
Piero Manzoni, Soncino, 13 luglio 1933 – Milano, 6 febbraio 1963
Gamme di confezioni simili alla carne in scatola incominciano a circolare anche nel Belpaese. Ciascuna riporta una scritta plurilingue che attesta con pignoleria poliziesca “Contenuto netto gr. 30. Conservata al naturale. Prodotta e inscatolata nel maggio 1961”. La carta bianca dell’involucro è punteggiata Piero Manzoni a garanzia qualità. Sopra, ogni sottovuoto è autografato e reca contrassegno del numero di serie. Le scatolette vendute al prezzo di trenta grammi auriferi dicono che la sensibilità dell’artista va pagata a peso d’oro e scomoda il binomio sterco e denaro. Le feci sono merce di scambio, un dono alla mamma per procurarsi l’affetto ma anche per poterla aggredire. L’atteggiamento è scherno contro il feticismo dei collezionisti e la mitizzazione dell’opera che deve rendere accettabili tutti i prodotti finiti, purché il risultato esprima l’estro di chi lo realizza.
Nell’Italia postbellica, il boom sollecita campionari dove la mitologia della firma autentica si lega di più alle speculazioni che all’effettivo valore. Senza conservanti è l’origine protetta della merda che se in confezione e certificata Piero Manzoni si profuma pigmento dell’arte e vuole stima congrua, l’odore dei soldi. La quotazione ottiene picchi di richieste nonostante Manzoni subissi di ingiurie le aste e calunni la ciarlataneria dei colleghi. Merda è la ciliegina che zucchera le rivolte contro il consumo esasperato e proliferante dei tardi Anni Sessanta, poi il dessert del castigo, servito ai commensali presi ostaggio dai repubblichini in Salò o le 120 giornate di Sodoma. La morte prematura di Manzoni non gli permette di realizzare il Placentarium, teatro a forma d’uovo dove ciascuno si sente come in un utero. Pur nella goliardia, Manzoni con il Pasolini di Petrolio provoca la riflessione sul fare artistico e la crisi del concetto di autore, il rapporto tra lo spessore culturale e il costo in denaro dell’opera, se deve durare o essere effimera. “Perché realizzare un’opera quando è così bello sognarla soltanto?” dirà Pasolini, improvvisatosi pittore in Decamerone. La domanda cade nel vento ma l’ironia sull’artista creatore divino e il suo volo d’Icaro replicano all’appello. Manzoni porta all’estremo la crisi prodotta dall’impossibilità di depenalizzare sane fisiologie senza ricorrere ai soliti trucchi di mercato. Con la merda apre un cesareo e squarcia la finzione economica che tiene in piedi l’arte. Manzoni supera l’aspetto visivo e urta l’intelligenza di chi guarda per rompere, con il vasetto incriminato, l’ambiguità tra l’embrione interno e l’adulto fuori. Le novità della settimana sono infatti la spazzatura e i detersivi che diventano rifiuti inquinanti, due facce della stessa ossessione per l’igiene e il consumo. Compera, lava, butta e in città crescono le discariche, estranee al contesto rurale dove ancora il letame viene metabolizzato concime. Lo scarto è categoria di pensiero, una fetta di sé che non ha rilevanza materiale né spirituale. In precedenza Yves Klein usa le modelle come pennelli viventi da azzurrare nelle zone erogene cioè seni, pube e cosce. Rende le sue donne atrio di fecondità e, non a caso, dopo poco le parole di Modugno invitano a “volare nel blu dipinto di blu”.
La merda di Manzoni è vocazione per trovarvi motivo di gioia e autenticità. Deglutirla a cucchiaiate sperimenta il pianto con chi piange, il lavoro per chi soffre, ha budella di compassione per i deboli in un mondo di parvenu che evadono e finti nullatenenti o disonesti poveri che tra loro si odiano. La merda è amore ricevuto e offerto senza limiti nella sua solidità a volte amniotica, grido di rabbia e delizia di passioni dettate da dentro. Il segreto è coltivarla vigilanza in grado di giocare d’anticipo prima che i buoi abbandonino la stalla o che si debba frignare sul latte versato di uccisi o feriti rimasti sul campo. Il gesto che gli addetti al “culto” alias “il Potere” non fanno, lo attua un samaritano “di merda” solo perché diserta il colle di Sion quando, mosso da compassione, infrange i divieti per incontrare il sopraffatto e lievita le sue competenze in servizio volontario contro le SS del caso. Un ingegno che avverte pietà è viscera materna che pone uno o più esseri in relazione. La merda adesca con lo stesso cordone che lega la madre al figlio nell’esigenza di tenerezza comprensiva e non finisce mai di riaverlo. Se Pasolini scantona, mamma Susanna tende le mani per dargli fiato e lacrime, così fa l’arte delle contraddizioni che, senza sollevarsi da terra, porta la notte nel sereno di una scampagnata lungo il rimorso. Pasolini con l’hobby della bicicletta rompe la borraccia sui pedali e invita l’aborto a discendere nel rigoglio di un fossato, la vita, per poi pungersi ortica recisa col parto. Non saper darsi risposte esaurienti nell’interpretare un’opera crea malesseri, turba, insedia la frustrazione di non riuscir a guarire un’epoca. È l’estasi dello schifo che Piero Manzoni osa per descrivere il suo ventennio di dopoguerra, oltre i miasmi d’autore fino ai posteri.
Michele Rossitti