
Charles Jervas, Ritratto di Lady Mary Wortley Montagu, 1718. Dublin, National Gallery of Ireland
The Lover: A Ballad
At length, by so much importunity press’d,
Take, C——, at once, the inside of my breast;
This stupid indiff’rence so often you blame,
Is not owing to nature, to fear, or to shame:
I am not as cold as a virgin in lead,
Nor is Sunday’s sermon so strong in my head:
I know but too well how time flies along,
That we live but few years, and yet fewer are young.
But I hate to be cheated, and never will buy
Long years of repentance for moments of joy,
Oh! was there a man (but where shall I find
Good sense and good nature so equally join’d?)
Would value his pleasure, contribute to mine;
Not meanly would boast, nor would lewdly design;
Not over severe, yet not stupidly vain,
For I would have the power, tho’ not give the pain.
No pedant, yet learned; no rake-helly gay,
Or laughing, because he has nothing to say;
To all my whole sex obliging and free,
Yet never be fond of any but me;
In public preserve the decorum that’s just,
And shew in his eyes he is true to his trust;
Then rarely approach, and respectfully bow,
But not fulsomely pert, nor yet foppishly low.
But when the long hours of public are past,
And we meet with champagne and a chicken at last,
May ev’ry fond pleasure that moment endear;
Be banish’d afar both discretion and fear!
Forgetting or scorning the airs of the crowd,
He may cease to be formal, and I to be proud.
Till lost in the joy, we confess that we live,
And he may be rude, and yet I may forgive.
And that my delight may be solidly fix’d,
Let the friend and the lover be handsomely mix’d;
In whose tender bosom my soul may confide,
Whose kindness can soothe me, whose counsel can guide.
From such a dear lover as here I describe,
No danger should fright me, no millions should bribe;
But till this astonishing creature I know,
As I long have liv’d chaste, I will keep myself so.
I never will share with the wanton coquette,
Or be caught by a vain affectation of wit.
The toasters and songsters may try all their art,
But never shall enter the pass of my heart.
I loath the lewd rake, the dress’d fopling despise:
Before such pursuers the nice virgin flies:
And as Ovid has sweetly in parable told,
We harden like trees, and like rivers grow cold.
Mary Pierrepont Wortley Montagu
L’amante: una ballata
(1713)
Ed alla fine, signorina cara,
per una volta sii tu ad ascoltare
quello che provo in cuore, a ciò sospinta
da te, che inopportuna troppo fosti.
Non a natura, paura o pudore
devo imputar la stupida indolenza
che così spesso biasimi: né son,
però, come una statua di vestale
in piombo, o forte in testa mi rimbomba
la predica del prete la domenica;
so ben, del pari, quanto il tempo vola,
che non si vive che per pochi anni,
e meno ancor son quelli giovanili.
Detesto esser tradita, tuttavia,
e mai vorrò scontar attimi lieti
pagandoli con anni di rimpianti.
Oh! Se esistesse chi (ma chissà dove
si mescolan buon senso e buon carattere?)
sappia esaltar il suo piacer, al mio
contribuir; non darsi delle arie
grettamente, non far piani da laido;
non esser troppo austero, ma neppure
insulsamente vuoto, ché vorrei
poter, eppure mai recargli pena.
Pedante zero, ed istruito, invece;
neppure licenzioso o ridanciano
forse perché non ha cose da dire;
con tutto intero il sesso femminile
si mostri sciolto e rispettoso a un tempo,
ma tranne me nessuna l’appassioni;
in pubblico preservi quel decoro
che si convien, e nello sguardo sveli
che veramente crede a quanto dice;
di rado poi m’accosti, e mi s’inchini
con educazione, non da sfrontato
ipocrita o rifícolo affettato.
Quando, però, sian l’ore interminabili
mondane ormai passate, e c’incontriamo
finalmente davanti ad un arrosto
e a uno champagne, ogni piacer
che viene da passione allieti l’attimo;
timore e discrezione sian banditi!
Scordandoci o beffandoci dell’arie
che in pubblico ci demmo, egli potrà
deporre l’etichetta ed io l’orgoglio.
Perduti dentro la felicità,
potremo confessare che viviamo,
lui esser impetuoso ed io indulgente.
Quella mia gioia possa aver radici
solide e forti, e fascinosamente
possa l’amico fondersi all’amante.
Nel suo tenero cuor possa fidar
l’anima mia, ed il suo garbo darmi
pace, farmi da guida i suoi consigli.
Con un siffatto caro innamorato
nessun pericol mi spaventerà,
nessun tesoro m’allontanerà;
se non avrò quest’essere stupendo,
ancor casta vivrò, come finora.
Io non avrò a che far con la cocotte
a caccia d’avventure coi maschietti,
e mai sarò sedotta da finzioni
d’erudizione vana. Adulatori
e incantatori potran dispiegare
tutte le loro abilità d’artisti,
ma del mio cuor non varcheranno il passo.
