Seconda edizione Premio Letterario “L’albero di rose”. Sillogi vincitrici, menzionate e segnalate – sezione silloge poetica edita.
PRIMA CLASSIFICATA: M’illumino di mensole
COME POTRO’ ANCORA DIRTI
La fradicia zoppia s’inzolla tumida
di stallo a brevicollo m’accompagna
al fondovalle che lacera il paesaggio
di foglie fritte sparpagliate a festa
e se la landa sgomma alla campagna
e tracima il torrente a perdi fiato
come potrò ancora dirti “ingoia il tempo”
allontanandomi così, a poco a poco…?
IL BIDELLO
Sono io che cancello dalle vostre lavagne
tutto ciò che dovrebbe entrarvi in testa…
Veloce e furtivo col mio vecchio straccio
assorbo grafici, date e definizioni
e con esso
la sera
faccio un’ottima minestra
che riempie la pancia
e la mia, di testa!
GIA’ STASERA
Tra gli specchi del bar espositori di dolcezze
cartoline alla cassa, labbra turgide protese
ben più in là del roseo lago profumato
della divina generosa scollatura
che mi confonde mi fa perdere il filo
quando l’ardente fuoco del rossetto
con voluttà suadente proferisce
“sono due euro…e sessanta!”
vado in visibilio di zucchero
non capisco più niente
fuggo ma probabilmente
tornerò domani all’alba, o già stasera.
Roberto Marzano
SECONDA CLASSIFICATA: La filosofia del tè
UNA LEZIONE DEL MAESTRO YZE
Il maestro Yze:
«Il dio Diòniso e un efebo […] sono distesi su un drappo di marmo.
Il profilo e il dorso ignudi, la torsione del busto
hanno il rigore marmoreo della carne. Il ronzio del sonno
abita le fessure degli occhi e la nitida linea
del mento.
L’attimo che segue la resezione della veglia dal sonno
e il sonno eterno dal sonno, prima della tellurica
resurrezione. Il riposo irreale».
Un sofista:
«Io non vedo altro che un blocco di lucido marmo
– il profilo di due efebi coricati nel lenzuolo –
che rivela uno scompiglio di linee, e un incerto profilo
quasi diafano. La linea del collo – attaccata alla prima vertebra
della spina dorsale – riappare sotto la gola,
risale il mento nitido, segue l’incarnato delle belle labbra
e il moto delle narici…
lontano come il ronzio d’un elicottero.
Così, il fantasma della vita abita la superficie del marmo.
Freddo paradigma dell’idea».
Risposta del maestro Yze:
«Ciò che abita il marmo in linee sottili
e nel marmo affiora non è il bacio di grassi putti,
sono i gemelli degli dei Dioniso e Ganimede
attaccati per la fronte nel metopago
che un dio oscuro in eterno ha conflitto…
Là dove risuona il fragore del mondo,
la Bellezza – traccia della mutilazione –
come un lacchè servile fa anticamera».
Giorgio Linguaglossa
TERZA CLASSIFICATA: Notizie dal 72° parallelo
ST.Y.INVIA NOTIZIE DAL 72° PARALLELO
Il vento qui solleva i fogli
carte come colombe, notizie decadenti
il battito d’ali è innaturale
non si compirà l’aereo tragitto
il sto, col mio debito stampato
sul petto come ecchimosi
una virgola oscena in mezzo agli occhi
un liquido indelebile di sangue
e il peso scriteriato dell’usura
a noi portatori sani dei mali
del mondo, recalcitranti ma in fondo
buoni consumatori
quale fu il dubbio non espresso,
la segreta ragione
la segreta ragione…?
J. G. A SUA FIGLIA MIRIAM
Che tu possa attraversare questo campo
d’oltretempo e di spinosi avanzi
di frammenti dello specchio che indivisa
ridava l’immagine
così come io ho potuto, che ho tramutato
in leggerezza la gravità
la rossa stilla delle ferite in acqua colorata
l’oscurità dell’abisso
nella bianca piega della tua mano.
MIRIAM A SUO PADRE J. G.
Si sta attaccati alla terra
qui, tuo padre, chi come muschio
chi come filamento d’erba a maggio
creature comunque basse
affastellando come formiche
briciole pagliuzze zampe d’insetti
ma mio figlio Samuel
ha i tuoi occhi di cielo
un modo tutto suo di nominar le cose
come se ne svelasse l’infingimento,
il cuore occulto, l’arcano sentimento.
Alfredo Rienzi
MENZIONE DI MERITO:
Piccoli forse
non tu ma il mio amarti
portò alla luce il meglio di me
gli occhi al sorriso, alla buona parola
più di un abbraccio le nostre mani,
– sincronia di battiti – aderivano, i palmi
a distendersi come labbra inumidite
non tu ma il mio amarti
portò il bello alle narici, un odore
di campi nel vento di gennaio
di tanto – di tutto – soltanto l’orecchio
non pareva sanato, su ogni musica era
il tuo passo cadenzato che si allontanava
*
sostieni con me questo silenzio
di cose vere – sudore che
la notte secerne e ti cade dentro
senza darti scampo
sfumato l’ultimo applauso
hai ringraziato la platea
ora sotto il trucco il tuo volto
riemerge, e lo riconosci
cade dallo sguardo ogni
sbarramento: un santo senza chiesa
la croce all’angolo, o ti brillano le mani
per quanta speranza hai raccolto?
poco importa,
la notte ti torna sorella,
così vera che ti sarà facile
dormirle accanto
Angela Caccia
Della vite il pianto
EFFETTO DIONISO
Per quanto reboante sui monti salga il tiaso
con le promesse prede, una fanciulla
— nuda — tra le menadi brandenti il tirso
supplica a gran voce Dioniso — il tirsigero —
di non essere divorata nel vespro, prima
d’essersi spogliato della pelle di cerbiatto
che cinge i fianchi della vite e il tralcio:
appagata, il tirsigero trasmuta — adolescente
tra le adolescenti prede — per concedersi
strippando nelle discoteche e nutrirsi
dei Sogni schiattati tra i fumi esiziali
e i guard-rail del ritorno: sul far del giorno.
