Un cubetto di ghiaccio del 1943. O per meglio dire:
un dado di gelo, urla, ciottoli con dentro l’alba che affiora,
l’insensata montagna dei delitti.
Vai a sbattere sulla barriera glaciale della Storia.
Perfino la poesia diventa cera,
la poesia vera, che è un tappo per le orecchie.
Le Ballate di cera di Schiller furono i tappi di Primo Levi.
Una, due, tre molliche di silenzio fino ai timpani.
Senza suono la musica delicata della memoria.
Abbassa il volume di queste raffiche dell’appello.
Ancora tracce fresche
sui fondali immensi delle miniere del Male?
Il “Processo dei medici” di Norimberga per Crimini contro l’Umanità si svolse dal 9 dicembre 1946 al 19 luglio 1947. Nei 18 volumi degli Atti si parla anche di esperimenti disumani come il trapianto di ossa e le iniezioni di pus.
*
L’archivio ardente:
Dodicimila pagine di febbre.
I fogli s’assottigliano in fessure
Di fatti in controluce: esperimenti
Mentre l’inverno ci divora.
In risalita rantoli e lamenti.
Questa parola spacca gli schedari.
I documenti di Norimberga sono le ali
del più vorace voluminoso orrore.
*
I Supremi Principi
urtano contro valigie e occhiali
sparsi a terra.
Servirebbe fuoco trasparente per la Veglia
e l’occhio di vetro del complice
– io non lo sapevo! –
sbarrato in eterno.
*
La via ai morti?
Appena chiusa la porta.
Una volta era nel vaso dei gerani
ma capitò anche tra due parole stracciate da un giornale
per incartare le uova.
I cimiteri sono vuoti.
*
Mi fermo.
Aspetto il buio.
Il sole ai piedi e le tenebrose lucertole.
Questa Storia
non si può scrivere a mezzogiorno.
*
Così la tomba si espande in lunghezza
in un sistema di corridoi e di porte.
Versi senza anestesia.
Verticali stanze
di chi da tempo è senza nome
se il numero ha corroso fino all’osso.
Come l’incisione sui mattoni
l’urna si fa rovente.
Trasforma questa cifra in una lettera.
Ricostruisci un nome.
Annotalo sul tuo pezzo di carta.
*
Credo che per una piena comprensione di questa opera poetica di Letizia Leone torni utile ai lettori di Viola Norimberga mettere insieme alcuni frammenti, soltanto in apparenza dispersi e quasi estranei, accogliendoli tutti come antefatti necessari al clima, all’atmosfera dei temi laceranti che questo libro affronta, confrontandosi con il Processo di Norimberga contro i criminali nazisti:
– Elie Wiesel
(“Auschwitz non può essere spiegato perché l’Olocausto trascende la storia”)
– Agnes Heller
(Inadeguatezza della scrittura di fronte ad Auschwitz.
Il genocidio degli ebrei come “ salto nel Male, gigantesco ma del tutto irrazionale)
– Jankélévitch
(Silenzio su Auschwitz, perché indicibile),
– Levinas
(“Il solo senso di Auschwitz è che non ne ha” (160).
– L’opera di Peter Weiss, fondata sui verbali del processo di Norimberga ad aguzzini nazisti,nella quale un sopravvissuto rivela una verità che nessuno ha osato né osa respingere, da riportare integralmente in questa per me efficacissima forma:
«Se eravamo in tanti
nel Lager
e se furono tanti
a portarci dentro
il fatto si dovrebbe capire
ancora oggi.
Molti di quelli destinati a figurare come Haftlinge*
erano cresciuti con gli stessi principi
di quelli
che assunsero la parte di guardie.
Si erano dedicati alla stessa nazione
impegnandosi per uno sforzo per un guadagno comuni
e se non fossero finiti
Haftlinge *
sarebbero potuti riuscire guardie.
Smettiamo di affermare con superiorità
che il mondo dei Lager ci è incomprensibile.
Conoscevamo tutti la società
da cui uscì il regime
capace di fabbricare quei Lager.
L’ordine che vi regnava
ne conoscevamo il nocciolo
per questo riuscimmo a seguirlo
nei suoi ultimi sviluppi
quando lo sfruttatore poté
esercitare il suo potere
fino a un grado inaudito
e lo sfruttato
dovette arrivare a fornire
la cenere delle sue ossa»
*prigioniero
Si ottiene come risultato finale nella scrittura poetica di Letizia Leone ciò che realmente è stata la storia dell’umanità ad Auschwitz, come in altri campi di sterminio: una storia unica, indicibile, incommensurabile.
Esemplari dunque appaiono questi versi di Letizia Leone, proposti in distici:
“Mi fermo.
Aspetto il buio.
Il sole ai piedi e le tenebrose lucertole.
Questa Storia
non si può scrivere a mezzogiorno.
Prigioniero ti rendo il bocciolo
Di mestizia.
Il calco bruciante della sua forma.
Il vapore potrebbe
condensare nelle tue iniziali
nelle vocali gonfiare.
Decifrare i Rotoli
Dell’elettrocardiografo.
Bisogna pregare, lo so.
Si può imparare.”
