In questo agile libretto il poeta lombardo ci offre una nuova prova della sua vena poetica. Scarno nello scrivere e nel pubblicare Giancarlo Consonni, come un altro poeta lombardo, Tiziano Rossi, assume della amata città di Milano, il movimento circolare e reticolare dei mezzi pubblici (tram,, filovie) non come meri utensili, ma luoghi privilegiati dell’incontro con il sé e gli altri. Sembra di immaginare una mappa metropolitana attraversata in lungo ed in largo da questi luoghi dell’incontrarsi, spesso anonimo, frettoloso e che pur ci unisce per destinazioni ignote. Il tram è una metafora dell’andare, del viaggiare, della meta sconosciuta e che eppure ognuno ha dentro di sé. Questo incrociarsi di mete sconosciute, seppur apparentemente fuorviante, ci fa tutti cittadini di una stessa identità, di un destino comune e diverso, altro e simile. La città è come un corpo vivo e i mezzi pubblici con i suoi percorsi sono le sue vene, le sue arterie.
La 90 abbraccia la città,
leggo in pace.
Non c’è il mare?
Ci sono tutte le lingue del mondo.
La 90, per chi è milanese è chiamata anche circolare, perché abbraccia la città e quasi ne segna i confini, scorrendo attraverso quartieri molto diversi, ove la diversità è quasi ad ogni fermata. E poi il mezzo pubblico solo apparentemente è un non-luogo in quanto su di esso avvengono minimi episodi che mai avranno cronaca e risonanza. Il cerchio della filovia contiene altri cerchi, altre storie anonime che si reiterano con altri figuranti. Scendere, salire, cercare il posto, vedere l’anonimo e temporaneo compagno di viaggio che ci siede accanto o davanti, sono l’incontrarsi silente di tante microstorie che mai balzeranno alla notorietà e che pur entrano in noi, destinate per lo più ad essere dimenticate. Ma è questo rituale che non dimentichiamo e che troviamo trasfigurato su altre linee e mezzi, con altri figuranti.
Quando vorresti che la fermata
non arrivasse mai
stai leggendo sul tram
e quella è la tua casa.
o anche:
Se sbaglio tram
Non fa niente
vado al capolinea
tengo compagnia al conducente.
La minimalità dei personaggi di Consonni (che è poi una cifra stilistica tutt’altro che minima) costruisce a volte un linguaggio reticolare ove gli anonimi interpreti si ritrovano sconosciuti in una lingua ordinaria mai banale. Il poeta conosce l’arte degli incastri e della dispositio, cosicchè, come un buon architetto (Consonni tra l’altro lo è,) ogni frammento dell’interlocuzione va posta al giusto posto della costruzione linguistica:
Picchio forte nel vetro:
“E’ il capolinea …
non scende?”
Occhi contro occhi
Buio
Dove si riposano i convogli.
Oppure:
Slittano tutti
di un posto,
è salita una nonna col nipotino.
In silenzio ognuno
Si prende
Il caldo del vicino.
Ma c’è anche tempo per un lampo onirico di un bambino che antropomorfizza il tram che l’ha condotto, tanto da dedicare al tram un ringraziamento:
Appena sceso, il bimbo
Dice forte: “Grazie tram!”
Tutto il tempo lo ha guidato
Commutatore a manovella,
tutto il tempo gli ha parlato
la miglior favella.
Ma sentiamo altri topoi del dire consonniano:
Lussi?
Prendo fuori orario il 23.
Arriva dondolando
La gondola di Milano.
Si tratta infatti di una vecchia linea su cui scorrono oscillando vetture tramviarie quasi d’epoca, ricche di fascino per l’arredo in legno e la fattura a bomboniera. Ne sono rimasti pochi esemplari, sostituiti via via da vetture più moderne ma meno empatiche. Il 23 oscilla e ondeggia tra le rotaie e all’interno la gente siede su panche in legno lucido, i meno fortunati si tengono ai fermagli, costretti a guardare le luci provenienti da lampade di vetro a forma di corolla che si schiude e che ti accoglie.
Roberto Taioli
Un altro raccomandato. Non si arriva facilmente a pubblicare per l’Einaudi.