
Gaetano Cellini, L’umanità contro il male
La vita nuova
I (il male)
Ma nei fatti io non ho mai chiesto molto
Gli amici miei sempre pochi e cattivi
I miei vent’anni: gli antidepressivi
Ho rinunciato a ciò che mi era tolto.
Terrore non appena aperti gli occhi
Stavo immobile nel letto, di ghiaccio
Coi deliri in testa, i tagli sul braccio
Un volto disperato negli specchi.
Ma va bene, dai, è tutto perdonato
È tutto dimenticato. Ricordi?
Non fa niente, dicevo, anche se è tardi
Chiuderò un occhio sopra al mio passato.
Dimenticato, tutto scorderei
Come se gli anni fossero sospiri
Scordiamo le lacrime ed i deliri
Tutto scusato. In cambio voglio lei.
II (la redenzione)
Credetti quasi di trovarlo, il senso
Che tutto poteva essere aggiustato
Sarà placato, il mio dolore immenso
Pensavo questo, guardando le tue foto.
Ed una sera, pure ancora ostaggio
Della mia stanza, piena di dolore
Col cuore in gola, mi misi a saltare
Perché avevi risposto al mio messaggio.
Insomma poi, alla fine non so come
In un modo o l’altro sono rimasto
Abbastanza ingenuo ed un po’ coglione
Da continuare a dire “io ci sto”.
E ci credo, mi sono detto “Okay
Tutto potrebbe avercelo un motivo
Potrei affrontarlo, l’inferno che vivo
Avrebbe senso, se solo avessi lei.”
III (la Ragazza greca)
Chissà quante volte facemmo il giro
Ricordi a Civita quel pomeriggio?
Dopo due anni avevo preso il coraggio
Che bello! È un segreto solo tuo e mio.
Solo per quel giorno è valsa la pena
Tutto l’inferno che ho vissuto prima
Solo per due passi con te vicina
Che bel ricordo! Buona notte, E.
I dolori del giovane Werther
Svanisce per me l’universo, il mondo
Scompare la realtà che sta d’intorno
Ignoro se sia notte oppure giorno
Percosso dalla folgore, sprofondo.
Quando nei suoi occhi neri deliro
Allora io più mai non odo suono
Non sento più, nemmeno più io sono
Altro che il suo celeste respiro.
Copro questo nastro di mille baci
E bevo la rimembranza e ardo
Col cuore colmato dal ricordo
Di quei pochi giorni felici.
Ah questo vuoto, orribile ed immenso
Se io potessi, una volta sola
Stringerla al petto, dirle una parola
Sarebbe colmo, ci sarebbe un senso.
Rido del mio cuore, delle sue parole
E faccio la sua volontà, servo fidato
Caro Guglielmo, io sono finito
Essa può fare di me ciò che vuole.
Tutto perisce, ma nessun’oblio
Potrà rendere il ricordo sabbia
Delle tremanti mie, sulle tue labbra
Così sia dunque, Carlotta, addio!
Un malato di cuore
Non corsi da ragazzo e non potei
Giocare come ogni persona viva
Da adulto non ho amato mai
Il cuore malato me lo impediva.
Eppure in collina riposo gaio
Un segreto consola i miei pensieri
Soltanto mio e della mia Mary:
Quel pomeriggio di febbraio
Nel giardino, la mano sua, la mia
Finalmente una dentro l’altra
Ma quando le baciai le labbra
L’anima d’improvviso fuggì via.
Andrea
Carlo s’è perso e non sa tornare
Carlo s’è perso e non ritorna
Anche i migliori vanno, pare
Sotto terra se c’è di mezzo una donna.
O una bambina, Carlo si fa specchio
Sul bordo del pozzo, lancia con la mano
Fili di sabbia e di grano
Il pozzo è profondo, disse il secchio.
Alatri e una donna
Hai 18 anni e quell’aria da signora
Ti sta anche male, ma ho la testa ubriaca
Se mandi via i capelli, scopri la nuca
Chi vede te vede una primavera.
I capelli, il modo in cui li sposti
Sei una ragazza grande, ormai
Certe persone che vedo, certi posti.
Io con le scarpe nuove che ti aspetto
Ascoltare certe canzoni, poi
È ancora una fucilata nel petto.
L’arte di morire
Cosa ne sai di me, per rifiutarmi?!
Cosa ne sai della vita che ho fatto?!
Di tutto quello che mi hanno sottratto,
Proprio davanti agli occhi miei inermi?!
Quando non vedevo niente davanti
E volevo solo scordare il passato
Ora mi dico “quello che è stato è stato”
Ma era difficile accettarlo, a vent’anni.
L’insensatezza di ogni battaglia
Giorni senza senso, anni schifosi
Lotte che durano settimane, poi mesi
Per amica soltanto la bottiglia.
E mettersi al collo una corda
Pensando “attento, Dio
Stavolta il destino lo faccio io,
Lo faccio io il destino, pezzo di merda!”
E tutto cambia un giorno di febbraio
Arrivi tu un pomeriggio in biblioteca
Mi hai dato la gioia, Ragazza greca
Hai reso stupendo ogni mio guaio.
Hai giustificato il male e la catarsi
Arrivi tu e mi fai venire al mondo
E capire quanto sia banale, in fondo
La soluzione è semplice: amare, amarsi.
E quella sera ti ho pensata mia
Ho detto a Dio “condannami, dammi
Ancora antidepressivi per dieci anni
Fai del tuo peggio, ma non portarmela via.”
Ma tu non hai risposto al mio appello
È finita e devo dimenticarti
Dicono che ho tutto il tempo davanti
Ma qualcosa si è spezzato nel cervello.
Neanche mi dici “ciao Carlo, come stai?”
Stasera che vieni al locale
Dove sto solo con l’ennesimo boccale
Neanche mi guardi in faccia e te ne vai.
Carlo Valerio Di Micco
Carlo Valerio Di Micco è nato ad Alatri (FR) nel 1992. Ha scritto, composto e rappresentato dal vivo musica fino al 2012. Nel 2015 ha conseguito la laurea triennale in Letteratura, musica e spettacolo, presso l’università La Sapienza di Roma, tuttora studia Filologia moderna nello stesso ateneo. E’ impiegato come mediatore linguistico ed insegnante di italiano presso la cooperativa sociale “Insieme” a Frosinone. Alcuni suoi testi sono stati pubblicati tra il 2015 ed il 2017 sulla rivista letteraria online Yawp: Il giornale di Lettere e filofosia e su Euterpe. Ha partecipato come autore all’antologia poetica L’urlo barbarico (Le mezzelane, 2017).
Mai fare complimenti a un ragazzo, un uomo ancora tanto giovane, non sai cosa potrebbe scattargli nella testa. Ma forse così dicevano gli anziani, già al tempo del Dolce stil novo.
Continua così. Vai benissimo.