PER FRANCESCO
(…pensavo è bello che dove finiscono le mie dita
debba in qualche modo incominciare una chitarra. F. De Andrè)
C’è un tempo e un tempo e forse è questo il tempo
della disperazione per il transito
immanente dove ogni contrattempo
declina il quotidiano in un altro ambito.
Forse sono queste le prospettive
che da un altro canto puoi contemplare:
le magnifiche sorti e progressive
in un diorama da configurare.
Sarà facile correre col vento,
diradare le nuvole e respingerle
oltre una sintassi in dissolvimento
che attraversa le anime frantumandole.
Viaggi in un sogno che non ha confini
tra le architetture dell’impresenza
dove volano i falchi pellegrini
a indicar la rotta dell’ascendenza.
Sarai il discanto, la nota contraria
di un’armonia che trascende il cielo
e riverbera l’urna cineraria
all’alba sopra un fiore d’asfodelo.
Perché sì, c’è un intreccio di chitarre
tra le tue dita e le interferenze
della mente e quelle idee bizzarre
che elaboravi ogni notte a Firenze.
Adesso che hai raggiunto le alte vette
resta una lacrima per la distanza;
tutte le scarpe ci staranno strette
per giustificarci la lontananza.
Tu, testimone dei miei struggimenti,
dovrai guidarmi con gli occhi dei lupi
quando all’imbrunire gli spostamenti
del cuore frangeranno giorni cupi.
Sarai l’essenza di pini e ginestre
sul monte amato: “Coppola di Paola”
dove il guardo accoglie un mondo rupestre
tra i fiori del deserto ed una ciavola.
Mi hai detto dove giace la carogna
e dove seppelliscono gli anarchici
ma oramai più nessuno si vergogna
e beve il loro sangue dentro i calici.
Se ci darai la forza aspetteremo
che un albero incontri il cielo di Dio
e tra i rami e le foglie ascolteremo
il tuo ultimo canto senza oblio.
Sarà un peso per me la tua assenza
come è pesante scriver questi versi;
mi mancherà la tua confidenza,
la nostalgia degli “oltre” dispersi.
Resterai il fratello che non ho avuto,
il conto alla rovescia del perdono,
quell’eco decostruito e ribattuto,
la voglia di silenzio in abbandono.
E per ogni sciacallo comiziante
che include il tuo nome nel suo elenco
sia di monito il passo elegante
di chi avanza diritto e mai sbilenco.
E se vorrai lasciarmi una chitarra
vorrei quella della belligeranza
che sconfessa l’inganno della guerra
e dei potenti sfida l’ignoranza.
Sarà quel che mi resta di un inverno
non ancora cominciato al breviario
ma di già srotolato in un quaderno
da consultare a mo’ di calendario.
Come fossi Maria Maddalena
vorrei trattenerti per abbracciarti,
per raccontarti il dolore e la pena
che mi angoscia senza poter guardarti.
Forse eri atteso al concerto del cielo
dove tra le sinfonie celesti
ci racconterai un altro vangelo:
Cristo impegnato in diversi contesti!
Così sei il primo senza sepoltura,
bello com’eri non devi subire
la decomposizione e la paura
d’invecchiare da solo e non capire
il tempo che passa e più non inventa
l’attesa del giorno e nuova atmosfera
ma solo un dubbio che ancora spaventa:
¿sarà dolce la morte quando è vera?
Muore di ognuno anche un pezzo di cuore
e più non gusteremo primavera
in un arcobaleno di dolore
che segnerà l’anticipo di un’era.
Domani tornerò alle vecchie usanze
visto che ti allontani ora per ora
dietro al vento che non lascia speranze:
eppure questo vento fischia ancora!
Mi resta soltanto un sogno da fare:
tu che adesso corri la prateria
con la voglia di sempre di cantare
il mio canto di periferia.
Leggerai questi ultimi cento versi
là dove la vita non reca date,
tu, eterno migrante degli universi,
cercherai le nostre vite traslate.
Ricordati ogni tanto degli amici
perché c’è il tuo posto a questo desco
come memoria dei giorni felici,
come un sigillo di nome Francesco.
Francesco M.T. Tarantino
(Dedicata a Francesco Fortunato, 9 maggio 1956 – 5 luglio 2015)