Nelle celebrazioni del 4 novembre e del centenario della fine della grande guerra si ricorda da noi, in provincia di Varese, Adriana Bisi Fabbri, che è una straordinaria eclettica pittrice, morta prematuramente nel 1918, e dimenticata, come le tante donne attive artisticamente nella prima metà del Novecento.Una curiosa, poco conosciuta tomba in provincia di Varese, a Travedona, con le due date 1881-1918, la nascita e la morte, a dimostrazione della breve parabola di vita della pittrice, può ridestare l’attenzione Era ferrarese Adriana, ma si trasferisce presto a Padova per lavorare. La ospitano la zia e la cugina Boccioni, (infatti è cugina del grande artista che ha dipinto il suo ritratto); nelle pause lavorative studia, frequenta mostre e inizia a disegnare, ritraendo spesso le due donne amiche ed ospitali, in diversi ritratti a matita. Ha capacità, tanto che Giovanni Fattori, allora professore di Belle Arti a Firenze, segnala i suoi lavori come “lodevolissimi e di lieta promessa.” Nel 1905 raggiunge Milano, e crea un suo piccolo studio di pittura; consolida la conoscenza con Giannetto Bisi, da tempo frequentato, che ormai fa parte del mondo giornalistico, e ne nasce un amore ricco di confidenza e di speranza. Nelle lettere lei esprime il suo desiderio di affermazione, di arte, di emozioni, tanto che Giannetto appare un po’ geloso dei suoi pennelli e dei suoi colori: “talora mi fa male il vederti tanto compresa nel lavoro perché mi pare che la tua Arte in parte mi rubi qualcosa di te…”
Adriana racconta della sua visita alla Biennale di Venezia, del desiderio di lavorare, di dipingere… del ritratto che va facendo ad Amelia, – Amelia che ricama, Cecilia Boccioni che cuce, degli schizzi a pastello, del desiderio di cimentarsi con l’acquaforte…: vuole usare varie tecniche: olio, matita, pastello, acquarello. Conosce il pittore Carcano, ne apprezza l’arte dell’acquarello, visita al Castello Sforzesco i quadri di Mosè Bianchi, ammira il Cremona, conosce Conconi, che la apprezza, Previati, Grubicy de Dragon, pittori importanti a cavallo dei due secoli. Studia l’effetto della luce, ne è affascinata: lei non può entrare all’Accademia, perché non ha fatto nessun studio regolare, ma farà ugualmente, da sola, orgogliosamente, si impegnerà, studierà, con volontà e determinazione. Ammira Gemito, Rodin, visita lo studio di Previati che stima come un maestro. Compaiono nei suoi dipinti varie influenze, quella della pittura lombarda dell’800 – quella simbolista, ma anche quella espressionista, segnata dalle coeve esperienze d’Oltralpe. Adriana comincia la collaborazione al Giornalino della Domenica di Firenze, diretto da Vampa (Luigi Bertelli). Al giornale collaborano i migliori illustratori italiani, tra questi Antonio Rubino.
È attratta dalla novità artistica del tempo, il Futurismo, cui aderisce. A Bergamo partecipa alla mostra organizzata dall’Accademia Carrara: le viene acquistato il quadro intitolato Civetteria. A Pesaro espone Mossa di danza e Passo di danza, molto ammirati per “la bellezza, l’evidenza e l’arditezza”. È il tema futurista del movimento, del dinamismo del corpo, che lei interpreta con originalità Nel 1911 a Torino si inaugura la mostra Frigidarium, dedicata all’arte umoristica internazionale cui partecipano molti caricaturisti italiani, tra i quali Aldo Mazza e Giuseppe Scalarini, oltre alla stessa Adriana. In questa occasione escono le sue caricature sulle donne: donne di casa, occupazioni di donne, donne straniere. Notevoli: Civetta, Pitonessa, Lucertolina– tempere e acquarello in cui le donne metamorfizzate in animali simbolici –pavone, lucertola, civetta- esprimono i più vistosi difetti caricaturali del loro genere: dimostrano quanto la pittrice sa essere anticonformista e coraggiosa, come sappia esorcizzare il ruolo tradizionale della donna borghese….Come per la serie delle “occupazioni femminili”: il bambino che strilla, il marito in pantofole, lei che gli acconcia i capelli, i bisogni del pargolo ed il marito al tavolo da gioco con gli amici…che pretende la sua presenza…. Del resto non manca di rivendicare la sua emancipazione: …. “Sono passata attraverso tutti, per essere più “me” domani. Chissà se poi riuscirò ad essere “me””.
