Pittura dell’Ottocento italiano a Forlì, di Maria Grazia Ferraris

El_Beso_(Pinacoteca_de_Brera,_Milán,_1859)

Francesco Hayez, Il bacio, 1861

Una importante mostra ai Musei San Domenico di Forlì, in questo primaverile 2019, dal titolo- OTTOCENTO L’arte dell’Italia tra Francesco Hayez e Giovanni Segantini (a cura di G. Brunelli, F. Mazzocca, F. Leone) spazia sull’arte italiana dell’Ottocento nel periodo storico che va dalla fine del Romanticismo al Realismo, fino al Simbolismo, e alle prime sperimentazioni del Novecento, che storicamente corrispondono agli anni dell’avvenuta unità d’Italia e lo scoppio della prima guerra mondiale. Sono cinquant’anni di arte esposti in mostra, la quale contribuisce, come un laboratorio di ricerca, attraverso il contributo dei vari generi, a illustrare la storia di un’unità nazionale difficile da realizzare, visto le diverse realtà politiche culturali economiche e sociali spesso antagoniste e contraddittorie che hanno caratterizzato la nostra complessa storia dell’unità nazionale.

Sono presenti pittori come Induno, Faruffini, Maccari, Costa, Fattori, Signorini, Michetti, Previati, Morbelli, De Nittis, Pellizza da Volpedo, Boccioni, Balla; e scultori come Vela, Cecioni, Gemito, Bistolfi e Medardo Rosso, per citare i maggiori, che si esprimono nella ufficialità condivisa della storia nazionale fino alla sperimentazione innovativa macchiaiola e divisionista di sapore europeo.

Aprono e chiudono l’itinerario due artisti massimi: Francesco Hayez(1791-1882), e Giovanni Segantini (1858-1899). F. Hayez, il romantico, di tradizione veneta, che vide la Roma del Canova e la Lombardia milanese di Andrea Appiani, i luoghi importanti di formazione e lavoro, assecondò il gusto vicino agli influssi classicheggianti di Canova e Ingres, oltre a quelli dei maestri rinascimentali, in primo luogo Raffaello. Ma nei soggetti, Hayez propone temi moderni pur in contesti medioevali, ispirati alla storia nazionale, e inserisce chiari messaggi patriottici. È infatti il pittore protagonista del Risorgimento dell’arte italiana, consacrato dal Mazzini pittore della nazione, che ha saputo nondimeno elaborare un modello figurativo nazionale storico, legandolo al Medio Evo, ma rielaborato nella forma della pittura europea attraverso la lezione di Raffaello, Tiziano, Reni e Tiepolo. L’esempio di Hayez dimostra la validità del genere storico sia per quanto riguarda il passato che la storia più recente, i fatti del Risorgimento. Fu un artista poliedrico e audace, non certo un provinciale, capace di mediare in modo originale tra la tradizione classica ben radicata in Italia e la nuova sensibilità romantica, tra realismo e immaginazione, tra sensualità e patriottismo risorgimentale. Il suo dipinto-manifesto patriottico- del 1859, più noto, è Il Bacio, realizzato proprio nell’anno della seconda guerra d’Indipendenza, e sa assumere un significato politico e patriottico. Hayez frequentava infatti i circoli indipendentisti dell’epoca ed era molto apprezzato da Giuseppe Mazzini. Il giovane con cappello piumato alluderebbe ad uno dei volontari della guerra, e l’ardore nel bacio nascerebbe dal pensiero della lontananza e dei rischi connessi alle guerre, la dolorosa separazione tra due innamorati avveniva per un dovere molto sentito e condiviso in quegli anni, la difesa della propria terra. I colori , soprattutto nelle versioni successive, evocano la bandiera italiana. Nel 1872, lo scrittore Federico Dall’Ongaro lo definì Il bacio del volontario (alla battaglia di Curtatone e Montanara, durante la prima guerra d’Indipendenza, avevano partecipato molti giovanissimi volontari). Il soggetto, il bacio appassionato, rimanda nondimeno all’anelito sentimentale che caratterizzava la società del tempo e che aveva trovato la sua espressione migliore nella musica di Giuseppe Verdi. La tenerezza abbandonata, melanconica e sensuale della scena si coniuga, infatti, con una dimensione fortemente melodrammatica. Esistono altre due versioni del Bacio. Quella del 1861, è conservata in collezione privata ed è facilmente riconoscibile perché la ragazza indossa un abito bianco (che confrontato con il mantello verde e la calzamaglia rossa del giovane ha dato adito a interpretazioni circa un’allegoria della bandiera italiana), è firmata e datata e fu dipinta per l’imprenditore di origine svizzera Federico Mylius. La terza versione del 1867, si distingue per alcuni particolari (il velo gettato sugli scalini, la bifora in posizione più centrale, la mezza colonnina alle spalle dei protagonisti) e rimase di proprietà dell’Autore fino alla sua morte. Ne esistono altre versioni meno conosciute, ma che sono state comunque rintracciate dagli studiosi e identificate, su base documentaria, come repliche eseguite dalla mano di Hayez.

