tutto, un bel vestito azzurro di seta e un vestitino corto marrone di maglia, entrambi nuovi, che sarebbero andati ad arricchire il mio guardaroba estivo. Se, mentre volgevo i passi verso casa, non fossi stata assillata dal pensiero di un aspirapolvere, avvistato durante il mio giro sulla N. Strasse, e non avessi invertito la direzione per andare a chiedere quanto costasse, non sarei tornata a casa per la B. Strasse, la stradina dove abitava Lucia. E non vi sarei passata a quell’ora precisa … Malgrado il prezzo di dieci euro, fissato dalla coppia che lo aveva messo in vendita, fosse estremamente allettante, l’aspirapolvere in ottime condizioni e per di più di una marca pregevole e robusta che avevo già avuto modo di sperimentare quando vivevo a Vienna, non avevo infine potuto decidermi per l’acquisto senza il parere di Hans: perché un aspirapolvere lo avevamo già e, per mancanza di spazio in casa, avevamo persino messo in strada con il cartellino zu verschenken un secondo esemplare, nuovo di zecca, rivelatosi poco maneggevole, a dispetto dell’agile apparenza, che avevo comprato per mio uso personale. Avanzavo assorta sullo stretto marciapiede animato, galleggiando in una calma, atona deriva. E pur nella nebbia di quello stato onirico e vago in cui ero sospesa, pur essendo come disincarnata, sentivo di essere abbattuta, smarrita e priva di forze: sentivo di essere stanchissima. Ad un tratto, proprio mentre giungevo all’altezza del cancello della mia amica, mi vidi sorridere dal noto viso … Ci separavano ancora diversi metri, quando era comparso nel mio campo visivo. Lo fissai incredula, come si fissa una visione. Con la sua vista soprannaturale, lui mi aveva individuata per primo, e chissà quanto marciapiede avevo percorso, inconsapevole, sotto il suo sguardo … Le mie percezioni e i miei sentimenti, per quasi tutta la breve durata dell’incontro, furono come avvolti in una membrana di opacità. Eppure vidi che era bello in modo conturbante, gli occhi grandi, verdi, splendenti, che, in quel momento, singolarmente, si modellarono in quel particolare selvaggio taglio inclinato slavo … Ma, quando fummo vicini, notai con ottuso stupore e tristezza che aveva la fronte solcata da rughe di fatica e stanchezza. Era solo, con lui non c’era moglie né bambino. Potevamo, perciò, parlare.
“Come stai?”, chiese, fermandosi.
“Bene …”, risposi, fermandomi anch’io. “E tu?”
“Bene …”
Ci spostammo di lato.
“Ma quindi non sei ancora partito …”, osservai, meravigliata.
“Abbiamo rinviato al diciassette …”
Aggiunse una frase frettolosa sulla moglie. Mi pare che nominasse il Kaufhof dell’Olympia Einkaufszentrum. Forse, avendo iniziato a lavorarvi da poco, Pamina non aveva ottenuto la vacanza su cui contava …
“Starò via tre settimane …”, ci tenne a farmi sapere.
Come quando si accingeva a partire in dicembre e stavamo ancora insieme, come se la sua assenza potesse riguardarmi anche adesso.
“Tre settimane!”, esclamai, senza riuscire a nascondere il mio dispiacere, come avrei dovuto. Eravamo entrambi a disagio. Entrambi non sapevamo come comportarci e di cosa parlare, incontrandoci per la prima volta in un mutato quadro di rapporti e dopo la
strana palingenesi di aprile. La difficoltà di trovare un tema si traduceva in palese tensione. Lui menzionò un aspirapolvere-giocattolo che aveva scovato per il piccolo … Quella sembrava proprio la giornata degli elettrodomestici! Che ridicola coincidenza: avevamo entrambi pensato alla stessa cosa. Adombrava, questo, ancora un senso magico e profondo? Cominciai, in ogni caso, a sentirmi più viva. Lieta di quello spunto, trasecolai e lo presi in giro:
“Cosa? Un aspirapolvere per un bambino?! Che idea bislacca! Non mi dire che aspira davvero!”
