“Collage (Poesia fatta di stracci)” di Gino Rago, commento di Giorgio Linguaglossa

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Collage (Poesia fatta di stracci)

Non c’è niente di più opaco
della trasparenza totale.
Il corpo è colore e odore.
I sospiri delle onde richiamano il vento:
ora sboccio. Una rosa tra le dita.
Prendila.
Mi accorgo solo ora che l’artrite deforma le mani.
Tutto cominciò con una caduta.
Spremere fuori il mistero…
Ti muovi viva nel tuo stesso corpo.
Ma nuvolaglie increspano
le visioni razionali.
(…)

Ritirarsi? Sì.
Ritirarsi
Ma dalle forme consunte del poetico.
E rifarsi un vestito.
(…)

Un abito tutto nuovo di parole
per la festa e per il quotidiano.
Confezionarsi un vestito nuovo
Nell’atelier di stracci. E’ nuova la poesia
fatta con gli stracci.

Gino Rago

 

Conosco la  poesia di Gino Rago fin dalle prime pubblicazioni degli anni novanta, mi meraviglia, e non poco, constatare come la sua poesia, a contatto con la «nuova ontologia estetica» sia cambiata, ne ha avuto una accelerazione verticale. La poesia degli anni novanta scontava il generale immobilismo e il ristagno della poesia del Sud intervenuto dopo il post-ermetismo, diciamo così, dopo Sinisgalli e Lorenzo Calogero. Dopo questi due poeti la poesia del Sud si arresta e fa le veci della poesia del Centro e del Nord, diventa una poesia di un paese coloniale e colonizzato. Fenomeno questo del tutto naturale vista l’arretratezza della economia del Sud dipendente da quella del Nord.

All’improvviso, siamo arrivati in questi ultimi due anni, la sua poesia si è come «scongelata», si è rotto quell’immobilismo stilistico come per incanto. Che cos’è accaduto? È accaduto che la fame stilistica ha trovato finalmente pane per i suoi denti. Prima la poesia mitopoietica del «Ciclo di Troia» dal punto di vista di Ecuba, delle perdenti, delle donne troiane (metafora e allegoria del Sud perdente) e, infine, la poesia recentissima, di questi giorni, la «poesia degli stracci» come la ho definita.

La poesia recentissima ha tratto giovamento dalla «rottura» intervenuta a causa dell’entrata in scena della «nuova ontologia estetica». È come se da uno stato di «bassa entropia» della poesia precedente e della poesia del Sud in generale, Rago fosse passato ad una struttura «disordinata», ad uno stato di aumento del’entropia linguistica e stilistica, e si sia improvvisamente posizionata ad un livello di «disordine permanente autostrutturato».

Ecco spiegata la «poesia degli stracci», da intendere non soltanto come poesia di parole «povere» alla maniera delle installazioni di Pistoletto degli anni sessanta ma come il prendere partito dalla instabilità e povertà linguistica dei giorni nostri e fare una poesia della peritropè e della peripezia, della mescolanza e mescidanza di un lessico già frammentato e impoverito e zoppicante, ha fatto di questa generalissima debolezza del lessico, del nostro lessico di tutti i giorni, una forza, ha creato una «forma» irregolare, molecolarmente disordinata a livello, come dire, subatomico.

E questa nuova «forma» non è altro che l’aver individuato e intercettato il nuovo stato dell’entropia linguistica e lessicale del nostro universo mediatico nel quale siamo immersi giorno e notte. Così, nelle frasi interrotte, reperisco il tratto distintivo del significante: non c’è infatti corrispondenza biunivoca tra significante e significato, giacché il senso di un significante va ricercato sempre in un altro significante che si va ad aggiungere a quelli che lo precedono; il senso, insomma, appare dopo, e quand’anche anticipato, è sempre a venire – “Male nuvolaglie increspano / le visioni razionali” –, sempre in anticipo e sempre in ritardo, differito lungo la catena significante:

Spremere fuori il mistero…
Ti muovi viva nel tuo stesso corpo.
Ma nuvolaglie increspano
le visioni razionali

Giorgio Linguaglossa

11 commenti
  1. Una rosa tra le dita e l’artrite: sguardo interiore, metaforico e lirico, e sguardo esteriore, poi esistenziale. Fisica e metafisica. Per questo la visione si fa traballante, instabile, certa e incerta; questo il tremore autentico di stare al mondo.
    Poeta sensibilissimo e grande sarto di parole, Gino Rago. Di non facile lettura, ma solo perché il lettore è abituato a lasciarsi portare in poesie bidimensionali, inadatte a cogliere il reale multidimensionale, quindi l’interezza degli accadimenti: rumore, suono, colore, pensiero,ecc. contemporaneamente.

