in ogni caso
a ogni passo risuona, sconnesso,
il lastricato dei nostri sentieri,
camminando ora in due verso est
combattiamo a tempo in cerca di luce
compagna nuova che schiara
tra i nostri sogni dissolti al divenire
senza colpa, amando le sconfitte
come cicatrici dai margini leggeri
in ogni attesa spesa in ogni dove
in ogni caso ci siamo ripromessi
di varcare il nuovo senza compromessi
oltre gli argini antichi della mano
in ogni caso, in ogni altro caso
senza promesse vaghe di un ricambio
perché tu sai dove andare, io come
settembre
accompagna quest’aria di settembre
le rondini che puntano al ritorno
se meccanico suona il campanile
le prime foglie morte agita il vento
così canto al nostro nuovo incontro,
ora che non ci induce più la vita
a trasmigrare verso i suoi contorni
le illusioni appaiono superflue.
inusuale questa sopita quiete
è più solida del volo che vorremmo
ma tornerà la rondine altre volte
all’amore che il tetto ha restaurato
nel sonno
tu non durerai tutta una notte,
è lento il mio spiegarti con parole
le ardite asimmetrie che sai intuire,
i dispiaceri che vengono da fuori
e sfidano nel buio al punto incerto
le salde geometrie dei nostri sonni.
trascolora il giorno che mi hai dato
e io potrò eclissarmi nei tuoi sogni
vegliare un’altra volta tra i bisogni
e parlare al mattino il tuo silenzio.
è il tuo dolce destare dal mio mondo
lo stupore che nessuno ha mai tentato
da “l’amore, invece” (Perugia 2015)
epifania del ricordo
tornano a volte questi barlumi
di strade percorse nelle sere, di case
di tratturi aviti segnati dal rimorso
stride il favonio tra rughe di calanchi
tra i balzi cangianti delle manche
e insegue ora vivo un ricordo
al lungo crepuscolo d’autunno
e io rivedo cerri, radici divelte
pioppi austeri al margine del bosco
rivedo il sole che declina il suo favore
ritorna improvviso dall’infanzia
il riflesso dei giochi d’una istanza
qui dove le autostrade confondono
il declivio dei colli all’imbrunire
qui dove non sanno che a maggio
fioriscono ginestre tra le corna dei buoi
per nonna gds
ti ricordano così ancora illusi
gli istanti incrociati del caso
o il silenzio preludio alla notte
o se manca il tuo sorriso scordato
dall’inabitato divano
alle spalle dilunga ancora il tuo affanno
il suono stornato al richiamo
è la presenza che ora non abbiamo
che è luce di un antico ricamo:
se ti cerco ancora è perché tu sei
nell’alba solita di un magro risveglio
o dove nessuna voce ti ricorda al meglio,
tra le rose che destano il ricordo
da “memórias e outras histórias em versos diversos” (Lisbona 2001)
INEDITE
il mondo di mezzo
segregati in un improvvido destino
che cumula di dentro i suoi detriti
in questi luoghi putrefatti di potere
dove ogni incontro precipita nel nulla,
a un passo è il paradiso, oltre il cancello
miraggio proibito d’altra vita
le sue verdi distese luminose
gli effluvi suoi che spandono il rigoglio.
dovrebbero estinguersi i marrani
atroci dilettanti di parole
che disprezzano il mondo senza uscita
ma si cibano del suo stanco tirare
natale
s’annuvola a levante il cielo terso
di questa ostile cera di dicembre
in ogni crepa priva d’ornamenti
ancora scalda il fuoco dell’oriente.
tace il tratto di cielo tenebroso,
fumoso indizio di indugi dell’aurora
se l’alba nuova apre ai suoi cancelli
lievi pallori ancora sonnolenti.
sporgermi vorrei al suo davanzale
il giorno della luce anticipare
ora che il sole ritrae il suo declino,
passando estremo al limite del sud,
quando la nebbia attarda nel suo gelo
la lunga iridescenza dei suoi raggi
migrando (in ricordo di amina h.)