Kasim era sempre la stessa testa gloriosa. Rimase serio e non si scompose. Sollevò una busta, che aveva poggiato allo zoccolo dell’inferriata, e l’aprì. Avvistai un brutto giocattolo giallo e rosso, inevitabilmente di plastica, i cui pezzi ad incastro si presentavano separati.
“A lui piace, si diverte …”
Non escludo avesse detto che aspirava davvero, ma non ne sono sicura.
“Guarda un po’ …”, commentai, perplessa, sorridendo alla buffoneria.
In cosa non coinvolgono mai i genitori di oggi i bambini. Quel giocattolo, a pensarci ora, poteva essere il risultato del programma di collaborazione domestica, inaugurato dopo la crisi, che si rifletteva anche sul figlioletto.
“Io, invece, ho trovato due bei vestiti per me …”
Gli annunciai poi di essere stata segnalata per il Premio Viareggio, e lui si mostrò contento e si congratulò. La notizia della segnalazione era infatti fresca: mi era giunta pochi giorni prima, il 29 aprile. La conversazione si smorzò così: lui non la prolungò oltre; io, dopo aver esitato un attimo, con lieve trepidazione, per essere certa che fosse davvero conclusa, rispettai il suo riserbo e non feci nulla per continuarla. Ci salutammo dandoci la mano. Lui era già elasticamente balzato indietro in direzione della N. Strasse, ma i nostri sguardi ci tenevano avvinti con una invisibile corda, in una muta eloquenza, dicendosi quello che le parole non potevano dire. Nei suoi verdi occhi c’era un’acre punta di sofferenza e, sotto quella sofferenza, una soave tenerezza. Rimasta sola, realizzai, lo realizzai unicamente allora, che, quando lo avevo scorto, proveniva dalla F. Strasse … Così si era spinto nella strada dove io abitavo, forse sotto casa mia! A distanza di poco più di una settimana dal giorno in cui l’avevo invitato a guardare per l’ultima volta la mia casa con gli occhi di un amante che se ne va per sempre, era stato sospinto da un singhiozzo di nostalgia e di rimpianto fin là, era stato a cercare il luogo perduto, a respirare l’atmosfera che mi circondava, con la cieca speranza, nel caso più fortunanto, d’incontrarmi! L’azzardo era riuscito: io, che non esco mai di mattina, quella mattina ero uscita, e gli ero venuta incontro nella piccola traversa. Il mio stato morale si ribaltò, come era già successo innumerevoli volte da quando lo conoscevo. Solo pochi minuti prima affondavo nei gorghi di una tetra, disincantata malinconia: ora, invece, mi sentivo improvvisamente rinata! Fuori di me dalla gioia, mi presentai da Lucia e le raccontai ridendo ed esclamando l’accaduto.
“Ti rendi conto?!”, ripetevo, senza io stessa capacitarmi,  “L’ho incontrato davanti al tuo cancello!”
E, dopo averle mostrato con vivacità gli acquisti, che lei non mancò di ammirare, mi congedai in fretta e corsi di nuovo in strada, col cuore sottosopra per la felicità. Come se non bastasse, a coronamento e premio dell’imprevisto incontro, proprio di fronte casa mia, il caso, quel giorno allegro e ben disposto con me, mi fece adocchiare su un banco un vaso di un bellissimo verde marezzato, col bordo dorato, che, nella mia esaltazione, comprai in un lampo, malgrado costasse molto per un mercato delle pulci. Da tempo immemorabile ne cercavo uno di mio gusto per grandi mazzi di fiori: e proprio quel giorno lo avevo trovato! Volai, esultando, a metterlo al sicuro in casa.

Lodovica San Guedoro

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