  2. Tra gli stracci ho trovato i sospiri delle onde, i miei sospiri: amo il mare come se fossi un pesce o una mitica sirena, amo il vento evocato dal sospiro delle onde. Tra gli stracci ho trovato un gesto d’amore: una rosa…grazie, questa rosa è mia, la prendo per me. Non importa se sia l’artrite o un fiore, è un gesto d’amore per chi legge.
    Giorgio Linguaglossa ci ha descritto la magia della poesia nuova che nasce dalle rovine di ciò che è stato detto e dimenticato e, soprattutto , con l’ abilità di chi ha stretto una lunga e profonda familiarità con la parola, ci ha guidato da significante a significante, verso il mistero della “cosa” che sta sempre oltre il segno. La catena del significante, quest’intreccio magico di analogie ed evocazioni, ci porta dove non avremmo mai pensato di andare. un “luogo” dove tutto richiama ad altro e, grazie al frammento che risplende come trasparente cristallo, troviamo un’indicazione per continuare a cercare il tesoro: non sappiamo se lo troveremo, ma il bello è aver percorso il cammino per cercarlo anche tra rovi e rovine, perché il poeta sa estrarre oro dalla sabbia dei fiumi dove scorre la sua poesia… Mariella Colonna

  3. Ringrazio Luciano Nota e Maria Grazia Trivigno per l’ospitalità su La presenza di Erato e per la cura della pagina che nitidamente dedicano ai miei versi assai recenti.

    Il grazie a Giorgio Linguaglossa (che nella sua magnifica nota coglie nello scontro
    mandelstamiano fra fiamma e pietra, plamen e kamen, il gradiente entropico fra disordine massimo nella fiamma e minimo nella struttura ordinata della pietra come
    metafora dell’entropia linguistica del nostro tempo);
    a Lucio Mayoor Tosi (che riconosce
    nei miei versi la metafora tridimensionale a me giunta ancora da Mandel’stam);
    a Mariella Colonna (che al poeta attribuisce la capacità di estrarre oro dalla sabbia…);
    a Francesca Dono (che con quel punto esclamativo dopo ‘entrambi’ è capace di dire tutto)
    scelgo di darlo così:

    “Una pianta nel mondo non è un noioso, barbuto sviluppo, ma è l’araldo di un temporale vivente che ruggisce senza soste nell’universo…
    Una pianta nel mondo è una freccia, un avvenimento.
    Una pianta nel mondo è un evento. E’ un suono immerso in processi ondulatori…”

    da “Viaggio in Armenia” di Osip Mandel’stam

    Gino Rago

  4. Caro Gino,
    non ho la competenza e l’abilità di tutti quei poeti e critici che hanno commentato la tua poesia magistralmente…mi limito a darti le mie impressioni, superficiali e d’impeto e non strutturate in un discorso più complesso.
    La parte finale della tua poesia mi fa venire in mente un richiamo a due testi molto belli di Montale, “La mia Musa” e “Le parole”. Ma anche la festa e il quotidiano della tua ultima strofa mi fanno pensare a quelle “divinità in gabardine e sandali” che Montale saluta in “Divinità in incognito” , perchè è per noi oggi che festa e quotidiano hanno perduto ogni distinzione e si sovrappongono, anche nei vestiti che indossiamo (una volta c’era il “vestito della festa”, ricordi? Oggi non più, e allora è vero che l’abito sarà lo stesso nella nostra vita).Vedo che nessuno ha parlato di Montale tra i modelli del tuo testo, non so se la mia è un’impressione sbagliata…
    Non so a cosa alluda il verso “tutto cominciò con una caduta”, ho pensato alla caduta degli atomi e alla tua poesia “Il vuoto non è il nulla”, ma anche alla caduta di Lucifero, anch’essa in qualche modo all’origine del mondo, del male e del nostro tempo.
    La rosa che fiorisce tra le mani è tutto…e che ci sia l’artrite a deformare le mani non toglie valore a quella rosa che è lì, che profuma, che ha il suo corpo, il suo colore e odore.
    E’ vero, è una poesia tridimensionale: sembra che i nessi logici siano poco chiari e bruscamente si passi da un livello a un altro, ma in realtà il senso è molto netto e le sensazioni uditive, visive, olfattive accompagnano il lettore a comprendere cosa di questo mondo il poeta vuole rifiutare e cosa conservare, forse cercandovi salvezza.
    Sai, pensavo a Esiodo leggendo la tua poesia, quando dice che è “Stolto chi non sa che la metà è più grande del tutto e quanto guadagno sta nella malva e nell’asfodelo”: due piante da nulla che simboleggiano la vita umile delle cose e la vera ricchezza della vita, come la tua rosa nel sospiro delle onde e del vento…
    saluti cari
    Rossana