È sempre bravissima a passare da un registro all’altro. Graffia, gioca, esalta, si diverte. Compone opere di parodia del futurismo come Il chiar di luna futurista, ispirata al Manifesto di F. T. Marinetti del 1909. Viene considerata una rivelazione. Originali lavori di ironia incalzante e dissacrante, con una punta di surrealismo. La Salomè invece, verrà censurata e la stessa Adriana preoccupata dei possibili effetti negativi, la ritirerà. A torto. Sono davvero splendide le sue Salomè, pastelli su carta, sembrano un anticipo dell’arte di Botero. La Salomè di fronte, sovrabbondante eppur leggera e felice si abbandona al passo di danza, la Salomè di tergo, appena avvolta in un velo leggero si contorce dimentica di tutto fuorché del suo corpo, in delizioso carnevalesco appena accennato ballo di gioia. La fisicità come un diritto di cui la donna si deve riappropriare. La sua carica grottesca, la capacità di deformazione caricaturale sembra anticipare alcune scelte del movimento Nuova Oggettività e la pittura tedesca di Otto Dix e Gorge Grosz. Stupisce questa sua forza da autodidatta, lascia perplessi questa sua capacità di avvicinarsi alle varie scuole – dal simbolismo al divisionismo, futurismo, secessione, espressionismo, che precede la prima guerra mondiale – per poi attraversarle e proseguire autonomamente. Precorre i tempi. Incredibilmente moderno il suo autoritratto del 1911 con calzoni scuri e giacca di taglio maschile, tenuta a cui tiene molto, il taglio mascolino che non la confonde con le altre donne, come i capelli alla maschietta, ed il futuro pseudonimo adottato Adrì, volutamente ambiguo. Sta conducendo uno studio, un’analisi psicologica degli stati d’animo che diventano protagonisti delle sue composizioni. Nel ’13 infatti si dedica alla descrizione dei vari stati d’animo: il dubbio, lo stupore, il dolore, l’ansia, la fierezza, la disperazione, la meditazione, la serenità, il riso …
A Milano tra il ’12 il ’13 si forma il gruppo Nuove Tendenze, il cui teorico è Ugo Nebbia. Anche il già futurista Prampolini se ne occupò, ed accusò il gruppo di giovani lombardi di avere plagiato le idee futuriste. Ma il Messaggio del volantino era in realtà una palestra di energie giovanili che tentavano nuove vie di ascesa allontanandosi dalle scuole tradizionali. Adriana vi partecipa con due opere- L’abbraccio e La danza-, tende a rendere il movimento, la dinamicità e il volteggio dei corpi coi contorni curvilinei : rappresenta il punto di trapasso tra le forme più avanzate d’arte riconosciuta e quelle dell’arte futurista. Il 1914 è anche politicamente la data storica dell’inizio della 1^ guerra mondiale. Consapevole dei tempi in cui vive, Adriana esegue il dipinto Manifestazioni Interventiste, 1915. A questo tema dedica parecchi lavori, lavori in china, umoristici e caricaturali, pubblicati sul Popolo d’Italia e parecchie illustrazioni ironiche. Dal 1915 collabora per la casa editrice Sonzogno alla Domenica Illustrata, illustra novelle, disegna per la pubblicità, si interessa anche di moda, per la rivista Lo Sport Illustrato e la Guerra… Ritiene che la situazione storica debba indurre anche la moda all’equilibrio, alla disinvoltura, alla sobrietà, alla semplicità e praticità e contribuire al rinnovamento dei costumi. È assente a lungo da casa, tanto che il marito le indirizza una lettera piena di scontento. .. “ dico a te: guardati, guardati e sorvegliati! Perché se vuoi andare di là dal muro sola, dovrai andarvi veramente sola. E qui smetto…” Nella primavera del ’18 imperversa la spagnola, e le sue condizioni di salute si aggravano. Si trasferisce a Travedona, presso i Tallone, di cui è amica della figlia, Teresa Tallone, sposa del critico Enrico Somarè. Muore nel 1918, ed è sepolta a Travedona. Ricordando l’ultimo loro viaggio a Travedona Giannetto Bisi scrive:
“La strada si prolungava, si accidentata; treni senza coincidenze, tram senza corrente, vetture senza vetturali, barche malfide, e su tutto quel vento, quel gran vento che galoppava in colonne di polvere a tradursi in un corruccio oscuro del lago; e anche quel brivido di freddo con cui tornava febbraio nel cuore di maggio. Ti ricordi? La meta si allontanava, si vaporizzava, quasi mitica. Dov’era la terra promessa?… Ma no, tu hai vinto, hai trovato in te una forza nuova: ti ha fatta rinascere la certezza che lassù, tra la montagnola e il lago, nell’oasi fiorita di sole la salvezza ti aspettava…”. Solo Poesia, purtroppo.
M.Grazia Ferraris
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