La nuova silloge di Donato Loscalzo “bastano i sassi” raccoglie poesie che spaziano per luoghi e tempi dell’infanzia, sognati e mai dimenticati, rivisitati dopo un lungo distacco. nell’autunno della sua vita; sostanzialmente il viaggio di un’anima sensibile, ormai “carico di vita” ed esperienze, che ricerca il senso della nostra esistenza. E’ anche il canto del migrante lontano dalle proprie radici, che rievoca luoghi e atmosfere di tempi perduti. E, come per ogni migrante, la voglia di ritorno sempre travolta dal fluire del tempo e dal ritmo incessante della vita: “ma difficile è la colpa di tornare / al fumo della legna nell’inverno / o alle finestre aperte alla stagione “. Il migrante lucano coglie finalmente una buona ragione e ritorna ai luoghi della memoria, sempre desiderati: “spesso ricerco quel silenzio che parla gli antichi suoni proprio lì / dove i monti raccontano colori / in quel riflesso eterno della terra / che è strada rossa ambrata di licheni”.- “qualche volta ritorno al mio mare / per cercare le sue ombre sommesse / e conquistare il bagliore di quell’onda”. La terra sognata del ricordo si intreccia ora con la realtà di ambienti nuovi in cui il poeta si sente quasi estraneo “non sa il mio nome la piazza / che inarca ricordi inaspettati, / ma i volti dei palazzi sussurrano per me / storie antiche e frasi mai sopite, / campane, passi cadenzati / tra viottoli sconnessi e volti stanchi”. “bastano i sassi”, tuttavia, per ridestare antiche immagini di luoghi e antiche storie “quando le porte parlavano misteri / e le piazze tessevano vissuti / tra orditi antichi di suoni e di colori”. Sono “le voci tra le pietre” delle rovine di Craco,/, i Sassi di Matera, le pietre del dirupo di Pisticci che richiamano colori d’altri tempi / ciechi per chi non sa guardare”. “è’ bastato il vento tra le querce, / un refolo di erba già falciata,” -” per rivivere “memorie di sapori / ignoti a chi nutre altri raccolti”. Nella palude dei soprusi sopravvive sempre qualcosa “che è frattale di vissuti“. E tra i sassi e le rovine si possono recuperare “memorie di sequenze / alle quali dare un senso”. Il passato vive nel presente, impresso nei luoghi e nelle cose di lunga e antica storia: ”ha un cuore, il tufo, che asseconda / cangianti trapassi del cielo, / energie antiche cattura di memoria / che rende poi colori della terra / –anche le assenze rivivono nel muschio” – Da lontano la Lucania è sognata come luogo di storie e paesaggi incantevoli, nella realtà terra .dimenticata da sfruttare, spazio vuoto da riempire. Terra difficile ed aspra, dai calanchi lunari, “dell’albero secco che fatica a respirare” “ del falco che “ ghermisce la sua preda / senza altri testimoni”; frane, soprusi, il nuovo che sconvolge cose, ambienti, paesaggi. Una terra che al migrante lucano, svanita l’aureola della memoria, si presenta “un moribondo di cristallo” col male quotidiano di ingiustizie, di intercessioni, pronto all’ascolto del suono melodioso del pifferaio “che ci seduce di parole sempre nuove”. Una condizione di “indicibili parole”, discorsi che indugia a pronunciare, “perché potrebbero renderti, oscurata, / l’immagine di te che vorrei darti”.” La rievocazione di ambienti e paesaggi meravigliosi della terra natale. non è sentimento di rimpianto o nostalgia del passato, ma rifugio per placare l’urgere di bisogni impossibili in un mondo sempre più artificioso ed estraneo; per risvegliare nuove energie e percorrere nuovi sentieri, scalare “alture ardite” in cerca di luce e spazi liberi, non desiderio di fuga dal mondo. Cerca nel silenzio le voci interiori sopite nel profondo della propria coscienza.. Non l’approdo di un viaggio alla deriva. Guarda “oltre il vicolo”, lontano “dove inclina l’orizzonte, / e le strade si perdono alla vista. Salire in alto, ove si elude il male della terra e “risuonano colori”, e godere il vuoto, mentre le aquile “fluttuano nell’aria ad ali ferme”…Immaginare, d’altra parte, altra strada non ha più senso. E poi ci sono gli affetti, la casa e il mondo costruito e vissuto, reale e immaginario, che attende. La linea di confine è stata varcata e “non è smarrita la strada che ho percorso/. In ultima analisi il suo risulta un viaggio intimo di meditazione sul senso della vita e del nostro errare, esprime sentimenti e contraddizioni che rispecchiano le difficoltà del vivere nel nostro tempo: “un viaggio interminabile e continuo / verso orizzonti ignoti andando / che mai potremmo dire nostri, / vite fatte di sovrapposizioni / di quadri che perdono i contorni”. Molti, dunque, i motivi poetici che si intrecciano in una amalgama organica. Una logica interna, in forma semplice, usuale. Il linguaggio è ricco di parole ed espressioni che si riscontrano in diverse composizioni con sfumature di senso, in rapporto al contesto, dando colore e anima alle cose dette. Tante note e colori che si compongono e scompongono, in una infinità di tasselli che nell’insieme formano un mosaico complesso e ricco di senso, specchio di un viaggio esistenziale di un figlio del nostro tempo, carico di inquietudini. Un migrante autentico che interpreta ed esprime in versi genuini e forma originale sentimenti di senso universale, che solo una profonda sensibilità, ricca di umanità, di ispirazioni ed emozioni, poteva infondere. Mi piace riportare un esemplare di versi: “calanchi” (che mi fanno rivivere sensazioni della prima visione di simili paesaggi) in cui trovano una sintesi armonica i colori del pittore, lo sguardo del fotografo, il soffio vitale della poesia:
Donato Antonio Barbarito
calanchi
l’ha disegnato la luna coi suoi raggi
il graffio verticale sull’argilla, e rado
l’albero secco che fatica a respirare
a nutrirsi in queste sacche vuote
è un richiamo tenace
nelle remote stanze della vita
in queste stanche asimmetrie
dove trovano riparo altri pensieri,
il falco ghermisce la sua preda
senza altri testimoni
solo è vertigine intorno silenziosa
in questo sonno oscuro che protende
le sue ombre d’un crepuscolo tardivo
e qui nient’altro suona incontinente
se non la luce che precipita dall’alto.
Donato Loscalzo