Vorrei poter accarezzare i tuoi demoni,
due dita, a scivolargli sul volto.
Vorrei scendere nel tuo inferno
e bruciarmi nel tuo fuoco di dolore.
Vorrei guardarti dentro agli occhi
e cercare nell’iride una pace.
Mutino i segni sul volto dei demoni:
accarezzàti sapranno sorridere,
e il fuoco impuro che ti divora
potrà salvarti tornando a scaldare.
L’alto è la volontà della fiamma,
passione la sua danza di luce.
L’inferno ti illumina il volto
perché mai possa conoscere il buio
il tuo ineffabile sorriso di dio.
*
Lontano mio padre e mia madre
compiono magie di pane.
Respirano davanti al forno
il profumo buono del tempo.
L’attesa profuma d’erva janca,
d’ artemisia profumano i ricordi.
*
Guardo la mia casa.
Regge,
così piccola e sola,
tutto il peso
del cielo stellato.
*
Il boccale di vetro
che ruppi all’Hostaria del Faro
l’ho visto brillare in cocci
sul quieto fondo marino.
Mai fu così felice:
ora poteva contenere il mare.
*
Potremmo trovarci
dove minuscole carovane verdi
curvarono un filo d’erba,
e seguire con occhi bambini
voli di fiori che si credettero farfalle.
Potremmo esser lì adesso, io e te,
ma i miracoli durano un bacio
e poi fumano come camini
nell’inverno di paesi mai esistiti.
*
No, non eri tu.
Non eri il cielo in cui lasciar andare le mie nuvole.
Ma sembravi lui, proprio quel cielo mio.
Avrei dipinto ogni mio sentiero del tuo colore.
Sembrava il mio colore, ma non era lui, no.
Eppure ci avrei giurato che fossi tu.
Io ci ho creduto,
poiché volevo che fossi tu,
proprio tu.
Somigliavi così tanto alla mia idea d’amore,
ed era così bello crederci.
Somigliavi così tanto alla mia idea di gioia.
Era così dolce saperlo.
Ma non eri, no, non eri tu.
E vorrei prendermela con te per questo,
anche se è stupido.
Vorrei tanto prendermela con te, ora,
anche se non ha senso.
Solo perché lo avrei voluto con ogni mia fibra
che fossi tu, proprio tu
il mio amore.
*
Setaccio granelli di tristezze perfette.
Li levigo con lo sguardo,
lungo paesi di buio.
Da “Ossario” di Davide Cortese (Arduino Sacco Editore, Roma, 2011)
Sono piccoli miracoli questi testi così antichi e così nuovi. Svelano solitudini e aperture, stupore e concretezza. La misura si specchia nella fioritura delle immagini. Sono “sguardi abitati di bellezza”.
Rosaria Di Donato
Le poesie proposte, nella loro esemplarità, sono come il mare contenuto nei cocci del boccale che inevitabilmente va perduto nella sua totalità, però conqusta in tal modo una nuova dimensione metafisica imponendosi con la forza delle allusioni vive e profonde. C’è poi una forma abbastanza libera da strutture troppo preordinate, eppure non casuale, educata al bello e interlocutoria.