Un libro bello, che non ha bisogno di alcun commento, quindi il mio scritto sarà l’omaggio a una poetessa ben definita la cui scrittura straborda di contenuto e di sostanza nonché di ritmo incessante ed essenziale. I versi non lasciano spazio ad alcun sottinteso o a mancanze di soluzioni di continuità esistenziali inespresse o solamente accennate: no, tutto scorre e al contempo non sfugge alla dimensione introspettiva e, forse catartica, che l’anima attraversa per poi sedimentarla e rimetterla alla pagina. Una poetica inconfondibile! L’Autrice ha scritto pagine acuminate come lame di coltelli e io mi limiterò al tentativo di ricomporre le screpolature, l’inoltro, il frantumo di un paesaggio che abbraccia l’animo e il pensiero di Antonella in ogni interstizio della sua mente come di ogni altro organo che la rende viva e ne controlla i movimenti: tutti i suoi sensi concorrono alla capacità di osservazione di ogni intorno per poterlo incamerare e restituire attraverso la sua visione interiore che si alimenta di memorie e di passioni, di emozioni e sensazioni vissute pienamente sotto la propria pelle nelle solitudini e inquietudini di un ambiente ostile, riappacificato e infine disertato per andare incontro ad un rifugio con una splendida finestra che affaccia sui sassi in una storia infinita che sa di amaro e di canto, di pane e di incomprensioni in una miscellanea di profumi e dissapori al punto di rimettersi in gioco nonostante deludenti sospensioni dello spirito che comunque non le lasciano respirare la quiete che il cambio di paesaggio avrebbe potuto darle.
Ma la Radogna ha consapevolezza che ogni paesaggio è fatto di liquidità, pertanto resta sempre e comunque un provvisorio che per quanto possa penetrare in ogni dove allo stesso modo può rimettersi in movimento e scomparire o quanto meno cambiare la scenografia alla quale ci si era abituati o che comunque ci si intravedeva nella relazione con la rappresentazione della realtà che non solo gli occhi ma l’anima e il cuore avevano ricomposto:
“Io,
castello di sabbia
al cospetto
di un immenso
paesaggio liquido”
Eccola la coscienza dell’autrice: la non illusione di aver conquistato la stabilità di una condizione privilegiata di osservazione della certezza di un luogo definito e stabilito; invece si ritrova dinanzi a un non-luogo ma nella consapevolezza di un continuo cambiamento che le fa dire:
“Terra liquida
invade gli spazi
della mia mente.
Conduce al di fuori dell’io.
Dipinge sentieri di luce
sull’acqua
di eterno movimento.”
Sono versi potenti che descrivono la condizione dell’animo umano che nella sua sensibilità esplora il suo intimo sentire correndo il rischio di smarrirsi senza intravedere quei sentieri di luce necessari all’abbandono dell’io per una vita come via di conoscenza: Unica vera fonte di felicità.
Versi che esplicitano altri versi, versi intarsiati da mille sfaccettature che invadono le vibrazioni del corpo e del sentimento in un continuo spostamento della misura del tempo che sottrae alle nostalgie l’odore dei giorni d’infanzia dissolvendoli in minuscole gocce d’oblio:
“Tempo rarefatto
di attesa.
Tempo
che contempla la rinascita.
Tempo
di sospensione dell’anima.”
Questo è il tempo di Antonella Radogna, poetessa e donna piena di coraggio che non si nasconde dietro i versi di un poetare scialbo e obsoleto ma si libera degli orpelli che ostacolerebbero l’affondo in ogni anfratto dell’anima e della mente. Per averne la conferma basta leggere la poesia che apre la raccolta: Terra Desolata
“Come acqua fresca
mi hai attraversato
straniero,
hai inondato
la mia anima
erosa come
zolle di terra del deserto”
per comprendere la disposizione all’ascolto nella quale si è immersa l’autrice. L’esperienza di sottostare ad un intreccio, a volte chiaro, altre confuso, di sentimenti e situazioni contrastanti e/o conflittuali, anche con il linguaggio, per provare a rendere testimonianza dello sconquasso che il percepire l’intorno può provocare in ogni minimo spiraglio di luce che incede e sfronda gli appesantimenti che una confusa identità può rendere insopportabili e insidiosi come giganteschi massi blu da evitare:
“Cammino
con un’ombra addosso
che non mi appartiene
e il suo peso
è insopportabile.”
soprattutto quando non si conosce la direzione quasi obbligata verso cui andare senza sapere quali insidie attendono l’ignaro viandante che non si arrende e prosegue pur se c’è un prezzo da pagare:
“cammino verso
l’ignoto del significato.
