“L’Albatro” di Charles Baudelaire

 

albie_tcm9-338112

L’ALBATROS

Souvent pour s’amuser, les hommes d’équipage
Prennent des albatros, vastes oiseaux des mers,
Qui suivent, indolents compagnons de voyage,
Le navire glissant sur les gouffres amers.

À peine les ont-ils déposés sur les planches,
Que ces rois de l’azur, maladroits et honteux,
Laissent piteusement leurs grandes ailes blanches
Comme des avirons traîner à côté d’eux.

Ce voyageur ailé, comme il est gauche et veule!
Lui, naguère si beau, qu’il est comique et laid!
L’un agace son bec avec un brûle-gueule,
L’autre mime, en boitant, l’infirme qui volait!

Le Poëte est semblable au prince des nuées
Qui hante la tempête et se rit de l’archer;
Exilé sur le sol au milieu des huées,
Ses ailes de géant l’empêchent de marcher.

L’ALBATRO

Spesso, per svago i gabbieri catturano
Gli albatri, grandi uccelli dei mari
Che scortano, pigri compagni di viaggio,
Il veliero che scivola sui vortici amari.

Appena sistemati sul ponte della nave,
Questi re dell’azzurro, timorosi e maldestri,
Lasciano tristemente le grandi ali bianche
Pendere sui fianchi come remi inerti.

Il viandante volante com’è sgraziato e smorto!
Lui, un tempo così bello, com’è buffo e orrido!
C’è chi gli afferra il becco con la pipa,
Chi oscillando, mima, lo storpio che librava.

Il poeta è simile al principe dei nembi
Che pratica la burrasca e ride dell’arciere;
Esiliato a terra in mezzo agli scherni
Le ali di gigante gli negano di partire.

(traduzione di Luciano Nota)

3 commenti
  1. Caro Luciano,
    l’Albatro fu ispirata dal suo viaggio in India, un viaggio che il giovane Charles voleva fortemente fare , e che si rivelò poi un disastro. Ma per spingere la madre ad accordargli la possibilità di effettuare il viaggio, le inviò questa poesia, dedicata a Sarah, la sua amante, detta Luchette:

    L’AMANTE EBREA
    ” Una notte che accanto a una tremenda Ebrea,/ come un lungo cadavere ero steso,/ su quel corpo venduto mi sorpresi a pensare/ alla triste bellezza che sfugge alla mia brama// Mi figurai com’era un tempo, maestoso,/ il suo sguardo tagliente di grazie e di vigore ,/ i suoi capelli che le fanno un casco odoroso/ il cui ricordo mi ridà forza per l’amore// Ah, sì, con fervore il tuo nobile corpo avrei baciato,/ e dai piedi fragranti fino alle nere trecce/ avrei sparso un tesoro di carezze profonde// se solo qualche sera con un pianto sincero, / tu spegnessi , o grandissima crudele ,/ il freddo faro delle tue pupille.”// “Non ho per amante una donna illustre:/ la stracciona trae dalla mia anima tutto il suo lustro;/ invisibile agli sguardi dell’universo beffardo, /la sua bellezza fiorisce solo nel mio triste cuore// Per avere le scarpe ha venduto l’anima// Ha solo vent’anni; il seno già basso/pende da due lati come zucche,/ eppure, tirandomi ogni notte sul suo corpo,/ come un neonato io la succhio e mordo,// e se spesso non ha un obolo/per strofinarsi la pelle, per ungersi le spalle,/ la lecco in silenzio con più fervore/ che Maddalena in fiamme ai piedi del Salvatore// Signori, non sputate ingiuria, né lordura/sul viso truccato di questa povera impura/che la dea Fame partorì una sera d’inverno/costretta a sollevarsi la gonna all’aperto// Questa bohème è il mio tutto, la mia ricchezza;/perla, gioiello regina duchessa , /colei che m’ha cullato sul suo grembo vincitore/ e che nelle sue mani m’ha riscaldato il cuore.”