abbuia rada, nel solito mattino,
questa terra che parla i miei ricordi,
queste strade che celano segreti,
infaticati deserti mai percorsi
domani partirò e avrò le ali,
le ali di chi ama e non trattiene
non cattura in un eterno bacio
l’argilla che declina i suoi percorsi,
oltre il tratto irto senza campo
che sa di sepolture, di volti
scolpiti dal tempo in questi marmi
non ho promesse, non investirò
risorse mai turbate nel silenzio,
in questo volo che mi accomuna
ai tanti che il mare ha divorato,
saprò difendermi dal vuoto
saprò piegarmi all’altra forza
nell’esilio, e la morte come ora
segnerà questo tempo che rimane
pasqua
era questo lo spazio che cercavo,
un terrazzo orlato di ricordi,
senza balaustra, a mia custodia
delle tante parole già sprecate
rimbalza tra le pagine del diario
come grido che fende questa attesa
il desiderio di vivere all’addiaccio
senza pretese, senza infingimenti
nel tepore di scarse mie risorse
un amore, un cane, un libro vecchio
non so seguire il ritmo della vita,
la danza a volte scialba e ostinata
che squarcia esitante le pretese,
basta poco tra i fuochi d’appennino:
mi basta stare qui, tra queste pietre,
forse pioverà anche stanotte
eppure avrò riparo dalla pioggia
primo maggio
nel maggio esiliato dal cielo
tornai a quel vecchio sentiero
ancora vestito di stracci,
fu triste stupito ritorno
giocarsi ricordi d’intorno
il fuoco nascosto e stornato
il pianto poi liberato
in cerca di un nuovo conforto
Donato Loscalzo
Donato Loscalzo poeta e scrittore, lucano di nascita, ma perugino d’adozione, ha pubblicato diverse raccolte di poesia nonché numerosi saggi e testi teatrali, tra cui alcune antologie di fiabe. Si è laureato in Lettere classiche presso l’Università di Perugia nel 1984, discutendo una tesi su “La donna in Esiodo” con relatore il Prof. G.A. Privitera. Nel 1989 ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Filologia greca e latina presso l’Università di Urbino discutendo una tesi dal titolo Studi pindarici. Dal 1987 al 1995 è stato docente di ruolo di Materie Letterarie, Latino e Greco nei Licei. Dal 10 ottobre 1996 al 30 giugno 2005 è stato Ricercatore di Lingua e letteratura greca (L-FIL-LET/02) presso la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali di Viterbo. Dal 2008 insegna per affidamento, Lingua e Letteratura greca presso l’Università degli Studi di Perugia. Si è interessato di lirica greca e in particolare di Pindaro (La Nemea settima di Pindaro, Viterbo 2000; La parola inestinguibile. Studi sull’epinicio pindarico, (Roma-Pisa 2003) di teatro greco (Il pubblico a teatro nella Grecia antica, Roma 2008) e della commedia di Aristofane (Aristofane e la coscienza felice, Alessandria 2010). Attualmente sta curando una raccolta di fonti letterarie sulla democrazia ateniese di V e IV sec. a.C. per la Fondazione Lorenzo Valla (Mondadori). Della sua produzione poetica ricordiamo: Aspetti d’esistenza (Perugia,1980), Memórias e outras histórias em versos diversos (Lisbona 2001) , Aromiamoriamari (2012) e L’amore, invece (Perugia 2015).
Èrato sceglie anche questa volta qualità e potenza della parola; grazie ad autore e magazine per questa scelta di liriche profonde, linguisticamente cesellate e di forte impatto.
Donato Loscalzo è il limpido esempio di come si possa fare oggi vera poesia, scevra degli spassi e spasmi moderni e post-moderni. E’ poesia cristallina che nasce dalla necessità della parola, del suo colore in una estrema armonia naturale e vitale. ” Siamo tornati al prato”, scrisse Ungaretti a proposito di “Vidi le muse” di Leonardo Sinisgalli, frase che si addice perfettamente alle liriche di Loscalzo, e Giancarlo Vigorelli a proposito di Carrieri scrisse: un poeta già classico se non fosse così nuovo. Ecco, rubo la frase di Vigorelli per donarla a questo grande intellettuale di origine lucana.
