Attila József nasce a Budapest nel 1905. I suoi versi sono una delle più alte voci poetiche europee del periodo fra le due guerre mondiali: vigorosamente realistici, mostrano un vivo impegno politico che non si traduce in oratoria, ma in misurate, dolenti immagini umane. Il suo primo libro di liriche , Szépség Koldusa (Il mendicante della bellezza) esce nel 1922. Seguono Nemn Kialtok (Non io grido) 1924 e altre raccolte, fino a Nagyon Faj (Fa molto male) del 1936. Muore suicida nel 1937. E’ con Endre Ady il vertice della lirica ungherese del ‘900.
LA TRISTEZZA
La tristezza è un postino grigio muto
ha il volto scavato e gli occhi blu
dalla spalla stretta prende una borsa
il suo mantello è logoro scuro.
Nel petto gli batte un tic-tac da due soldi
per le strade sguscia impaurito
si appiattisce lungo i muri delle case
e scompare nell’androne.
Poi bussa. Porta una lettera.
SENZA BUSSARE
Se ti vorrò bene, puoi entrare da me
senza bussare
ma rifletti a fondo,
ti farò stendere sul mio pagliericcio
paglia frusciante si respira con la polvere.
Ti porterò acqua fresca nella brocca
e prima che tu te ne vada pulirò le tue scarpe
qui nessuno ci disturba,
in pace puoi rattoppare curva le nostre cose.
Il silenzio è un gran silenzio, parlo anche a te se parlo
e se sei stanca ti puoi accomodare sulla mia unica sedia.,
se fa caldo puoi toglierti sciarpa e colletto
se hai fame ti do della carta pulita per piatto
e se c’è dell’altro
lascia allora anche a me, pure io
sono sempre affamato.
Se ti vorrò bene, puoi entrare da me
senza bussare
ma rifletti a fondo,
mi dispiacerebbe se poi tu mi evitassi a lungo.
DUE ESAMETRI
Perché devo essere onesto? Tanto mi stendono!
Perché non devo essere onesto? Tanto mi stendono!
Attila József (traduzione di Edith Bruck)