
Leonardo Sinisgalli (1908-1981)
Ci sono luoghi dove vorremmo restare sepolti.
Noi andiamo alla ricerca di questi luoghi.
(Leonardo Sinisgalli in “Furor mathematicus”)
Via Velasca, nel centro di Milano, a poco meno di cinquecento metri dal Duomo, cancellata, come del resto molte altre parti centrali, dai gravissimi bombardamenti delle Forze alleate che hanno martoriato la città dal 1940 al 1944. Nell’immediato dopoguerra la forte volontà di rinascita prende slancio ancor maggiore e su queste ferite del tessuto urbano si fanno progetti di nuovi interi isolati e di nuovi edifici. La città si vuole rialzare e ripartire diventando, anche attraverso le nuove architetture, non solo artefice del proprio riscatto ma addirittura spunto per quello dell’intero paese. E’ in questo scenario che nei primi anni cinquanta vengono formulati i primi studi sull’area seguiti poi negli anni 1956-1958 dalla sistemazione definitiva dell’area e la realizzazione della “Torre Velasca”. Un’architettura che tra le molte polemiche, sviluppatesi in modo incisivo anche a livello internazionale, (basti pensare al congresso del CIAM di Otterlo del 1959 dove ci fu forte contestazione non solo per la Torre ma anche per gli altri progetti italiani presentati), oggi fa parte dei capisaldi dello skyline milanese.
Ora Via Velasca non esiste se non in una poesia di Leorardo Sinisgalli che ne porta non solo il nome nel titolo ma sopravvive come luogo della memoria grazie a quei versi. Nella produzione poetica di Sinisgalli è naturalmente la Lucania ad essere uno spazio poetico privilegiato ma vi sono anche altri riferimenti a luoghi di Roma o, come in questo caso, di Milano che ci consegnano una ulteriore serie di veri e propri “luoghi dell’anima”. Ci aiuta a far ancora maggior luce uno scritto molto interessante dell’architetto e professore Paolo Portoghesi che alla figura di Sinisgalli è per molteplici motivi molto legato. Si tratta della prefazione ad un libro di Sinisgalli dal titolo “Promenades architecturales” dove Portoghesi ricorda: « via Velasca, il luogo dei luoghi, quello in cui la poesia di Leonardo ha fatto il miracolo di farlo sopravvivere a se stesso ». Nell’opera “Fiori pari, fiori dispari” ricorda ancora Portoghesi citando Sinisgalli « lo stesso poeta ci racconta la storia di questo suo luogo: “Tornavo a casa alcuni anni addietro, e una volta mi accorsi di Via Velasca. Ebbi l’impressione di aver per anni calpestato un cadavere disteso davanti alla porta: a un certo momento il cadavere si alza da terra e mi chiede, immemore, notizie di sé. Così mi accorsi quella sera di via Velasca e i versi di allora hanno commemorato quell’incontro inevitabile. Io volli legare al ricordo di quella strada un’immagine della mia vita, quella strada, le cui selci mi apparivano alla fioca luce dell’aria così profondamente logore. Io non dissi che la mia vita mi doleva come dolevano le costole rotte a via Velasca. Io dissi solo che una stessa luce poteva “soccorrerci insieme” in quell’ora, la luce che cadeva dai tetti quella sera sopra le povere ossa di via Velasca e dentro il mio petto“. La luce che può soccorrere l’uomo e il luogo, la luce di un’ora particolare, un’ora “diletta“, che rivela il luogo all’uomo e lo fa vivere in lui ma anche la luce dell’incontro che cambia l’uomo e per una strana magia può cambiare anche il luogo. Ma la strada volle forzare il senso di questi versi, volle compiere fino in fondo l’analogia che avevo lasciata esitante sulla curva delle parole; la strada volle concludere la poesia: ed ecco, io non la riconoscevo più dopo un mese di assenza. Una massa oscura di uomini stavano lì a picchiare, a scavare, erano entrati nei sottosuolo e bruciavano un fuoco bianchissimo che rendeva fantomatiche le facciate di quelle vecchie case insignificanti. Pensai: via Velasca vuole forzare il mio destino, vuole che io aggiunga qualche parola alla sua storia, alla mia storia ». Così Leonardo Sinisgalli ci ha lasciato i sentimenti di un luogo che, nello scempio dei bombardamenti, negli sventramenti della città e poi nella realizzazione di un edificio pur importane e significativo come la torre Velasca, trovano ora unico rifugio nella sua poesia.
Fabrizio Milanese
VIA VELASCA
Il calpestìo di tanti anni
L’ha quasi affondata, la via
Incredibilmente si è stretta.
Questa è l’ora mia, la mia ora diletta.
Io ricordo la sera che alla fioca
Luce si spense ogni rumore, un grido
Disse il mio nome come in sogno e sparve.
La via s’incurva, sgocciola
Il giorno dalle cime dei tetti:
Quest’ora dolce suona nel petto.
Non è che una larva restìa
La luce, un barlume: entro la boccia
Di vetro un pesce s’illumina.
Leonardo Sinisgalli
(da ‘Vidi le muse’, 1943)
L’anima dei luoghi!… Il Genius Loci!…non abitano più i territori della memoria. Le trasformazioni del nostro tempo hanno profondamente inciso sulla nostra sensibilità; sconvolto, se non deturpato, ambienti di vita e paesaggi. I luoghi dell’anima vivono comunque nella originaria visione, ricca di fascino, in noi che li abbiamo vissuti e nel canto dei poeti. E Sinisgalli ci trasmette sentimenti, caratteristiche e atmosfere, voci, silenzi di luoghi di esperienza, percepiti e colti con grande sensibilità: “Il calpestio di tanti anni / l’ha quasi affondata, / la via / incredibilmente si è stretta…Io ricordo la sera che alla fioca / luce si spense ogni rumore, un grido / disse il mio nome come un sogno e sparve.” (Via Velasca) “”Tu eri molto colpita dal colore delle montagne. / <> / <>. (Paese) “Al pellegrino che s’affaccia ai suoi valichi,….la Lucania apre le sue lande, le sue valli dove i fiumi scorrono lenti / come fiumi di polvere. / Lo spirito del silenzio sta nei luoghi della mia dolorosa provincia.. / il sole sbieco sui lauri…avido di bambini, eccolo per le piazze! / Ha il passo pigro del bue, e sull’erba / sulle selci lascia le grandi chiazze zeppe di larve…” (Lucania)