C’è un tempo per vivere e c’è un tempo per scrivere, anche se questa sfasatura non dovrebbe trapelare nell’ordito della poesia. Queste due polarità dovrebbero fondersi o, come in una osmosi, combinarsi. Roberta Castoldi nel suo libro Il bianco e la conversazione (Marietti Editore) sembra protesa a trascendere questa separazione, a colmare questa cesura. Il suo cammino poetico tende a valicare questi baratri interiori non separando corpo e mente, scrittura ed esistenza. La poesia è un testimoniare questo transito faticoso e incessante, che Roberta sottolinea con un costante riferimento al verbo all’infinito. Gli infiniti verbali che affollano i versi della poetessa ,non sono tuttavia mai anonimi ed impersonali, come si è soliti intenderli, ma sempre incarnati ed incardinati in un vissuto mai rimosso ed allontanato; a volte è la memoria che smuove l’infermità delle cose, come nel primo testo della raccolta che apre e, quasi simile, chiude la prima sezione: “mi ricordo le cose, qui / sì, ma altre/ ( con l’aria che passa a fianco / come intravedere./ perché vedere è la quantità. / se puoi portarmi via da lì / stendermi più in basso / che possa passare” (p 11). L’urgenza della vita che è sempre ontologicamente avanti, non rinuncia ad interrogare la sedimentazione. Se c’è un nodo scoperto nella poesia di Roberta Castoldi, questo pare essere il problema del tempo; esso non è mai un’idea pura, una entità astratta, ma “morde “ sempre la carne e interpella la nostra storia singolare, anche quella passata che solo apparentemente sembra distanziata. Siamo strutturalmente interconnessi con il mondo-della-vita, ma non immuni da solitudini, cadute nel non senso e nell’inautentico; questo paradosso, per cui siamo molteplicità ed al contempo singolarità, fa sì che i testi poetici di questa raccolta si offrano ei colgano come schegge, sporgenze, rapide condensazioni, isole emergenti nel gran mare del tutto. Questo affiorare da un tessuto indistinto di connessioni che operano profondamente e che dà luogo a territori dell’anima, ci conduce ad abitare e leggere la parte emergente dell’iceberg. Ma anche l’autrice si abbandona a questo naufragio che è lo stare, il sostare sulle parole come ancore e ponti, zattere della vita. L’ isola è sempre sciolta, sconnessa, come l’isola interiore che abbiamo in noi: “ la porta di casa è soglia che taglia netti il fuori e i den- / tro. C’è una chiave o un suono da comporre e l’interno/ si offre con poca resistenza. / chi era fuori, scompare dentro. / ha inizio la vita propria, la compagna segreta. / è tutto ciò che posso solo immaginare in una distanza/ tra me e gli altri, una camera d’aria. / inguardabili anonimità, luoghi privati, sottratti, scom- / parsi. sono i luoghi ridotti, il mondo minore, scoperti e portati fuori con la scrittura, il dire sottile di chi si /insinua fino all’invidia degli altri” (p. 32).
La scrittura come levatrice, capace dell’ars maieutica, che ridà consistenza al “mondo minore”, allo strato sottile del micro che tende a rarefarsi, spezzarsi, scomparire. Sono le parole, anch’esse tuttavia fragili e friabili, che fissano le cose e che penetrano la loro resistenza ed inerzia. In questa incombenza dello scomparire, del ritorno al nulla, al deserto dell’eterno presente senza vita, al sordo ripetersi, la parola si offre quasi salvifica: “ quest’ombra mi ricorda mio padre / e per questa carne / che io tenevo per filo dell’anima (per non dire dei fiori). /ecco dove vuole andare il mio corpo / con un pezzetto, ha una memoria che piange … “ (p. 48). Il lessico di Roberta Castoldi, che talora si costruisce con il ritmo di una prosa poetica sincopata , rieccheggia questo vagabondare, è denso di inversioni, scorrimenti, paesaggi linguistici scarni, scabri, sofferti, macerati, come ogni vita sempre ripresa, mai lasciata affondare.
Roberto Taioli
*
pensare sono una nave
nelle mie parti che dormono
è avere parti, altre chiuse.
che niente l’alto
anche una distanza
vicina e piena
essere mia come una polpa.
perciò scende
e cadeva a dimenticarsi
come si ritorna stanchi.
e sono una terra illustrata bianca.
invito perfetto a fare un segno
puoi anche solo guardare.
*
la tua vita confinava con la mia
a fianco la notte
lungo la tua linea immobile.
l’amore era la nostra civiltà
altrimenti sommersi
e gli isolati costruiti dentro
commuovendoci di regole
non facciamoli invadere
dai cespugliacci
-dimenticanza delle parole
la barbarie del bianco.
ma tenerti compagnia
attraverso i panni di lana
riduzione dell’abbraccio
di qualcosa di vasto.
che l’amore lasci
almeno una conversazione.
Roberta Castoldi