Nei quotidiani transiti delle ore
lavo piatti sfoglio libri calpesto ombre
di incontri su brecce di sentieri
porgo mani grandi e nude
all’estro del vento.
E m’accoccolo al fuoco dei camini
mi perdo nell’ardore amaranto
dei tramonti d’autunno
mi chiudo in un bozzolo
e quasi non respiro.
A qualcuno sarà dato diventare
farfalla iridata?
Mi ride dentro un destino ingannatore
di falena spiaccicata
sul vetro del lampione.
Fra cianfrusaglie nessun consuntivo
fra linee sghembe dis-armonie doni
dis-armante follia l’azzurro dell’aria
dentro ho un impavido cuore- se pur leso-
per altre albe altre mense altri doni.
*
La scrittura appartiene al mondo
non è proprietà privata
aggira il vicino parlato
con un punto e a capo
svirgoletta si distende
e spudoratamente
mente sulla sua incapacità di fare
silenzio e medicare il male
offre il fianco alla freccia
para il colpo dell’autorità col corpo
e non muore – sobbalza e addita
si sposta ai margini
diventa voce di confine
e si diletta
a dissacrare le regole e la sintassi
gli idola fori le forme del vento.
La scrittura svela le ombre
sotto la pelle la morte del bulbo
e l’odore del sale ad angoli di ciglia
al mercato un alfabeto innocente
non rende ragione ad alcun scambio
con sillabe sparse e rari lessemi
mostra comunitario il male il dolore
socializzate le res omissae
e dice pena come dicesse uomo.
*
Non corrono sulla verticale del mondo
compiuti destini
siamo incombenze da cestinare
anche sbadatamente
siamo ingombranti – muse saccenti-
col canto stonato – col fiele
nel fiato e fatiche
a reggere ogni presunta
derivazione e destinazione finale.
Ci abita un dolore opaco cattivo
e ne tracciamo perfette simmetrie
siamo urticanti infestanti incombenti
soprattutto prepotenti
per mascherare una miseria di mente
che mette radici nel cuore.
Siamo geni coi semi del cancro
frattali in qualunque progetto casuali
ci raccontiamo la bellezza e l’amore
forse ce n’è giunto un profumo lontano
e dell’attesa convulsa qualcuno ne vive
qualcuno ne muore.
*
Di molte ciarle un tempo
ora respiro silenzio
in una composta beatitudine.
Fui rossa e furente
rosa di ottobre
dallo spino a difesa
e allontanavo il silenzio
come fastidio di un tarlo
mai resa a nessuna battaglia
mai arresa non piegata.
Il silenzio ha trovato il suo nido
nel mio cuore
vi depone semi di pane
io ricordo i seminati d’oro
la pula e il chicco
lo splendore dei papaveri
e di mio padre le mani
dure e amorose.
*
Ho trattenuto un frullo di sillabe
per costruire un dire fuori di corte
ma una folata più ardimentosa di altre
mi ha strappato le parole
sono rimasta afasica e muta
balbetto sì -no- for-se- ….
sento la nudità fra le dita
le parole erano
un caldo cappotto
nel freddo residuale di un giorno
su cui hanno galoppato tempeste
stringo quel frullo di sillabe smarrite
ricomporrò un puzzle di senso
se mi sarà concesso
dall’arroganza delle impellenze
in ordine sparso
i giorni
gli amori
la magnolia del giardino
gli amici che mi sorridono
nel pugno.