È TEMPO
Distrutto il regno
non mi resta
che ricominciare
tutto da capo.
È tempo:
è tempo di staccare
il sole
con tutte e due le mani
dalle mie pareti.
È tempo:
è tempo di morire
ripartorito
nel sole
che non è amaro.
Paolo Menon
Pâté di Vittima
IN MEMORIAM PAUL CELAN
Cammino lontano dalle case
mentre rannuvola sopra la terra bagnata
e mi fisso le mani, le stesse di mio padre.
Sul palmo stanno mazzi sciolti di sillabe
che non posso spiegare.
Dalla terra umida trema fuori una pianta
il cui palmo è carne.
La sfioro come si carezza la testa
e dal fusto le fronde divengono uomo.
Questi raccoglie un coltello – era lì quando
ero solo? – e parte via.
Faccio per seguirlo ma
la gola germoglia e le gambe affondano
e i piedi sono verdi di radici.
*
Ne è passato
da che ribollo in questo brodo di odio
sotto la terra. Attendo.
ROBERTO, DISOCCUPATO VIAGGIATORE
Non più fioriscente, Roberto I*****i, suo è il caso
di una vita con madre e fratello scemo. Alle feste
prima del pranzo d’uscio in uscio andava a tappe
traccheggiando in raccolta di chiacchiere od olive
al fare indolente: s’accasciava in eclissi di risa,
inopinato usciva e lo trovavi lontano alla finestra
salutarti con la mano, gli ossi di oliva tra i denti
“Ciao a tutti quanti, buoni Morti e Ognissanti”.
Ora che siede in prima classe e riflette il da farsi
se dolcetto o snack salato, dice a tutti “obrigado”
casomai interpellato da hostess o vicini di posto.
Si parte a istanti e già con la testa è lui in Brasile
in volo a Rio al sogno di emissioni perineali, però
ti prego, Roberto, concediti pure i segni del samba
ma non imbrigliarti la vita in meccaniche nutricali
ché poi a Natale, ti vedo, sarai plastica al focolare.
Davide Minotti
SILLOGI SEGNALATE:
13 poesie
A cadenza regolare, si è fatto
più urgente il desiderio
di invertire gli orizzonti,
e non è soltanto un sentimento
di esitazione per la monotonia
del giorno, stando almeno
alla spiegazione senza congetture
del ciliegio in fiore o al moto
perfetto del bambino dietro
la siepe, che gira su se stesso
con la bicicletta in mano
*
Pur senza volerne raccontare,
ho detto mille e mille cose
all’uomo dietro il banco,
e non c’è lettura che trattenga
la mia voglia di restare tra le cose,
specie quando guardo quella donna
in rovina, che fuma in piedi,
sull’orlo dello scalino,
o il vecchio al tavolo accanto,
che attende seduto l’occasione
di prendere congedo
Francesco Guazzo
Nel rispetto del cielo
Progemino II
Al batter dei miei palpiti una creta
fendo e plasmo con l’arte che modella
lingua e materia che inventa poeta,
poi come quando d’improvviso gemma
mandorlo bianco, primo fior dell’anno,
bella magia risolve dilemma:
primizia viva di lingua vetusta,
primizia morta di lingua novella,
rammenta corda, biforcuta frusta,
che taglia nelle carni ed apre al sole
sentieri nuovi alla parola spenta
e rifugge con balzi le tagliole,
come la volpe nei prati d’inverno
teneramente affonda nella neve,
torna a saltare, s’arresta e materno
alza l’istinto, per rabbiosa fame
drizza la coda e annusa la tana
dove ritroverà solo fogliame.
Dal vespro all’alba la lingua sabina
nell’ansietà del sogno e della veglia
si frantuma e risuona eco a mattina,
scintilla che risale dal profondo,
oscuro desiderio di intonare
diafano canto, gemino e giocondo,
scintilla forse più bella di Venere,
caldo stupore che già si nasconde
tra la minuta, polverosa cenere,
scintilla che tra le spire fiorisce,
di sua sola luce tutta splende,
muove col vento e nel nulla perisce.
(Uomini e storia)
I
Chi disse: “è bello
morire per la patria”
era un apolide.
II
Grida di schiavi
sotto la luce ardente
d’un reo silenzio.
III
Nel buio vortice
la libertà sorrise
alla paura.
IV
La luna corre
tra le nuvole bianche
siede un pastore.
V
L’aeroplano
vola il vulcano dorme
la terra aspetta.
VI
Sorgi la sera
e di un vago pastore
poi t’innamori?
VII
Virtù suprema
sapersi puro sasso,
cenere spenta.
VIII
Sabbia africana
arrossa cieli e strade.
Scirocco e sangue.
IX
Respinte o accolte
le nubi clandestine
alle dogane?
X
L’agnello all’erba
intento sa dell’aquila
solo l’artiglio.
XI
Canto di morte.
Piangi cicala e canta.
Tutti si muore.
XII
L’uva è matura.
Ma qual altro pensiero
sfama la volpe?
Paolo Ottaviani