leduemadri

Giovanni Segantini, Le due madri, 1908

Ben diversa è la parabola di Giovanni Segantini, che dai primi approcci ancora realistici dei paesaggi di Milano, come Il Naviglio a ponte San Marco del 1880, fino agli studi per il Trittico, La natura, la vita e la morte(1896-99) per l’Expo parigina, unisce e fonde con grande originalità divisionismo e simbolismo sempre più legato agli esempi dei pittori nordici . “Un vero senza ideale, diceva, è una realtà senza vita”. L’arte, pensava, “dovrebbe essere l’incarnazione dell’io con la natura.” “ Il mescolare i colori sulla tavolozza è una strada che conduce verso il nero, più puri che saranno i colori che getteremo sulla tela, meglio condurremo il nostro dipinto verso la luce, l’aria, la verità.” G. Segantini sceglie la rappresentazione della donna proposta prevalentemente nei termini della maternità, della sublimazione, come l’angelo della casa, e si esprime con annotazioni realistiche e carezzevoli, come quando confida alla scrittrice amica Neera, sua corrispondente (notissima al tempo, Anna Radius Zuccari , Milano 1846 – 1918 ) in un carteggio di eccezionale testimonianza : … “ Qui (Maloja 1899) dove io lavoro per metà dell’anno le madri hanno delle culle assai gentili che con cinghie incrociatesi su le spalle portano, con entro il pargoletto su e giù dalle Alpi e sui campi dove si recano a lavorare, e quivi danno latte e baci nell’aria pura sotto il bel sole”…L’amore che nasce dal rispetto e dalla bontà è più durevole di quello che nasce dalla sola bellezza fisica” ( A Neera, Savognino, 7-2-1893). Già affermava: ..”Amai e rispettai sempre la donna in qualunque condizione essa sia pur che essa abbia viscere materne” (L’anima 1891). È la visione dell’Italia-madre, dei suoi valori, dell’inizio del Novecento, che ritroveremo nelle poesie del Pascoli. Il suo paesaggio è quello eterno, intatto, epico delle Alpi, dipinto con innovative rappresentazioni, dove la luce è protagonista e gli permette di costruire la sua personalissima trama della modernità. Segantini avrà il suo riconoscimento anche patriottico da G. D’Annunzio, nell’ Ode In morte del pittore: … “ colui che cercava una patria nelle altezze più nude/sempre più solitaria.”

Spenti sono gli occhi umili e degni ove s’accolse l’infinita
bellezza, partita è l’anima ove l’ombra e la luce la vita
e la morte furon come una sola
preghiera, e la melodìa del ruscello e il mugghio dell’armento e il tuono
della tempesta e il grido dell’aquila e il gemito dell’uomo
furon come una sola parola,

e tutte le cose furono come una sola cosa
abbracciata per sempre dalla sua silenziosa
potenza come dall’aria.
Partita è su i vènti ebra di libertà l’anima dolce e rude
di colui che cercava una patria nelle altezze più nude
sempre più solitaria.

Maria Grazia Ferraris

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