Jean-Marie Gustave Le Clezio: tra autobiografia ed esotismo culturale, di Maria Grazia Ferraris

9788893446150

La giovane casa editrice La nave di Teseo ha tradotto e pubblicato alla fine del 2018 l’ultimo romanzo del francese Jean-Marie Gustave Le Clezio, premio Nobel per la letteratura del 2008, dal titolo “Bitna, sotto il cielo di Seul”. L’autore, poco conosciuto in Italia, stupì al tempo della importante premiazione e continua ad essere poco conosciuto e letto qui da noi. Eppure è un autore interessante, con una storia letteraria molto ricca e articolata alle spalle. Dalla fine degli anni ‘70 la matrice sperimentale dei suoi primi lavori ha lasciato gradatamente posto a toni e tematiche più accessibili e universali con una serie di romanzi, saggi, racconti di viaggio che gli hanno dato fama di sensibile osservatore ed indagatore delle diverse anime del mondo. Il suo esordio fu fulminante nel 1963, con Il verbale, redatto nel clima culturale del Nouveau Roman e fu subito paragonato a Camus. Le Clézio ha studiato a lungo Lautréamont, Antonin Artaud, Henri Michaux , viaggia in Thailandia, vive tra etnie minoritarie nello Yucatan, traduce i miti dei Maya, studia lo sciamanesimo coreano, s’immerge nei deserti…. Scrittore complesso, atipico, Le Clézio è editorialmente trattato come un autore di terzo piano in Italia, dove si apprezza poco della sua vasta produzione, ad eccezione di Stella errante, perché spiega “cosa significhi essere ebrei in tempo di guerra”, ebrei che incontrano un gruppo di profughi, arabi – portatori di una infelicità opposta, ma non meno dolorosa.

Il campo di Nour Chams sta sprofondando a poco a poco verso la rovina. … Siamo prigionieri in questo campo da così tanto tempo che faccio fatica a ricordarmi come era la vita prima, ad Acri. Il mare e il suo odore, le grida dei gabbiani. Le barche, che all’alba, scivolavano nella baia. Il richiamo per la preghiera al crepuscolo, nella luce incerta, quando camminavo vicino ai bastioni, tra gli ulivi… qui la notte arriva di colpo, senza richiami, senza preghiera, né uccelli. Il cielo vuoto cambia colore, diventa rosso, poi l’oscurità sale dal fondo dei valloni… Non appena il sole sparisce dietro le colline, si sente il freddo salire dalla terra. La gente si avvolge come può nelle coperte distribuite dalle Nazioni Unite, nei cappotti sporchi, nelle lenzuola. La legna è diventata così rara che non si accende più il fuoco per la notte. Tutto è buio, silenzioso e gelido. Siamo abbandonati, lontani dal mondo, lontani dalla vita.”

Si legge anche L’Africano, il breve romanzo biografico scritto nel 2004, ambientato nel continente in cui l’autore visse per un breve periodo, all’età di otto anni, al seguito del padre medico dell’esercito britannico :

Mio padre era arrivato in Africa nel 1928, dopo due anni passati come medico itinerante dei fiumi della Guyana inglese. È ripartito negli anni cinquanta, quando aveva superato l’età del pensionamento e per l’esercito non era più di alcuna utilità. Per oltre vent’anni ha vissuto nella brousse, unico medico in territori vasti come interi Paesi, responsabile della salute di migliaia di persone. L’uomo che ho incontrato nel 1948, all’età di otto anni, era provato, precocemente invecchiato per il clima equatoriale, irascibile, reso amaro dalla solitudine, da tutti quegli anni di guerra trascorsi nel più completo isolamento, senza notizie della famiglia, nell’impossibilità di lasciare il proprio incarico per correre in aiuto della moglie e dei figli, o anche solo di inviare soldi. Era stata la guerra, quell’interminabile silenzio, a fare di mio padre l’uomo pessimista, scontroso e autoritario che abbiamo imparato a temere più che ad amare? Oppure l’Africa? Ma allora, quale Africa?

Conosciuta anche la biografia di Diego Rivera e Frida Khalo (Diego et Frida) . Dalla fine degli anni ‘70 esplora l’orizzonte mitico di culture remote – dai berberi del deserto – Deserto– ai diseredati della Palestina, – Stella errante– dagli indios centroamericani ai popoli oceanici- Il continente invisibile- ai confini del mondo – secondo canoni ben lontani da quelli dell’etnologo e dell’antropologo: Le Clézio è piuttosto uno scrittore-viaggiatore emotivo, che si immedesima in situazioni di estremo disagio esistenziale, capace di rendere vivide le emozioni suscitate da personaggi, luoghi, ricordi. Le Clézio si dedica con la sua maestria narrativa a svelare i lati oscuri di un mondo lontano e nebuloso che risveglia l’immaginazione, la comprensione ed il desiderio di partire. Ritornano in questo ultimo romanzo- “Bitna, sotto il cielo di Seul”- molti dei temi cari a Le Clézio: l’esplorazione ravvicinata di un luogo, il desiderio del ritorno, la celebrazione della forza del racconto e, insieme, la riflessione sull’ambiguità del rapporto fra narratore e lettore. Conferma la motivazione che i giudici del Nobel avevano espresso sulla sua opera: «autore di nuove partenze, avventura poetica ed estasi sensoriale, pioniere di un’umanità oltre e sottostante la civiltà imperante».