Emerge dai testi editi così come dagli inediti il lavoro rigoroso sul verso – metri e musicalità – così come sulla parola. Non casualità, non fumo, ma nitore e densità. Molto apprezzata, in particolare, “nel sonno”. Grazie.
Immagini chiare da chiarissimo dire, la parola scaturisce “senza pretese, senza infingimenti” in versi tuttavia sorvegliatissimi. Solida dimostrazione, a mio modesto avviso, di come la cura del metro non confligga con la resa del sentire ma contribuisca, al contrario, ad armonizzarne l’urgente verità. Un grazie all’autore e a Luciano Nota.
Gli studi classici, la professione svolta nello stesso ambito culturale e le varie pubblicazioni su argomenti relativi alla civiltà dell’antica Grecia hanno lasciato una profonda traccia nel sentire e nello scrivere di Donato Loscalzo, lucano di nascita e perugino d’adozione.
Accanto a questa traccia classica porrei l’amore profondo per la terra natale e l’amara nostalgia per la sua lontananza, quasi esilio da quel paesaggio che è radicato profondamente nell’animo e nella memoria del Nostro. La memoria consente di rendere la vita e la vicinanza a ciò che appare ormai molto lontano nello spazio e nel tempo, se non annullato del tutto dallo scorrere dei giorni e dal mutamento dei costumi.
Sia nei versi d’amore qui proposti, sia in quelli pubblicati a Lisbona, sia negli inediti si nota un carattere comune che, ben lungi dall’apparire monotonia del dettato, definirei senza incertezza “stile”, caratteristica peculiare di questo poeta che lo contraddistingue da tutti gli altri al punto che, leggendo anche solo alcuni versi armoniosamente ritmati o soffermandosi su certe immagini naturali colte in varie stagioni, non si può non riconoscerlo e dire: “E’ Donato Loscalzo! Non può che essere lui”.
Il linguaggio è composto da parole scelte e unite tra loro con estrema cura, senza superflui abbellimenti o artifici letterari stucchevoli. La “medietas” e l’ “aurea mediocritas” dei Classici antichi e più recenti caratterizza il poetare del Nostro, che non teme di esprimere le proprie emozioni, i sentimenti, le amarezze, le speranze – naturalmente con pacatezza e dominio interiore – raffigurando o rievocando squarci di paesaggio lucano, le cui immagini non sono “quadretti” ma analogie o espressioni visive di ciò che l’animo del poeta sente e prova un impellente desiderio di scrivere.
Piante tipiche del luogo, ginestre fiorite, rondini che tornano sotto i tetti e corna di buoi, albe e tramonti, declivi di colli e altri aspetti del paesaggio lucano sono magistralmente intrecciati ai moti dell’animo di un uomo che è immerso nei suoi studi classici tanto quanto nel rammemorare la terra che gli ha dato i natali.
La lirica “Epifania del ricordo” mi pare emblematica di ciò che si è tentato di esprimere sulla pregevole poesia di Donato Loscalzo.
Giorgina Busca Gernetti
Poesie significative ed emblematiche di una produzione artistica autentica, che coglie con profonda sensibilità moti dell’animo e situazioni esistenziali, in tutte le loro sfumature, che il ritmo della vita, il ciclo del tempo e delle stagioni suscitano in noi: desideri, speranze, viaggi e memorie, attese e ritorni, affetti, contraddizioni… E tutto è immerso nello scenario meraviglio della Natura, di ambienti di vita, di paesaggi, di cui coglie ed esprime l’anima e l’essenza. Nei suoi versi il senso pregnante dello ”Amor loci”.
Una poetica originale e uno stile inconfondibile ed inimitabile, espressione di un nuovo umanesimo di cui oggi sentiamo tanto bisogno, maturato attraverso la cultura greco-latina, i classici, esperienze di vita. Ogni verso racchiudere un pensiero compiuto, armonicamente e logicamente collegato ai precedenti e successivi. Una articolazione di espressioni misurate, ben concentrate e coerenti, che sollecitano ripetute letture ed interpretazioni.
Trovo molto piacevole rileggere, gustare l’armonia e il senso interno che sprigionano le poesie di Donato Loscalzo.