Maria Grazia Ferraris, “La luna giocosa. Gianni Rodari e Italo Calvino. Leggerezza ed Esattezza”, Menta e Rosmarino Editrice – 2016, letto da Roberto Taioli

skm_c454e17010311250_0001In questo lavoro Maria Grazia Ferraris indaga con estremo rigore ed ampia documentazione raccolta nel volume, la coppia Rodari/Calvino imparentati da una comune stoffa poetica. Mancava, credo, uno studio del genere, che allontanasse tra l’altro Rodari dall’infelice stereotipo di scrittore d’infanzia, consegnandolo pienamente ad una valenza letteraria a pieno titolo. Lo studio della Ferraris tende a cogliere le affinità tra i due scrittori e a valorizzarne la tensione verso il mondo del fantastico e del fiabesco. Il surrealismo, pensato come tensione a valicare le strette frontiere del reale, tiene insieme i due scrittori, nel senso di inserirli in una omogenea dimensione che sollecita il lettore a disfarsi dei suoi pesi e a lasciarsi trasportare, dislocare, straniarsi. L’autrice ricostruisce la vita artistica e letteraria dei due autori, dimostrando di conoscere a fondo le tappe della loro formazione e della loro evoluzione. Dagli inizi neorealistici di Calvino, seppur già attraversati da una sfumatura fantastica che sfocerà nella produzione matura, a Rodari che conobbe anch’egli una breve stagione segnata dal realismo come voce di denuncia sociale, ma pronta a farsi felicemente contaminare da altri generi ed altri codici che lo caratterizzeranno come esploratore del mondo del fiabesco, del fantastico, del paradossale, dell’immaginario. L’autrice sottolinea, mutuando i termini dalle celebri Lezioni americane di Calvino, che leggerezza ed esattezza non confliggono ma si impastano sapientemente nell’esperienza spirituale e di scrittura dei due autori; “la leggerezza rodariana così come quella calviniana non è abdicazione all’impegno, ma forma leggera di un contenuto che non si stempera solo perché messo in versi ridenti piuttosto che in prosa seriosa, o perché ha assunto la forma – allusiva- di un racconto o di un gioco per l’infanzia” (p. 18), non può essere sminuita ad evasione dal reale sic et simplicter, ma richiede un processo più profondo di metaforizzazione e di rovesciamento, esercizio letterario e di lettura in qualche modo terapeutico ed educativo, che richiede anche al lettore una metamorfosi ed una trasformazioni dei suoi termini di accesso alla parola, spesso codificati e preformati. Tra gli altri il tema del cielo e della luna è uno dei più efficaci che accomuna i due autori; la luna per entrambi, è una fidata musa ispiratrice, che rimanda tra l’altro ad esperienze letterarie anteriori ben note ai due scrittori (Dante, Ariosto, Leopardi). Per entrambi la luna e’ senza peso, aerea, sfuggente, misteriosa ma accattivante, debole, mobile. Seguiamo questo passo rodariano: “ Quella notte la maestra Santoni non dorme. Dietro le persiane chiuse del soggiorno, ella sorveglia le sue piante per sorprendere il segreto della loro vita notturna. Attende per lunghe ore, animate a intervalli da un passaggio di gatti rissosi, da uno scricchiolio di mobili, da un rodio di tarli. Passano sul prato folate di nebbia. La luna è in ritardo. Eccola che sorge, debole chiarore lontano. Ed ecco che a quel lume, come ad un segnale, le piante sembrano destarsi, scrollarsi silenziosamente dalle radici. Eccole spostarsi tutte e cinque, ora con sorniona lentezza, ora con brevi scatti veloci, lungo i quattro lati del rettangolo. Tocca al tiglio agitarsi nello spazio centrale … Ora le maestra Santoni sorride, di se stessa delle sue colleghe scettiche, dei medici o specialisti oculisti cui l’avevano indirizzata, ma soprattutto di quel che sta vedendo e che è ben sicura, ora, di non immaginare o sognare. Le piante stanno giocando ai quattro cantoni. E perché no? Che ne sappiamo veramente noi delle piante? Ci siamo mai informati sui loro progetti per il futuro? E se il regno vegetale aspirasse a raggiungere il livello del regno animale? “ p. 71). La maestra Santoni che attende l’affiorare della luna è dislocata, perché crede e vede i paesaggi tracciati dal solco lunare, a dispetto delle banali opinioni degli altri che la identificano come portatrice di un difetto visivo. Il libro contiene tra l’altro un interessante capitolo sul Futurismo varesino. Rodari, nativo di quelle terre, manifestò interesse per le avanguardie futuriste che costituiscono il suo retroterra profondo. A Varese si diffuse un consistente nucleo di produzione futurista come appendice del più noto e diffuso futurismo milanese. L’autrice ha indagato questo terreno ed offre una interessante ricognizione dei fogli futuristi fioriti in quella zona.

Roberto Taioli

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