Al-tre poesie inedite di Corrado Calabrò

carrube-mature

Dov’è tuo fratello?

Dov’è tuo fratello?
E che ne so? Sono io il suo tutore?

Dov’è tuo fratello?
Eeh, non siamo gemelli siamesi.
La vita è come la fortuna: è strabica.
Ognun per sé e un qualche Dio per tutti.

Dov’è tuo fratello?
L’ho visto incamminarsi giorni addietro
con un figlio per mano e l’altro in braccio.

Dov’è tuo fratello?
Pioveva e c’era nevischio nell’aria.
Si sarà rifugiato in qualche ostello

Dov’è tuo fratello?
Perché lo chiedi a me? Io cosa c’entro?
S’era fermato e parlava ai suoi figli
sottovoce e tenendo gli occhi bassi.
Qui, lo sai, s’adora il Dio Mammona;
per chi non se l’intende con quel Dio
qui, mi dispiace, per lui non c’è posto.

Rispondimi! Dov’è tuo fratello?
Non ricordo nemmeno la sua faccia…

Ah, non ricordi com’è la sua faccia?
Alza gli occhi e guardami in volto!

 

La carrubbara

Tradatrà-tradatrà-tradatrà
Droppete-droppete:
la carrubbara protegge la città.

Stava sotto un carrubbo a Pentimele,
otto canne venti per novanta.
Gli americani coi B23
di solito venivano di giorno;
gli inglesi invece tra l’una e le tre.

Di giorno non sprecava molti colpi
la carrubbara.
“Quello tiene il fratello a Brucculino.”
“Cca quale! Se scendono in picchiata ….”

Però la notte tracciava nel cielo
binari luminosi intermittenti
come l’alfabeto Morse.
I vecchi in crocchi fuori dei rifugi
li seguivano col naso all’insù.

Tradatrà-tradatrà-tradatrà.

Ma una notte, suonata la sirena,
la carrubbara s’era ammutolita.
Quella notte sarebbe rimasta
per sempre negli occhi dei bambini
svegliati dalle mamme in pieno sonno.

“Oh, gli angiulilli belli del Signore!”:
donna Stefana aveva novant’anni
e stava sul terrazzo a braccia alzate.
Centinaia di bengala illuminavano
a giorno il cielo, il mare e la città.
Il vescovo era uscito sul balcone
con un pigiama a fiorellini verdi;
così fu ritrovato l’indomani.

La ferrovia, il porto, l’episcopio:
ogni fischio una bomba in arrivo
ogni scoppio un brevissimo sollievo.

S’era ormai spento l’ultimo bengala
quando si sentirono due raffiche
droppete-droppete
e il rombo strozzato d’un aereo.

Dopo sei giorni si scavava ancora
dove il fetore indicava cadaveri
ma noi andavamo in cerca di bengala
e aspettavamo la prossima incursione.

A Pentimele
la consegna era “bocche cucite”;
il capopezzo venne destituito.
Era tedesco l’aereo abbattuto.

 

Precessione
(Tsunami)

Tutti i giorni la stessa processione:
un trenino di granchi velocissimo
sgamba all’indietro parallelo al mare.
Solo oggi –Pasquetta- scomparsi;
avranno stramangiato anch’essi, ieri.
Mi piace da sempre, da ragazzo,
venire a mare la mattina presto
quando, spente le stelle, c’è nell’aria
un momento di strana sospensione.

Anche stamani si rinnova il rito:
potrebbe forse non levarsi il sole?
Qualche volta lo sogno, come sogno
una luna gigante, vicinissima.
Poi l’alba reifica i miraggi
e il mare stende fino all’orizzonte
la sua liquida coltre sopra gli incubi.

Il mare, insonnolito, si stiracchia.
Che pace aprire gli occhi a un nuovo giorno
galleggiando  su un’isola sperduta…
anche se stamani
ho avuto un lieve capogiro, alzandomi.

Il cielo è terso ma il mare è imbronciato.
Eh, cosa c’è?
Una sgrullata per i tiratardi…
le conchiglie si scrollano la sabbia
granchi isolati corrono in disordine.
In lontananza il mare si rincalza
come per impazienza su se stesso.
Qui sottocosta
l’acqua risente nella pancia tesa
d’una sorta di grande piattonata
che ammutolisce gli occhi ai nativi.

No, è passato, è stato come in sogno,
solo un forte rifiato dell’oceano.
Ho un lieve capogiro da stamani;
o forse è solo la testa pesante
-ieri sera abbiamo fatto tardi
e stento un po’ a tenere gli occhi aperti.
Una nave ch’era sullo sfondo
ora è vicina come per miraggio.

Ma cosa accade, cosa sta accadendo?
L’onda si ritrae come il Mar Rosso
scodellando l’isola in plateau.
…e l’orizzonte sembra più vicino…
Noi siamo come un’onda che trascorre:
una riga tracciata nel nulla.
Ehi, quel rimbocco, quell’increspatura
quell’onda che s’arriccia – eeh! – quel surf
sì quella, quello sembra…- o Dio!-
quello è proprio l’oceano che tracima…

Sulla spiaggia non c’è un solo appiglio
le barche sfarfalleggiano stupite
oh, oh sì! quello che sormonta
alto quanto una casa di otto piani
è l’ORIZZONTE che ci corre incontro
alla velocità d’un aeroplano…
I nativi sgambano a ritroso…
Aah!
Un sipario sigilla mare e cielo
l’avvento precorre la distanza
come l’inghiottitoio la cascata…
adesso e qui –sì, ora ora lo sento-
lo spazio tempo è ridotto a un solo evento!

Da cinque giorni rivolto cadaveri.
Mi guardano con facce conosciute
ignari di questo contrattempo:
sì, a nostra e forse a loro insaputa,
i morti –se non sogno-
ci somigliano tutti.

Corrado Calabrò

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