Partire da una rielaborazione strettamente individuale del modello seicentesco e maturare nel proprio linguaggio la tradizione moderna della poesia iberica, anche popolare con i suoi spunti allusivi e oscuri ha permesso a Rafael Alberti di trasferire nei suoi versi allucinazioni e analogie coraggiose con l’affido delle ragioni profonde del cuore a un linguaggio surreale e celato. Ma è soprattutto negli anni Trenta la direzione della rivista rivoluzionaria “Octubre” e la militanza diretta a sostegno delle file repubblicane e l’esilio all’indomani della vittoria dei falangisti in Francia, Messico, Argentina e Italia a fargli ribadire piena consapevolezza di un impegno scritto anche nelle pagine del mondo reale. Lingua e stile inseguono temi civili attraverso un sentiero meno accidentato dove però non sono poi del tutto assenti mine vaganti di immagini ardite. In un certo senso, concesso il paragone pindarico con Alfonso Gatto, l’urgenza dei temi bellico-resistenziali ha mutato l’atteggiamento stilistico di Alberti: far prevalere il vigore e la chiarezza decifrabile del messaggio sulla raffinatezza formale. In L’autunno e l’Ebro, lirica ambientata durante la guerra civile spagnola esiste uno stratagemma visivo duro. Il partigiano antifranchista pur “albero privo di foglie” è comunque linfa e clorofilla nel suo apparire simbolico che, pur abbracciando la similitudine, porta alla ribalta gli assidui riferimenti al contesto fisico e naturale. Ciò viene avvalorato con una prepotenza didascalica, sviluppa la permuta tra i due termini di paragone e insieme al ricorso a indizi (come, simile, al pari), supera la struttura analogica adottata da Alberti magari nella silloge giovanile di Marinero en tierra.
L’autunno, un’altra volta. Dura la guerra, fredda,
sorda alla ritornante discesa delle foglie.
Come l’uomo dell’Ebro sotto l’artiglieria
in riva all’acque rosse i tronchi fatti spogli.
Resistenza dell’albero, tenace e umana al pari
di quella del soldato, che sotto i temporali
della morte notturna, salir vede il mattino
nuovamente fiorito di ramure immortali.
Penso alle foglie, come sol provvisoriamente
la terra si disvesta del bosco più amato,
come tenace l’uomo della Spagna si senta
simile a questi tronchi, rivestito o spogliato.
L’autunno, un’altra volta. Tosto l’inverno. Sia.
Si nudi il tronco, il sole di noi memoria perda.
Rimanga al par degli alberi l’uomo nella battaglia,
pallido, asciutto, freddo – ma il fusto sempre verde.
Non incidono sul corso del conflitto gli effetti della penultima stagione dell’anno, le foglie che scendono paiono ribadire l’evolversi ritmico del tempo mentre i tronchi, ormai nudi, sono nella stessa situazione del combattente che, sfidato dalle cannonate nemiche si trova sul fiume Ebro, arrossato dal sangue delle vittime. E sono davvero le brigate spogliate dallo scontro a diventare qui e in tutto il testo il perno del componimento. L’avvicinamento della pianta al soldato sfocia nella metafora che definisce la battaglia “temporali della morte notturna”, battuta di lì a poche ore da una nuova alba germogliata su rami robusti di una fiducia rinata, speranza di un sacrificio compiuto ed eletto a fondazione di ideali imperituri. Saldo nel proprio credo, come il cavallo picassiano di Guernica il popolo si immedesimerà in questi tronchi sia frondosi sia senza foglie. Non interessa la sbadataggine del sole né la perdita delle chiome verdeggianti perché a opporsi resta la coscienza caparbia di combattere per una causa giusta. Alberti vuole esporre per sé e gli altri un’arte attivamente partecipe degli impegni terreni più alti, che sia cioè una battaglia morale e civile, “uno staffile”, “una frustata” senza spiegare in esclusiva il dolore interiore ma la sua fiera resistenza capace “a spalle alte” di sollevare le masse inerti e a trascinarle nella lotta per il riscatto, contenuto in quell’ “agita la luce del fulmine”, tutta impegnata su verità e coscienza. Appaiono questi i successivi propositi della dedica all’artista messicano David A. Siqueiros che Alberti fa lievitare oltre il suo atelier pittorico in sfumature vivaci, al di là della cornice di una tela per ribadire la priorità e difesa dei diritti inalienabili alla faccia del rigore accademico.
Quando il pennello è un coltello
quando il colore è uno sparo
quando il disegno, la linea
è uno staffile, una frustata
quando si dipinge chi piange
e soffre, ma in piedi,
quando invece dei ginocchi
si esaltano le spalle alte;
quando gli oscuri venti
combattono con i venti chiari,
quando all’uccello più nero
si oppone un uccello bianco;
quando un uomo non tace
né sta con le braccia conserte,
quando davanti alle moltitudini
agita la luce del fulmine;
quando dipinge ciò che vede
e non quello che ha sognato,
quando la verità è la verità
e l’inganno è solo l’inganno;
David allora si chiama
David l’incatenato
David Alfaro Siqueiros
Solo, senza freccia né arco,
solo, fra mura murato
tra quattro murali vuoti
quattro ombre, senza spazio.
Michele Rossitti
Appassionante come sempre, Michele Rossitti. Grazie per questa bella lettura.
Sì, appassionante. Letto d’un fiato. Grazie.