    (Ricevuto sulla mia e-mail, questo commento di Rossana Levati, del Liceo Classico
    “Vittorio Alfieri” di Asti, acuto, colto, competente, ho desiderato proporlo ai frequentatori de “La presenza di Erato” come esempio luminoso e severo di
    interpretazione della poesia contemporanea a opera di sottili, delicati talenti cui è dato di esprimersi non di rado in ristretti recinti, lasciando spazi, anzi praterie, a soggetti
    che specialmente su riviste cartacee con la critica letteraria c’entrano
    quasi come i cavoli a merenda, abbassando il ramo con la mela da cogliere a una
    lingua bassa, più grigia dell’invadente e pigra koiné massmediale.
    Ringrazio Rossana Levati per questo efficacissimo esercizio ermeneutico applicato ai miei versi i quali ne escono arricchiti, perfino un pò più rinvigoriti, benché intimiditi
    al cospetto di Esiodo…).

    Gino Rago

  5. “Poeta sensibile e sorprendente Gino Rago: qui per esempio prende un emblema, quello della rosa, col suo carico di iconografia e simbolismo millenari, e ne intercetta nuove potenzialità propulsive attraverso una lingua viva e metamorfica, dove il senso stesso del testo è in fieri (“senso differito lungo la catena del significante” come brillantemente commenta Linguaglossa), regalandoci inoltre, un vero e proprio manifesto programmatico di “poetica degli stracci”, in questo sgretolarsi di tufi, statue, vestigia millenarie, smottamenti, frane crolli di mura e di case, in questi tempi di artriti etiche che ci coinvolgono e travolgono. Complimenti per questa sua lingua sensitiva e plastica in continua evoluzione.”

    Letizia Leone

    (Inviato alla mia e-mail, pubblico il commento di Letizia Leone segnalandolo come
    alto, colto, avvolgente atto ermeneutico sui miei recentissimi versi,
    commento nel quale Letizia Leone si conferma esemplare interprete della poesia
    contemporanea. Sarebbe stato un vero peccato non proporlo e non condividerlo
    con il finissimo pubblico della poesia ospitata e diffusa da “La presenza di Erato”.
    Letizia sa bene che sono sempre al suo fianco. E citando un suo verso bellissimo
    dico che al suo fianco “(…) Inizia universale il perimetro degli astri.”)