Prezzo alto da pagare
alla verità.
Ma ineludibile.
Come un’urgenza
che muove ogni gesto
di questa labile esistenza”
Non c’è scampo all’alternanza di situazioni differenti che ci rendono preda di simbiosi con le creature che vagano nei dintorni del cuore e della mente dando origine ad inquietudini e solitudini che disturbano i sogni in un’altalena di rimandi e contrapposizioni che la notte non esaurisce ed il giorno ci consegna la razione quotidiana di pane amaro da deglutire tra le Prigioni della mente // attendendo l’oblio:
“Il falco è in picchiata
verso la sua preda
e io annego
nello sbadiglio ignaro
di un cane
mentre corro inesorabilmente
incontro
alla mia perdita.”
Una delle peculiarità delle poesie della Radogna è la concatenazione delle parole dove il verso diventa un’immagine sufficiente ed esaustiva che non ha bisogno di fronzoli o abbellimenti inutili; la sua poetica è essenziale e attenta alle cose minime, alle sfumature e apre un orizzonte sempre in movimento che si staglia in una visione ben definita e accecante per l’intensità di ogni singolo frammento come in un fermo-immagine da scandagliare:
“Gocce di jazz e di pioggia
spazi e tempi ovattati.
Fermata della vita
bus 34.
Milano mi stringe a sé
nel suo asettico abbraccio
senza volto.”
È davvero straordinaria la capacità della poetessa di leggere la realtà che la circonda in ogni percezione sensibile o immateriale in una continua trasposizione dal cuore alla mente alla pagina in risposta ad un bisogno di verità che è un bisogno di bellezza come lei stessa afferma nella sua nota introduttiva, un’urgenza non razionale ma sicuramente vivificante nell’inseguire lo scorrere delle percezioni nei diversi riverberi di atmosfere:
“Finisce il giorno
è l’ora senza parola
è l’ora senza nome,
quando i rumori della sera
salgono in un corteo di silenzi.”
[…]
“Nulla mi appartiene,
neanche la ferita
profonda di questo
dolore.”
[…]
“Era reale soltanto il dolore.
È stato solo un lungo
periodo di dolore”
È ancora lei, nella transumanza della sua esistenza, in un movimento che non ha confine e non conosce limiti, dove non ci sono più spazi da occupare perché, nonostante la sua giovane età, Antonella ha vissuto il tempo pienamente non risparmiandosi nel cogliere ogni moto dell’anima:
“I miei pensieri
ingoiano ferocemente
ogni luogo
della mia esistenza.”
e non si arrende. Anzi, tra briciole di sogni, illusioni e dis-illusioni, resta sempre in costante ed esasperante ricerca di uno svelamento dell’imprescindibile paesaggio liquido che scomponendosi si ricompone per scomporsi nuovamente. Allora che fare?
“Tento di imbiancare
questo sepolcro
di vita
decomposto oramai
dal male inesorabile
della disillusione.”
[…]
“Voglio lasciar andare
le redini della ragione,
stupirmi di luoghi differenti,
percorsi di vita sconosciuti.
Voglio guardare il mondo
da un finestrino in corsa,
lasciarlo andare,
che si dis-veli.”
È tutta qui Antonella? Sicuramente in questi versi c’è il suo mondo che si porta dentro, l’urgenza di scriverlo per guardarlo come altro da sé per il bisogno di verità e per poterlo elaborare scandagliandone ogni meandro senza timore di smarrirsi o di non comprenderne il significato ultimo, l’essenza dell’introspezione. Quindi ci avverte:
“Non cercarmi nelle parole
il mio luogo è laddove
il detto tace”
[…]
“Non chiederti cosa pensa
l’aquila in volo.
Soltanto chi non possiede ali
ha bisogno del pensiero.”
Bisogna inventarsi le ali per raggiungere il luogo dove non alberga il pensiero e il silenzio è padrone del tempo in una didascalia di correnti ascensionali che portano ai luoghi dell’impresenza in cui è possibile riconoscere le vibrazioni delle anime e inseguirle come un canto:
“Non ti conosco
eppure riesci a muovere la mia anima,
la accarezzi lievemente.
Tu volto indefinito
né donna, né uomo,
riesci a toccare le corde
delle mie interiorità
e a farle risuonare
come musica antica,
come il canto
delle sirene di Odisseo.”
Francesco M. T. Tarantino