L’arte del viaggio è stata fondamentale nella sua formazione. Dice di sé:

«Sono nato nomade. Dopo aver trascorso del tempo in un luogo, sento il bisogno di andarmene, di respirare e di guardare altri paesaggi. Scrivo per viaggiare. Ho amato vivere in Africa, quando ero bambino, e forse non l’ho mai abbandonata. Ho trascorso la mia infanzia immaginando sempre di andare altrove. Da utopista, in possesso di un passaporto francese, non smetto di sognare il tramonto della frontiera… Il fatto che sia nato a Nizza è una casualità legata alla guerra, fin da piccolo ho sempre saputo di appartenere a un altro luogo. (I genitori emigrarono a Nizza dall’isola di Mauritius dove un suo antenato bretone paterno si rifugiò all’indomani della rivoluzione francese, e vide nel 1810 l’invasione dell’isola da parte degli inglesi- con un padre che ha vissuto per molto tempo in Africa)… Ma quale? Forse l’Africa, dove i miei genitori riuscirono a tornare qualche anno dopo? Oppure Mauritius, che però non offriva grandi occasioni a chi volesse trasferirsi stabilmente? Più che per la separazione da una terra, ho sofferto per la mancanza di un luogo natale vero e proprio. Per questo non tengo in eccessiva considerazione la nostalgia, che mi sembra un sentimento debole, poco adatto alla letteratura. I cinesi lo avvicinano all’autunno, ma io continuo a preferire altre stagioni: la mitezza della primavera, lo splendore dell’estate, perfino il rigore dell’inverno».

L’ultimo romanzo è ambientato a Seul. Seul è una città che Le Clézio conosce molto bene non come semplice turista o visitatore, dove ha avuto modo di risiedere più volte anche per periodi prolungati. Tempo fa, infatti, in seguito a un invito per un incontro di scrittori, gli fu proposto di insegnare alla Ewha Womans University di Seul. L’idea gli parve interessante e accettò. Certo, Seul è una città enorme e complessa: abitata da oltre dieci milioni di persone, è una città più popolata di New York. Inoltre ha una storia con la quale continua a fare i conti. Ancora oggi Seul dà l’impressione di “un magnifico specchio rotto, una terra di nessuno nella quale il rapporto con il passato non è ancora stato risolto”. Questa, almeno, è la sua percezione, che forse è influenzata da antichi ricordi infantili. Dal 1953, alla fine della cosiddetta guerra di Corea, la zona demilitarizzata che separa le due Coree è vicino a Seul e non è infrequente imbattersi in persone che hanno amici e parenti che vivono “dall’altra parte della barricata”. La città, inoltre, è divisa in due dal fiume Han. E per Le Clézio il fiume Han è una sorta di luogo magico che sembra segnare la separazione di due mondi: il confine tra il Nord e il Sud dell’Asia, lo spirito più austero del Nord e la fantasia talvolta gioiosa del Sud. Ma salvo i nomi delle strade e dei cibi, la storia non ha nulla di esotico. Potrebbe essere ambientata in qualsiasi altra città che, come Seul, mostri ancora le ferite della guerra. Bitna, la giovane protagonista di questo romanzo, proviene dalle campagne coreane. Appartiene a una famiglia povera, ma ha voglia di studiare e ama leggere. I genitori decidono di mandarla a Seul, da una zia. La convivenza non è facile e la ragazza comincia a passare molto del suo tempo libero in giro per la città. Elegge, tra i suoi luoghi del cuore, una libreria. Ed è qui che la sua vita cambia. Il proprietario della libreria le fa la proposta di fare compagnia a una donna anziana e sofferente immobilizzata disponibile a pagare qualcuno che le racconti favole, storie…. Una storia dunque che narra di storie. E un omaggio alla forza della vita, all’energia e all’immaginazione delle donne e alla città di Seul che – come “Bitna, sotto il cielo di Seul”- è spesso presentata in maniera negativa, come una catastrofe ecologica e architettonica, e non come veramente è, secondo Le Clezio: una città bella e dotata di un’incredibile capacità di generare bellezza. Ogni giorno Seul si allarga. Si tratta di un avanzamento inarrestabile. È una città evidentemente cosmopolita e multiculturale in cui s’intrecciano moltissime lingue. Commenta l’Autore chiarendo anche a se stesso i motivi del suo interesse geo-storico:

«In qualche modo è un prolungamento della mia personalità. Ho voluto creare un personaggio che mi assomigliasse, nonostante le differenze di genere e d’età. Salomé, (la donna per la quale Bitna lavorerà), esprime il desiderio di fuggire dall’immobilità mediante l’ascolto della parola. Mia nonna materna era una narratrice straordinaria, che riservava lunghe ore pomeridiane al racconto di storie con una notevole forza evocativa. Leggevo i suoi dizionari e la ascoltavo per vagabondare e sognare. Bitna potrebbe diventare una scrittrice».

Maria Grazia Ferraris

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