Mi disgustano i cialtroni puttanieri,
disprezzo i cicisbei impomatati:
davanti a questi spasimanti fugge
la vergine graziosa: e come Ovidio
narrò con una tenera parabola,
sappiamo farci dure come tronchi,
e come fiumi raggelar, d’inverno.
(traduzione di Furio Durando)
NOTA DEL TRADUTTORE
Mary Pierrepont Wortley Montagu fu un’affascinante protagonista della letteratura inglese del primo Settecento. Nata a Londra sotto le stelle dei Gemelli nel maggio 1689, fu dotata di talento versatile e di un carattere forte. Spirito così libero da vivere la propria vita con elegante spregiudicatezza, è ricordata soprattutto per il suo ampio epistolario, ma è tutt’altro che priva d’interesse la sua produzione poetica, cui s’accompagnarono brevi saggi e scritti in prosa accomunati da una brillante eloquenza, solida cultura e una visione progressista che rispecchia appieno i valori illuministici dei quali si nutrì già in giovanissima età. Viaggiatrice instancabile, fece dei suoi viaggi strumenti di conoscenza e riflessione; donna cosciente della propria identità, precorse una visione “protofemminista” delle relazioni tra i sessi; aperta alle conquiste della scienza, fu tra le prime e massime sostenitrici delle vaccinazioni allora in corso di sperimentazione, avendo essa stesso patito di un attacco di vaiolo che aveva deturpato il suo aspetto. Sposatasi nel 1713 con Edward Wortley Montagu, lo seguì nel suo incarico di ambasciatore britannico a Costantinopoli (1716-1718), ma una crisi coniugale irreversibile segnò gli anni seguenti, nei quali iniziò la sua attività letteraria. Dopo le sei Town Eclogues giovanili, concepite come variazioni dotte sulle Bucoliche di Virgilio e probabilmente supportate dall’amicizia con John Gay e Alexander Pope (quest’ultimo, innamorato di lei e respinto, l’avrebbe poi dileggiata ingaggiando una polemica letteraria molto acida), scrisse un pamphlet anonimo contro Jonathan Swift (1734), un adattamento della commedia Semplicità di Pierre Marivaux e una quantità di saggi densi di riferimenti alla politica, alla condizione femminile e al cinismo imperante dei suoi tempi. Nel 1736 iniziò la tormentata storia d’amore con Francesco Algarotti, lo scienziato e saggista italiano in quegli anni a Londra. Gli propose di andare a convivere in Italia, ed effettivamente nel 1739 finse al marito e al figlio di dovervisi recare per motivi di salute, ma l’incontro con Algarotti avvenne solo nel 1741, dopo il soggiorno berlinese di questi, e fu causa di amara frustrazione. Dal 1742 al 1746 visse ad Avignone, dopodiché tornò in Italia per vivere una nuova relazione col giovane conte Ugo Palazzi e condividere un decennio tra Brescia e Lovere, sul Lago d’Iseo, e Venezia; di qui rientrò nel 1761 in Inghilterra, a seguito della morte del marito. La morte la colse a Londra, nell’agosto 1762, vittima di un cancro.
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La ballata scritta nel 1713 e intitolata L’amante fu per la prima volta tradotta in italiano nel 1740, da Antonio Schinella Conti. Si tratta di un’appassionata dichiarazione della propria idea di amore, scritta con l’entusiasmo di una ventiduenne prossima al matrimonio cercato e voluto dopo essersi opposta alle nozze combinate dal padre con un altro pretendente. Ed è una risposta elegantemente seccata a un’amica – di cui il testo originale conserva solo la lettera iniziale – che ha finora accusato la Wortley Montagu di essere indifferente alle sue pene d’amore. Ordita in sei stanze di otto endecasillabi ciascuna, esordisce col pretesto della “risposta” all’amica, ma presto si eleva a considerare la fugacità del tempo e della giovinezza: un riferimento che si comprenderà pienamente solo con gli ultimi versi della ballata, nei quali la castità – qui intesa davvero non come mera (e un po’ squallida) astinenza, ma come coerenza tra ideale e prassi di comportamento – è l’arma usata non già per preservare “tecnicamente” una verginità, ma per non dissipare tempo, sentimenti, passioni in compagnia di esseri mediocri, come una maneater, una pupa che si lasci affascinare da eruditi, o una stupida che cede alla volgarità o alla vacuità di maschi superficiali. Se il profilo dell’uomo ideale (The Man I Love cantata da Ella Fitzgerald sta agli antipodi di questa dichiarazione) è delineato con chiarezza da contrasti e ricorrenze, il passaggio in cui descrive la differenza che deve sottintendersi fra la dimensione pubblica della coppia, obbediente ai clichés della morale condivisa, e l’intimità del privato è d’incantevole candore. Un inno alla passione, alla semplicità, alla privata trasgressione in nome di un essere autentici, nell’esclusività dei sentimenti, si libera nei versi della poetessa inglese. E la conclusione orgogliosa con la quale ribadisce la propria indisponibilità ad accettare inadeguate compagnie ha l’entusiastica potenza della citazione ovidiana dalle Metamorfosi.
Furio Durando
L’ha ribloggato su Paolo Ottaviani's Weblog.