La poesia di Simone Consorti è poesia dotata di grammatica e di struttura rigorose nel gioco serissimo di rime e di sberleffi, di citazioni e di osservazioni lasciate e lanciate, sassi nello stagno e sassi a memoria, con apparente noncuranza. È un tratto che unisce sapienza (e se non certo la sapienza dei libri sapienziali, senz’altro quella delle scritture smascherate e spogliate di intenti manipolatori e di controllo) e creatività. Sapienza e creatività duettano anche in questa raccolta, spogliate, non francescanamente, ma con un understatement intenzionale e irridente, di qualsiasi retorica, e per questo ancora più incisive. Sono testi nei quali Consorti fa conversare la “grammatica della fantasia” di Rodari con lo spiazzamento elevato a metodo di conoscenza, lo spiazzamento perseguito e realizzato magistralmente da autori svizzeri di lingua tedesca, Friedrich Dürrenmatt in primis, con il suo rovesciamento di miti, eroi e credenze – La morte della Pizia, Il Minotauro –, e, accanto a Dürrenmatt, Peter Bichsel e Hugo Loetscher, narratori sublimi di aneliti e piccoli tragicomici fraintendimenti quotidiani gli uni, esploratori dell’ignobile e ineludibile sostrato dell’esistenza – si pensi a L’ispettore delle fogne – gli altri. Di Dürrenmatt e Loetscher, poi, va menzionata in questa cornice di familiarità anche la produzione in versi: penso, in particolare, a passaggi di Salmo svizzero dell’uno e alla poesia Abbraccio dell’altro, testi che possono essere letti in traduzione italiana nell’antologia pubblicata da Crocetti nel 2013 e curata da Annarosa Zweifel Azzone Cento anni di poesia nella Svizzera tedesca. Simone Consorti opta per un dettato comprensibile, smussa le punte, o meglio cela asperità e rudezze di storie e luoghi dietro un fluire piano, senza tumulti, con la grazia immediata di un nursery rhyme. Solo che il suo rovesciamento in “Nursery Cryme”, per dirla con il titolo di un celebre album dei Genesis, attende al varco, dopo essersi appostato tra le pieghe dei singoli versi, per manifestarsi apertamente nella chiusa. Questa, a sua volta, invita a ripercorrere l’intero testo di ogni componimento, perché fa luce su ulteriori possibili sentieri interpretativi. È il caso, per fornire un esempio concreto, proprio della prima poesia della raccolta, Alla frontiera, che accoglie termini ricorrenti, lo specchio, il volto, lo schermo, la curiosità tanto morbosa quanto volatile e volubile degli altri, l’estraneità: «La guardia di frontiera / ha detto che non sono io / e che neppure mi assomiglio / tanto meno mi potrei spacciare / per mio padre o per mio figlio / Mi intima di restare fermo / e per convincermi / mi mostra uno schermo / che qui chiamano specchio / Gli altri passano e mi guardano / facendo di no con la testa / Devo essere una brutta persona / se sono l’unico che resta / Mi studio di nuovo sul mio documento / ma la guardia mi spiega che è vecchio / e lo straccia / fissandomi con la mia faccia». Le tre sezioni che compongono la raccolta, la prima, Le ore del terrore, che dà il nome a tutto il volume, la seconda, Preghiere e bestemmie sincere, la terza, Spoon River Italia, sviluppano in continuità stile e struttura dei testi poetici di Consorti, ampliando lo spettro di temi e di punti di vista dai quali catturare un’immagine, un evento, un incontro.
Anna Maria Curci
Facce
Facce incredibili
modellate dal freddo e dal vento
dall’età dalla vodka
e da qualche turbamento
Le guardo cambiare allo specchio
senza fare alcun commento
né una fotografia
Uso la macchina
solo per coprire la mia
Senza luce
Senza luce
di notte
non riesco a vedere le vignette
Dicono che fossero
disgustose e provocatorie
Senza luce
di notte
non riesco a vedere Dio
Dicono che sia
grande e punitivo
Senza luce
di notte allo specchio
non riesco a riconoscere
né il giovane né il vecchio
né il ricco illuminato
né il povero plagiato
Senza luce
siamo sempre un po’ diversi
persino da noi stessi
Da quando Dio ha messo il preservativo
Da quando Dio ha messo il preservativo
qualcosa continua a succederti
ma tu non sei più vivo
Le tue bestemmie le tue preghiere
e quelle parole che biascichi
certe sere
Nemmeno l’assenza del cielo
o del mare
riesci più a immaginare
Nemmeno uno sputo
per farlo esondare
Hai chiaro soltanto il tuo limite
e intravedi giusto il buio
oltre quello stipite
Forse non è mai esistito
nemmeno il vostro addio
Tanto più la vostra prima volta
quel sesso contro un muro
in quella notte limpida di nebbia
e di futuro
Amo i fiammiferi
Amo i fiammiferi
che bruciano fino alla fine
eppure nutro un debole
per quelli che si spengono
e a un fievole soffio di vento
miracolosamente si riprendono
Ammetto che penso
sempre più spesso
a quando la capocchia
si stacca dal resto
perché in quel caso non sapremo mai
come avrebbe illuminato l’universo
se per niente o per sempre
se accecando o in modo effimero
Più di tutto vorrei leggere il tuo libro
alla luce di quel fiammifero
VII.
Non si sa perché i treni deraglino
e perché a morire è uno su mille
So però che dovevo prendere
quello delle 7 e 17
e l’ho perso in quanto il giornalaio
non mi aveva dato l’allegato
Allora ho preso quello delle 7 e 29
e mentre è successo
proprio l’allegato stavo leggendo
un articolo su come l’aneto
renda il sapore del salmone
più intenso
È da storie come questa che capisci
quanto la vita sia priva di senso
Simone Consorti
L’ha ribloggato su Paolo Ottaviani's Weblog.