
Rocco Salerno e Dario Bellezza
Poesie intime, gonfie d’immagini, che si misurano con l’incomprensibile della morte, scritte in memoria di Dario Bellezza, cantore della degradazione, ma che è anche il poeta di Eros e Thanatos, della melanconia e dell’allegria, fino alla fine. Certo è, se per Dario Bellezza la poesia era una maledizione, per Rocco Salerno è, invece, una ragione del cuore, che si oppone ad ogni convenzione. In questo poemetto il poeta è circondato di ricordi, di amici, tutto rimane fermo in questo quadro familiare, dove lo spazio è riservato ai sentimenti, alla negazione della morte, all’onesto panorama letterario felice di quegli anni, alla poesia che doveva salvare il mondo.
Leone D’Ambrosio
Cade il libro di Poesie
Cade il libro di Poesie
che stringo tra le dita.
La tua parola nuda fugge
da questo tronfio
mondo
che sciorina sillabe
a più non posso.
Ora che la tua voce
Avevi per compagnia
un dio che ti tramortiva
ogni mattino.
E partivi così.
Ma ci resti
come ogni poeta
ora che la tua voce
è un’orfana vestita di celeste.
Chiuderemo gli occhi…
Chiuderemo gli occhi…
anche al Tempo
alla Morte
se avremo saputo cogliere
il segreto
della Bellezza.
Quanto di noi
resterà
un domani
come filigrana tra le mani
le palpebre
serrate
ma spalancate
sempre nell’azzurrità.
Il Sole oscurato dall’Ombra
Il Sole oscurato dall’Ombra,
dal turbinio dei poeti contemporanei
non cede alla Bufera,
folgore
riversa al mondo
le superstiti scie luminose
gli invincibili granitici versi
sottratti all’inclemente tempo.
Ancora anch’io mi scopro a tentare la pagina
Ancora anch’io mi scopro a tentare la pagina.
Ma non sono il ragazzo
che inseguiva farfalle.
I cieli si sono aperti
in tempesta.
Mi rimangono solo occhi attoniti
parole corrose
sino all’incavo delle labbra.
Niente basta a riempire
la clessidra
dei miei giorni impazziti,
dei sogni inariditi.
So che la vita ci appartiene
So che la vita ci appartiene e ci si svela
nei vorticosi segni della Demenza.
Ma tanto se di noi resta qualche lembo,
se rubiamo qualche segreto,
se tanto c’è dato nutrirci di brevi sospiri,
imprigionare raggi fulminei,
cedi pure al flusso della vita.
La tua immagine decadente
La tua immagine decadente
come il tuo foulard
avvitato al collo
che sfidava la Comare secca,
come dicevi,
come il cappello nero di Pier Paolo
che ti dava un’aria disincantata
nelle scorribande
solo con la tua anima solitaria
irride la spavalda immagine
di questo mondo capovolto
proteso all’eterno rovello
di una futile gloria.
Certamente morremo
Certamente morremo, per sapere
o per essere certi
che niente dura su questa terra
se non la bellezza del verso.
Certamente morremo
per essere eterni splendenti
come non lo fummo su questa
landa deserta senza senso.
Certamente morremo per nutrire
l’angoscia di questa vita.
Certamente per vivere moriremo
dentro l’angoscia
di questo sordo esistere.
Certamente morremo per essere.
Certamente moriremo alla morte (al sole)
“prima della fine immeritata dove saremo soli,
soli nelle spire del ricordo”.
E quando sembra
Anch’io vivo- consumandomi-
nel ricordo dei giorni
come ombre lunghe
sul mio corpo.
E quando sembra
di avere tutto toccato
tutto si ritrae irrevocabilmente
come l’acqua dalla mano.
Vivo consumando
la cenere dei giorni
alti eretti
sulla mia testa
come l’universo.
Anch’io.
Voglio trovare uno spazio
Voglio trovare uno spazio
per il ritratto di Dario,
uno spazio bianco come la sua anima
oscurata da questa società.
Un angolo dove stare
riposare
in pace
incrociarsi ancora con il mio guardo
come quando salivo le scale
di Via Pettinari o Bertani
o quando lui annoiato dalla Capitale
amava rifugiarsi
nell’assolato mare di Calabria,
perdersi nei vicoli del mio paese.
Voglio ritrovare ancora il riso
stridulo e argentino dell’amico.
Spaziare ancora nella solarità
della sua anima.
Salutarlo prima di addormentarmi.
La tua voce affaticata
La tua voce affaticata
risuonava pure alta
nel locale
spogliando Salomè
della sua virginea purezza
sfilacciando
anche la tua carne
come il sole
quando tramonta
come la luna infingarda
delirante
sui tetti di S. Lorenzo.
Ammutolisce la sala
guardinga
guidata da Biagio
nei tuoi meandri
nei tuoi respiri vitali.
I tuoi occhi
sono lingue di fuoco
anche tu
cane randagio
accucciato nel tuo dramma.
Poi cala il sipario.
E mentre Bruno e David
ti accompagnano a casa
Roma
impietosa
inghiotte i tuoi sogni,
la tua storia,
l’ultima tua poderosa
parola.
Eri il soffio tremulo delle stelle
Non c’è verso che possa contenere
la potenza e la solarità
delle tue labbra.
Eri il soffio tremulo delle stelle
spento dall’opaco dell’Universo
l’esile resistente filo d’erba
(in una tormenta inclemente)
Stroncato dal vento
l’urlo (la sonorità fragorosa) in un mondo
senza voce
che celestialmente traversavi
col Proclama del tuo fascino
e in cui – tacitamente- scontavi
la tua Morte segreta.
Rocco Salerno
Rocco Salerno è nato a Roseto Capo Spulico (Cosenza) nel 1952 ma è vissuto per tanto tempo a Roma prima di trasferirsi a Fondi (Latina) dove insegna materie letterarie. Ha pubblicato numerosi libri di poesie e saggi critici e collabora a diverse riviste letterarie nazionali.