
Arthur Rimbaud, Charleville, 20 ottobre 1854 – Marsiglia, 10 novembre 1891
Un tempo, se ben ricordo, la mia vita era un festino: vi scorrevano tutti i vini, vi si apriva ogni cuore.
Una sera, mi son presa sulle ginocchia la Bellezza. – E l’ho trovata amara. – E l’ho insultata.
Mi sono armato contro la Giustizia.
Volli scomparire. Streghe, miseria, odio, proprio a voi è stato affidato il mio tesoro!
Dal mio spirito riuscii a cancellare ogni speranza umana. Su ogni gioia, per soffocarla, mi avventai con balzo sordo di bestia feroce.
Ho invocato i carnefici per mordere, cadendo, il calcio dei loro fucili. Ho invocato i flagelli, per soffocarmi nella sabbia, nel sangue. La sventura è stata il mio dio. Mi sono steso nel fango. Mi sono asciugato al vento del delitto. E alla pazzia ho giocato brutti tiri.
E la primavera mi ha portato il viso atroce dell’idiota.
Dunque, essendomi trovato proprio di recente sul punto di fare l’ultimo crac! ho pensato di cercare la chiave del festino antico, per potervi riprendere forse un po’ d’appetito.
La carità è questa chiave. – Questa ispirazione prova che ho sognato!
” sarai sempre una iena, ecc…” prorompe il demonio che di così amabili papaveri mi aveva incoronato. ” Acchiappa la morte con tutti i suoi appetiti, e il tuo egoismo e tutti i peccati mortali”. Ah! quante ne ho subite: – Ma ve ne supplico, caro Satana, una pupilla meno irritata! e in attesa di piccole viltà in ritardo, ecco, dal mio taccuino di dannato strappo per voi, che in uno scrittore apprezzate l’assenza di facoltà descrittive o istruttive, questi pochi foglietti schifosi.
MATTINO
Non ebbi forse, una volta, una giovinezza amabile, eroica, favolosa, da scrivere su fogli d’oro, – troppa fortuna! Per quale delitto, per quale errore, mi son meritato la mia attuale debolezza? Voi che dalle bestie pretendete scoppi di singhiozzi dolorosi, accessi di disperazione dai malati e brutti sogni dai morti, cercate di raccontare la mia caduta e il mio sonno. Io non sono capace di spiegarmi meglio del mendicante con i suoi ininterrotti Pater e Ave Maria. Io non so più parlare!
Tuttavia, oggi, credo d’aver finito la relazione del mio inferno. Era proprio l’inferno; quello antico, di cui il figlio dell’uomo aprì le porte.
Dallo stesso deserto, nella stessa notte, sempre i miei occhi stanchi si ridestano alla stella d’argento, sempre, e non la minima emozione nei tre Re della vita, i tre magi, spirito, anima, cuore. Quando mai andremo, oltre i monti e le rive, a salutare la nascita del nuovo lavoro, la nuova saggezza, la fuga dei tiranni e dei demoni, la fine della superstizione, ad adorare – per primi! – Natale sulla terra!
Il canto dei cieli, la marcia dei popoli! Schiavi, non malediciamo la vita.
Arthur Rimbaud (traduzione di Cosimo Ortesta)