    Gino Rago

  6. Il punto di partenza per comprendere la poesia “Collage” di Gino Rago è a mio avviso proprio l’artrite del 7° verso. L’artrite che deforma le mani è il nucleo di questa poesia: non è un male fisico ma assurge a simbolo del nostro tempo, pervaso dalla deformazione; è simbolo della nostra realtà distorta, del nostro linguaggio deformato e corroso; tuttavia, nonostante l’artrite, qualcosa di buono permane, non nella realtà umana ma nella natura che offre ancora una rosa, il mare, il vento: qualcosa da cogliere, se ne avremo le forze, e in cui trovare un senso. Soprattutto qualcosa che fermi quella “caduta” inarrestabile da cui tutto il mondo ha avuto inizio.
    La poesia come rinascita: vestirci di parole anche deformate dal quotidiano ma rese nuove dalla poesia che darà ad esse un altro valore, ben diverso dal trito consumo che la realtà imprime al linguaggio con la sua corrosione.
    L’altro problema che si affaccia in questa poesia è poi la mancanza di un netto discrimine tra sacro e profano, in un mondo che anzi oggi ha perso quasi del tutto il contatto col sacro. Allora la festa, un tempo dedicata alla celebrazione del sacro ma anche delle forze primigenie, è oggi dissolta nel quotidiano: ma se festa e quotidiano, nella nostra normalità, vanno a braccetto, proprio come le divinità “in gabardine e sandali” di cui parla Montale in “Divinità in incognito”, non è detto che il sacro non esista più o non debba e non possa essere ricercato o almeno intravisto, anche se non posseduto stabilmente. Bisognerà cercarlo altrove, nei rifiuti, negli scarti, negli stracci, in tutta quella “spazzatura” di cose che sembrano senza valore e di cui sentiamo perennemente il bisogno di disfarci per “far posto” ad altro pattume di cui poi ci libereremo.
    E’ il poeta a metterci in guardia all’inizio della poesia: “Non c’è niente di più opaco della trasparenza totale”. Ciò che sembra trasparente, evidente (bellezza, gioventù, forza) intorno a noi è invece perennemente opaco, lontano, impenetrabile nella sua mancanza di luce. Forse restiamo abbagliati oggi da ciò che sembra accessibile ma non ha consistenza reale, finisce per essere un miraggio che restituisce al mondo la sua opacità. Ancora una volta, è vero il contrario, e questo il poeta lo sa bene: non è nell’apparenza che bisogna guardare, lo sguardo del poeta si deve rivolgere altrove, trovare altrove la sua ricchezza.
    Quando Montale parlava della sua Musa vestita come “uno spaventacchio”, che andava a cercare nel ripostiglio di vestiti smessi la sua collocazione, e non più sull’antico, sacro Parnaso, della sua Musa che si rifiutava ormai di dirigere cori ma proponeva una musica fatta di “cannucce”, o ancora ci parlava di “parole” inseguite, fermate sul retro dei biglietti del tram, scartate dal mondo ma recuperate dal poeta, cercate con amore ma pur sempre provvisorie, alludeva a questo compito della poesia, dare un valore diverso alle cose e soprattutto alle parole, uscire dalla banalità del quotidiano e rinnovare il vestito di parole con cui rivolgersi al mondo.
    E’ questa oggi la sacralità del poeta, pur in un mondo così lontano dal sacro e condannato alla consumazione del linguaggio: appunto, “la malva e l’asfodelo”, ricchezza del mondo, come diceva Esiodo.

    Rossana Levati

  7. Brava Rossana Levati che ha compreso perfettamente la «poetica degli stracci» di Gino Rago e come questa poesia sia imparentata (da lontano) con quella di Montale di Satura e del Diario, con un distinguo, però, che nella poesia di Montale la Musa si è ridotta ad essere uno «Spaventacchio», in quella di Gino Rago non è neanche più uno spaventapasseri ma è diventata la normale quotidianità delle cose. ecco perché la poesia del «quotidiano» che si fa oggi, priva del risvolto metafisico, si riduce ad essere la tautologia della banalità di quella poesia che insegue la «comunicazione» scambiandola per uno spot televisivo e per una réclame di detersivi.

  8. La stessa parola, ha saputo dirci Saramago, può dire la verità o la bugia del vivere.
    Tutto dipende dalla sua pronuncia nel contesto adatto o inadatto perché noi non siamo
    le parole che ci diciamo ma il credito che esse ci danno.

    Nel caso di “Collage” ho adottato scampoli (a Giorgio Linguaglossa e anche a me
    piace dire “stracci”) di Mario Gabriele (l’artrite e la caduta); di Mariella
    Colonna (il vento e i sospiri delle onde); di Francesca Dono (la rosa); di Rosa Pierno
    e di Margaret Atwood (le nuvolaglie e l’opacità di Elena di Troia per troppa
    trasparenza); di Giorgio Linguaglossa (la perentorietà del “Ritirarsi” dal falso
    poetico) e ne ho fatto il “mio vestito” per la festa e per il quotidiano, ( come meglio
    non poteva esser colto ed espresso da Rossana Levati nel suo dotto e pertinente
    commento), perché ben possedevo in me il contesto-architettura nel quale cucire o
    comporre questi scampoli.

    Il resto è stato cristallizzato nella sua nota critica e nel suo commento da
    Giorgio Linguaglossa e suggellato da Rossana Levati, con un intervento di
    finissima civiltà poetica.

    Gino Rago

  9. Di notevole impatto estetico l’opera d’arte visuale scelta e adottata da Luciano Nota
    e da Maria Grazia Trivigno a corredo della pagina che generosamente hanno inteso
    dedicarmi. Potrebbe anche essere un Rotella…
    Grazie anche per questa scelta davvero pertinente con l’essenza dei miei versi.

    Gino Rago

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