Sulla qualità della stessa scrittura che Letizia Leone adotta e sul suo stile come scelte linguistiche e tonali, molto ci dice la Prefazione al libro di Giorgio Linguaglossa,specialmente quando il prefatore segnala a se stesso, segnalandolo a tutti: «[…] È ancora possibile scrivere poesia. Letizia Leone lo fa con un senso di orrore e di disappunto, come un senso di colpa, con un linguaggio rigido, irrigidito da quella da quella immane tragedia per l’umanesimo europeo e per la cultura…». Ma misurandosi con questa tragedia che linguaggio occorre adottare? Ecco il grande dilemma che Letizia Leone ha dovuto affrontare e superare. Nella consapevolezza che la parola è importante soprattutto per chi la usa, Letizia Leone ripudia ogni declinazione di canto e fa ‘parlare’ i frammenti di uno specchio ridotto in frantumi raccattandone le immagini. E Giorgio Linguaglossa in prefazione proprio su queste cifre linguistiche di Letizia Leone in Viola norimberga giustamente rivela che saranno le immagini, le successioni dei fotogrammi, i montaggi dei frammenti dell’orrore a farsi poesia. Ed è esempio di poesia espansa perché abbatte muri e costruisce ponti linguistici tra l’uno e i molti; tra l’Io e il Noi; tra poesia e prosa; tra parola e immagine; tra il ‘900 e ciò che gli è sopravvenuto, abbattendone il carattere antinomico.
Erebo
Notte
La faccia blu.
Un cupido appesantito
Dalla faretra di cenere
Scocca le frecce della colpa
sullo scandalo
ebreo del tuo corpo.
Erebo
Notte
il sonno e il sasso
dei torturatori
sazi.
Eremo.
Notte ebrea
nell’erebo Nazista.
Versi essenziali, parole nude nella loro verità, senza scadimenti nella melliflua retorica o nella cenere patetica dell’elegia:parole-immagini che tengono uniti i due grandi tempi del poeta quando si confronta con il Male assoluto affidato a uomini banali: il tempo della clessidra e il tempo della biologia (o tempo interno-creativo) delle parole scelte dal poeta di fronte alla indicibilità, unicità, incommensurabilità di questo Male.
Gino Rago
Libri in vetrina
(a cura di) Gino Rago
.
Segnalo come fonte preziosa da cui attingere elementi di meditazioni profonde su
quell’antisemitismo che, nel Secolo appena trascorso, il ‘900, si è spinto fino all’atrocità dei campi di sterminio nazisti, vergogna incancellabile sull’intera storia della nostra civiltà il saggio di:
Roberto Piperno,
Sull’antisemitismo, con un’antologia di testi antiebraici, Editrice La Giuntina, Firenze, 2008, pagg. 288, 16 euro
Questo libro si avvale di un ampio saggio storico introduttivo che l’autore Roberto Piperno affianca efficacemente ad una ricca, precisa, ben articolata antologia di scritti antiebraici, (a partire dalla seconda metà dell’ 800 fino ai giorni nostri), come base sulla quale edificare la convinzione che una più sicura e più diffusa conoscenza delle motivazioni sulle quali si fonda l’antisemitismo possa contribuire alla necessità, sempre più stringente, di porre fine a queste secolari persecuzioni allo
scopo di favorire l’avanzamento generale della società contemporanea. Perché, come giustamente sostiene Roberto Piperno, il problema ebraico non è soltanto «ebraico» ma è,al contrario, un problema di piena, completa realizzazione delle democrazie. E questo saggio lucido, rigorosamente sviluppato, è perfino necessario nel raggiungimento del severo e luminoso traguardo della maturità
democratica, della «democrazia compiuta», in grado di resistere a ogni tentativo negazionistico.
Punto di forza di questo libro è lo stile adottato dall’autore, ove per “stile” sono da intendere l’armamentario
linguistico, la nitidezza di scrittura, le scelte tonali.
(gino rago)
roma, 30 gennaio 2019
ricevo questo ‘grazie’ alla mia e-mail:
“Carissimo Gino Rago,
ti ringrazio tanto per questa segnalazione sull’antisemitismo,che hai fatto circolare!.
L’esperienza da bambino delle persecuzioni non si è mai cancellata e seguito sempre a pensarci e a parlarne negli incontri che vengono organizzati, sempre con la nascosta speranza che non si ripeta mai più niente d simile.
Quando scrissi la prima parte di quel libro negli anni ’50 ( che poi allargai con la pubblicazione della Giuntina), era ancora un argomento in totale silenzio.
A presto spero
Roberto Piperno”
Ringrazio la redazione, Luciano Nota e Gino Rago per l’attenzione dedicata a questo libro incubato a lungo e nato, non da testimonianza diretta, bensì da lettura empatica di pagine storiche che il tempo va incrementando di “anima” e valore memoriale. Inoltre, un grazie per aver sottolineato l’importanza del libro di Roberto Piperno (lui si, per generazione testimone diretto dei fatti) e forse, in questi ultimi anni si è cominciato ad uscire da quel silenzio (forse la Storia bruciava ancora troppo con la sua vicinanza mostruosa). La poesia, tra le molte peculiarità di cui si fa portatrice, ha la capacità di interrogarsi con gli strumenti sapienti dell’arte sul senso/non-senso del Male e degli abissi nella natura umana. E questo lo fa risvegliando percezione e coscienza, così come esemplificato dalla poesia di Tadeus Rozewicz oggetto del prezioso articolo di oggi…
Al ringraziamento a Luciano Nota e alla Redazione de la Presenza di Erato di Letizia Leone aggiungo il mio: grazie per la ospitalità data alle mie meditazioni su e intorno a Viola norimberga, ospitalità che peraltro segnala lo spirito di servizio de la Presenza di Erato verso i poeti e la poesia. E non è davvero poco.
Così come mi è caro il ‘grazie’ di Roberto Piperno per l’attenzione appuntata sul suo saggio-testimonianza di uno ‘stato d’animo’ prima ancora che di un fatto storicamente appurato.
gino rago