
Friedrich Wilhelm Nietzsche, Röcken, presso Lützen, 1844 – Weimar, 1900
I sette componimenti in questione si trovano in apertura al volume di Friedrich Wilhelm Nietzsche La Gaia Scienza (nota introduttiva di Giorgio Colli, versione di Ferrucio Masini, Adelphi, Milano, 1977, pp. 11-17). Essi probabilmente risalgono all’anno 1882, allorché l’ormai apolide filosofo (aveva rinunciato alla cittadinanza tedesca) intraprese una serie di viaggi in Europa e in Italia toccando località quali Sils Maria in Engadina, Genova, Messina (mese di aprile) Orta, Lucerna, Basilea. Gli idilli messinesi riprendono nel genere quello dell’idillio nato in Grecia con Callimaco e Teocrito. Probabilmente si ipotizza che le liriche non siano state scritte a Messina ma in altre località della sua peregrinazione. Quel che è certo che Nietzsche fu profondamente colpito dalla città dello Stretto. Da Messina scrive a Overbeck l’8 aprile (Overbeck era un pastore protestante amico del filosofo tra i quali intercorse una fitta corrispondenza): “… alla fine con audace decisione mi sono imbarcato come solo passeggero per Messina e comincio a credere di aver avuto in ciò più fortuna che intelligenza – giacchè questa Messina sembra fatta per me; i Messinesi mi dimostrano una tale amabilità e premura, che mi sono venute in mente le idee più buffe (chi sa che non ci sia qualcuno che mi vien dietro in viaggio con lo scopo di comprarmi i favori di questa gente?”. Il 24 aprile Nietzsche è però già a Roma dove fa la conoscenza di Lou Soalomè. In precedenza Nietzsche dovrebbe aver ricevuto a Messina un lettera da Rée del 20 aprile ove trasmette all’amico l’irritazione della donna per non essere ancora riuscita ad incontrarlo: “ Caro signor Messinese … con la sua decisione di andare a Messina ha provocato lo stupore e la preoccupazione della giovane russa. Costei è così incuriosita e desidera talmente vederLa e parlare con Lei che voleva a questo scopo fare il viaggio di ritorno passando da Genova, e si è molto arrabbiata di sapere che Lei ora è così lontano. Si tratta di una persona energica, incredibilmente intelligente, ma con tratti di carattere molto femminili, perciò infantili. Ha detto che vorrebbe passare un anno piacevole, ciò dovrebbe avvenire nel prossimo inverno. Per far ciò ritiene indispensabili: Lei, me e una anziana signora come la signorina Meysenburg (ha ricevuto la lettera?), ma quest’ultima non ne ha voglia. Forse si potrebbe organizzare questa convivenza- ma chi prendere come anziana signora? La sede dovrebbe essere Genova, oppure lei sarebbe disposto ad andare altrove? La cosa potrebbe diventare davvero estremamente piacevole. A Roma c’è un po’ troppa gente. Roma non è adatta per lei.[…] Ma bisogna in tutti i modi che lei conosca la russa”.
Roberto Taioli
Principe Vogelfrei
Su un curvo ramo eccomi sospeso
A somma sovra il mare ed il poggiuolo:
Un uccello mi volle ospite suo –
Lo seguitai nel volo e pace, pace
Mi godo e batto le piccole ali.
Il bianco mare s’è assopito,
Ogni duolo e sospiro in me s’addorme.
Ho la meta e il porto obliato,
Di tema e lode e pena sono immemore:
Ora io seguo ogni uccello nel volo.
Un passo dietro l’altro – non è vita!
Sempre gamba in avanti slomba e s’aggrava”
Sollevare io mi lascio dai venti,
Librarmi sulle ali mi piace
E di ogni uccello tener dietro al volo.
Ragione? Una brutta faccenda:
Ragione e lingua complicano assai!
Nuove forze infuse in me volare
E più belle faccende m’insegnò
Canto e scherzo e arie da operetta.
Meditare solinghi – è cosa saggia,
Ma solinghi cantar – questo è da stolti!
Porgete dunque l’orecchio al mio cantare
E intorno a me, tacitamente, in cerchio
Posate, miei bei uccelletti.
Il brigantino, detto “Angiolina”
Angiolina: questo è il mio nome –
Ora una nave, un tempo una ragazza,
Ah, ancor sempre parecchio ragazza”
Chè per amor si volge senza posa
La mia sagace ruota timoniera.
Angiolina: questo è il mio nome –
Di cento bandierine sono adorna,
E l’assai vago picciol capitano
Si gonfia al mio timone quasi fosse
La centesima e una bandierina-
Angiolina: questo è il mio nome –
Ovunque per me una fiammella
Risplenda, corr’io la mia strada
Ardentemente come un agnellino:
Sempre fui un agnellino così.
Angiolina: questo è il mio nome –
Nol lo credete voi che come un cane
Possa io abbaiare e che la mia boccuccia
Caligine e fiamme rivomiti?
Ah! È del demonio la boccuccia mia!
Angiolina: questo è il mio nome –
Bastò maligna paroletta un giorno
Che in un baleno il mio beneamato
Si dileguò nell’ultimo angoletto:
Sì, per tal paroletta rese l’anima!
Angiolina: questo è il mio nome –
Balzai da uno scoglietto nell’abisso,
Tosto che seppi, ed una costolina
Ruppimi sì che fuggì l’alma cara:
Sì, s’en fuggì per questa costolina!
