Con molto piacere e un pizzico d’orgoglio personale introduco il breve scritto d’esordio di una brillante ex allieva di liceo, ora studentessa universitaria. La ragione della sua accoglienza sulle pagine de La presenza Erato è semplice: il testo ha due caratteristiche che ci interessano. La prima è che si tratta di scrittura creativa di ottimo livello nonostante la giovanissima età dell’autrice; la seconda è che il contenuto combina il mondo dell’immagine con quello della parola. Non si tratta del percorso lineare tradizionale “ispirazione visiva-scrittura”, ma di una sofisticata combinazione fra percezioni visive, stimoli intellettuali, pulsioni interiori, una sorta di traduzione su due lunghezze d’onda differenti di un’interazione mentale e psichica fra immagini e soggetto. Trovo in queste pagine densità e tensione che sviluppano un piacere mentale e fisico nella lettura, attenuano i pur minimi frammenti di un’acerbità che a tratti si rivelano nella potente, precoce maturità di scrittura di Sofia Bazzoni.
Pelle nasce da una meditazione/autoauscultazione condotta dall’autrice nel percorrere alcuni ambienti della LVII Biennale di Venezia, e più specificamente le fotografie “corporee” della statunitense Eileen Quinlan e i “caffettani erotici” e i disegni “genitali” della libanese Huguette Caland nel Padiglione Dionisiaco; il concettoso, paradossale, poeticissimo gioco di labirinti, spazi, sfere ideato dall’argentino Martín Cordiano; l’installazione-performazione del taiwanese Lee Ming-wei, per i quali rimando ad alcuni utili collegamenti sulla rete.
Furio Durando
PELLE
(Venezia, LVII Biennale, settembre 2017)
Voglia di raccontare, voglia di denunciare la materia, un’ossessione costante, le sue forme dentro spazi, spazi più grandi che a loro volta contengono materia: questa, invece, così labile, così model/labile, ri/collocabile, quasi fosse parte intrinseca – inabile – di quell’estro che esplode nell’animo disturbato indomito di chi le dà forma o, meglio, vita; o, meglio, personalità.
Tutto qui sfugge all’ordinario: ne regna un uso così vago, indefinito, imponderabile! Un’ulteriore vita ti hanno donato qui, materia: sì, tu, colei che ha colpito la mia curiosità, una curiosità così ingenua e così sfamabile, quasi vergine nei suoi peccaminosi pensieri.
Tutti quegli occhi fissi su di te a cercare d’interpretarti. Quei volti così diversamente incuriositi nella loro ignoranza incapace di lasciarti spazio, di lasciarti vivere, di lasciarsi attraversare da te. Ma a un certo punto tu – oh, materia mia! – hai perso la mia attenzione, quell’attenzione così ingenua e concentrata: sei stata penetrata, nella tua compostezza quasi forzata, da quel suono – urla, puro piacere che sgorga nelle corde vocali. La carne ha spazzato via tutto, l’inconsapevole purezza è stata sostituita da una carica erotica sconvolgente – simboli fallici, orgasmi simulati, gocce stillanti su corpi: non va nascosto il piacere, va immortalato, invece; arte così naturale, ricerca quasi maniacale, ricerca raffinata, per quanto turpe, immorale possa sembrare ad altri. Tutta la sessualità è qui rivalutata: la si può forse condannare? Esiste ancora distinzione sessuale?
Ero a mio agio come mai prima. Né ciò che avevo davanti, la creazione dell’artista, né i miei pensieri avevano i tratti di un’ossessione, di una ninfomania: era solo sperimentare mentalmente, abbandonarsi.
Il tempo non regala, il tempo toglie: è giusto nascondersi al gioco? È necessario agire, toccare, imparare, soffermarsi su ogni brivido, fare come la goccia che scivola sul seno e lo accarezza, prendersi la libertà che essa, in quanto inconsistente, materia fluente, possiede.
Fili ovunque, una parete bianca, maglioni usati, storie che si intrecciano: connessioni prestabilite o studiate? O può succedere che dei destini siano collegati così sottilmente ed elegantemente? Una mano li unisce, una reciproca ignoranza li divide. Le persone cambiano, gli indumenti aumentano di numero, la stanchezza di vivere s’avanza, la voglia di sfilarseli non s’esaurisce; e continua la mano a sciogliere quella matassa di materia uniforme, con quella sua funzione definita. Perché? Perché questa voglia di sfare e di riunire? Perché le forme non possono restare come sono? Perché l’insoddisfazione intrinseca ad ognuno spinge con una forza dinamica a voler decomporre ciò che possiede un senso, una materia che ha già il proprio spazio? Perché nessuno vuole permanere? Perchè ognuno vuole svolgere sé stesso e diventare solo un filo colorato che era – e dico: era – altro? In attesa di un destino comune, dici? O per attendere di finire appeso a una parete bianca ed esser poi dimenticato, o ricordato solamente per questa esposizione avanti ad occhi tutti esperti, ma nessuno che si lasci trascinare dal silenzio dentro il suo silenzio? Una sola parola rimane da dire: pelle.
Sofia Bazzoni

Lee Mingwei, The Mending Project 2009 – 2017

Martin Cordiano, Common Places, 2017

Huguette Caland, Padiglione Dionisiaco

Eileen Quinlan, Padiglione Dionisiaco
Sofia Bazzoni (1997) è nata e vive a Montepulciano, dove ha frequentato il liceo classico. Iscritta al secondo anno di corso della facoltà di Progettazione e Gestione del Turismo Culturale all’Università degli Studi di Padova, ha finora collaborato ai testi della guida Sulle orme dei monaci medievali. Abbazie ed eremi benedettini tra Valdichiana, Val d’Orcia e Amiata, a cura di Furio Durando e Sara Mammana, in corso di stampa (Sinalunga, novembre 2017) per conto dell’Istituto per la Valorizzazione delle Abbazie Toscane; nella scorsa estate ha lavorato per Opera Laboratori Fiorentini, società del gruppo Civita Cultura Holding.