    IL VIAGGIO IN INDIA
    Dopo aver letto questa bella e cruda poesia , scritta dal Charles nel 1840, a diciannove anni, la madre convince il “Consiglio” di famiglia a ratificare il suo vagheggiato viaggio in India che – si spera – potrà disintossicarlo dalle “fogne” di Parigi. Ma l’epilogo del viaggio sarà tragicomico.
    “La destinazione sarà Calcutta, durata del viaggio circa un anno”, scrive il patrigno , Generale Aupick , ad Alphonse Baudelaire, fratellastro di Charles, vent’anni più grande di lui ,insigne procuratore di Parigi. E poi aggiunge , Sarà molto formativo, lo distrarrà da certe idee balzane e un poco folli”. Ma già ai primi scali della nave , presso l’Isola di Maurice, a Bourbon ( certe volte la potenza dei nomi!!) , Baudelaire si rifiuta categoricamente di proseguire, costringendo il comandante Saliz a improvvisargli un viaggio di ritorno, che sarà piuttosto complicato e laborioso. Di fatto Charles farà ritorno in francia il 15 febbraio 1842, nove mesi dopo essere partito. E da questa esperienza di viaggio fallito, il cui resoconto grottesco troviamo nella lettera che il comandante della nave scriver al generale Aupick, nascerà appunto…”Il viaggio” , una lunga poesia di cui riportiamo il finale:
    ” Che amara conoscenza si ricava dai viaggi!/ Oggi e ieri e domani e sempre il mondo/il monotono e meschino ci mostra quel che siamo:/un’isola d’orrore in un mare di noia”.
    Probabilmente proprio da quest’unica sua esperienza di mare risale la famosa poesia ” L’albatros” , che Pichois ( lo studioso di B., fa risalire appunto agli anni 1841-42).”Spesso per divertirsi, i marinai/catturano degli albatri, grandi uccelli dei mari, /indolenti compagni di viaggio delle navi/in lieve corsa sugli abissi amari// L’hanno appena posato sulla tolda/ e già il re dell’azzurro, maldestro vergognoso,/pietosamente accanto a sè strascina / come fossero remi le grandi ali bianche// Com’è fiacco e sinistro il viaggiatore alato!/ E comico e brutto, lui prima così bello!/ Chi gli mette una pipa sotto il becco,/ chi imita, zoppicando, lo storpio che volava!// Il Poeta è come lui , principe delle nubi/ che sta con l’uragano e ride degli arcieri;/ esule in terra fra gli scherni, impediscono/ che cammini le sue ali da gigante.”

    IL CULTO DI SE’
    Diventato maggiorenne, due mesi dopo il rientro “dall’India” , B., chiede di entrare in possesso del suo patrimonio, di circa centomila franchi. Ne ha quanto basta per vivere agiatamente tutta la vita, ma in capo a meno di un anno dilapida la metà delle sostanze. Allora la madre , assistita dal marito , generale Aupick, lo fa mettere sotto tutela . I suoi beni saranno amministrati dal notaio Narcisse Ancelle . Charles , che rimarrà sotto la sua tutela per tutta la sua non lunghissima vita , gli scrive una lettera il 30 giugno 1845:
    “Quando Mlle Jeanne Lemer ( la sua amante n.d.r.) vi consegnerà questa lettera, io sarò morto. Mi uccido- senza soffrire. Non provo nessuno dei turbamenti che gli uomini chiamano sofferenza. I debiti non sono mai stati una sofferenza per me.// Mi uccido perchè non posso più vivere, perchè la fatica di addormentarmi e la fatica di risvegliarmi mi sono insopportabili. Mi uccido perchè sono inutile agli altri e pericoloso a me stesso. Mi uccido perchè mi credo immortale e perchè spero…
    Tranne la parte che spetta alla madre, lascia tutto a Jeanne, “compresi i pochi mobili e il mio ritratto ( è quello di Courbet, n.d.r), perchè lei è il solo essere in cui ho trovato un po’ di pace”. Ovviamente non si ucciderà, ma l’umiliazione di essere sottoposto a tutela come un mentecatto non potrà mai accettarla. Aveva detto alla madre: “tu mi dai scientemente e volontariamente una pena infinita , di cui non conosci tutto il tormento, il tuo è un attentato alla mia libertà”. Non fa che chiedermi prestiti esorbitanti, visto che il suo tutore non sborsa un franco. Ma a che cosa gli serve il denaro, se non fa che buttarlo via?, dice il fratello Alphonse. In realtà gli serve per pagare il “culto di sè”.
    ” Compra tre gilet a 40 franchi l’uno, quando a me costano dieci, e io sono un colosso rispetto a lui”.La prodigalità , l’indifferenza al denaro, è propria dei dandies, e lui, a soli vent’anni, ne è la perfetta incarnazione: la testa emerge dal busto, come un bouquet , come una “criniera” – scrive Fèlix Tournachon Nadar, che sarà il suo fotografo e biografo -; i lunghi boccoli neri ricadono sulle spalle di un frac nero sapientemente più ampio di qualche taglia, svasatissimo, a coda di rondine, con le maniche dai risvolti tormentati dalle mani sempre perfettamente curate; da sotto il lungo gilet a dodici bottoni emerge la camicia dagli ampi polsini plissettati; sul candore della camicia s’aggiunge presto la macchia ” sangue blue” d’una cravatta floscia…e poi , il clou dell’emancipazione,i guanti rosa. Giuseppe Montesano ci scriverà una biografia, “Il ribelle in guanti rosa”. “Il dandy stupisce senza mai lasciarsi stupire , orgoglioso della propria aristocratica indifferenza”…Il denaro è indispensabile a chi fa delle proprie passioni un culto; ma il dandy non aspira al denaro come a una cosa essenziale, un credito illimitato potrebbe bastargli; ed egli lascia questa grossolana passione ai volgari mortali”. Ma il denaro gli verrà presto negato e allora lui si annegherà nei “paradisi artificiali”.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...