Angiolina: questo è il mio nome –
Come un gattino quest’anima mia
Fece un saltino e due e tre e quattro,
Poi si slanciò su questa navicella –
Sì, non le mancan zampettine leste.
Angiolina: questo è il il mio nome –
Ora una nave, un tempo una ragazza,
Ah, ancor sempre parecchio una ragazza,
Chè per amor si volge senza posa
La mia sagace ruota timoniera.
Canto del capraio
(Al mio vicino Teocrito di Siracusa)
Qui, malato nei visceri, giaccio –
Le cimici mi stanno divorando.
E anche luce e rumore di là:
Son loro, li sento, che ballano.
Era verso quest’ora che voleva
Sgattaiolar furtiva qui da me;
Io come un cane l’attendo –
Ma non dà segno di vita !
E la croce, nel far la sua promessa!
Come poteva mentire?
O va correndo quella appresso ognuno,
Come le capre mie?
Dove ha preso la gonna di seta? –
Ah, è così, mia superba?
Stanno ancora parecchi caproni
Di casa in questo bosco?
Come rende accigliati e invelenisce
Innamorata attesa!
Cresce così nell’afa della notte,
Il velenoso fungo nel giardino.
L’amor mi strugge
Come i sette malanni –
Di mangiare non ho quasi più voglia,
Addio, mie cipollette!
Già cala la luna nel mare,
Stanche son tutte le stelle,
Grigio s’appressa lentamente il giorno –
Come vorrei morire.
La piccola strega
Finchè avrò un corpicino grazioso,
Varrà la pena d’essere devota.
E’ risaputo che le femminelle
Ama il Signore, specie le graziose.
Di certo vorrà perdonare
Al fraticello garbato
Se anche lui come tanti fraticelli
Volentieri sta in mia compagnia.
Macchè canuto padre della Chiesa
Giovane ancora e rubicondo spesso,
Spesso siccome il gatto è più bigio,
La gelosia e la brama lo tormenta!
Io non amo i vecchioni,
E lui non ama le vecchie:
In che modo mirabile e saggio
Ha Dio sistemato la cosa!
La Chiesa conosce la vita,
Il cuore scruta il viso.
Ed è sempre disposta a perdonarmi:-
E a me chi negherebbe il perdono?
Si bisbiglia con la boccuccia,
Genuflessione, ed eccoci fuori
E, col peccatuccio nuovo
Il vecchio è cancellato.
Sia lodato il Signore sulla terra,
Che ama le belle ragazze
E simili pene del cuore
A se stesso perdona volentieri!
Finchè avrò un corpicino grazioso,
Varrà la pena d’essere devota:
Quando sarà una vecchia tentennante
Con Satanasso mi mariterò!
Mistero notturno
L’altra notte, quando tutto dormiva
E con incerti sospiri il vento
Trascorreva appena per i vicoli,
Non il cuscino mi dava riposo,
Né il papavero, né ciò che di solito infonde
Sonno profondo- una tranquilla coscienza.
Infine non cercai più di dormire
E corsi sulla spiaggia. Era un
Dolce chiaro di luna – e nella sabbia calda
Incontrai un uomo e una barca,
Ambedue sonnolenti, pastore e pecorella:-
E sonnolenta salpò la barca.
Fu un’ora, forse anche due,
O fu un anno? – ma ecco, a un tratto,
Sprofondarono sensi e pensieri
In un’eternità indistinta,
E un abisso senza confini
Si spalancò: tutto era passato!-
Venne il mattino: sta immota una barca
Su neri abissi e riposa, riposa –
Che accadde? fu subito Il grido
Il grido di cento – che è stato? Del sangue?
Nulla accadde! Tutti dormivamo
Dormivamo – ah, così bene! così bene!
Pia, caritatevole, amorosissima
( Nel camposanto)
Oh fanciulla che dell’agnello
Il morbido vello accarezzi,
Mentre due cose, luce e fiamma,
Nei due occhi vi brillano
Tu amabile trastullo,
Tu da presso e da lungi prediletta,
Così pia, mite di cuore,
Amorosissima!
Cosa strappò sì tosto la catena?
Chi rattristò il tuo cuore?
E se amavi,
Chi non avrebbe
Saputo abbastanza amarti? –
Tu taci –eppur le lacrime
Già ti spuntan negli occhi miti: –
Tacevi – e morivi di struggimento,
Amorossisima?
Uccello albatro
Oh prodigio! Vola ancora?
S’innalza mentre l’ali sue ristanno!
Cosa lo porta dunque e lo solleva?
Cos’è meta per lui?, e impulso, e freno?
Fino al sommo volò – ora lo innalza
Pur anche il ciel nel vittorioso volo:
Quietamente riposa ora e si libra
La vittoria obliando e il vincitore.
Ora siccome stella e eternità
Vive ad altezze da cui vita rifugge,
Persin dell’invidia pietoso -:
E volò in alto chi anche solo librarsi lo vide!
Uccello albatro
Oh uccello albatro!
In alto un pungolo eterno m’incalza!
Io pensai a te. E lacrime ecco su lacrime
Mi sgorgarono – sì, io ti amo!
Giudizio d’uccello
Or non è molto, mentre sedevo
Sotto alberi cupi, a ristorami,
Udii sommesso un ticchettio, aggraziato
Come seguisse cadenza e misura.
Mi fece rabbia, e giù coi miei versacci,
Alla fine m’arresi e giunsi al punto
Di consonar con lui come un poeta
Facendo anch’io tic-tac.
E le sillabe, in questo verseggiare,
Saltellavano, oplà, l’una sull’altra,
Così che scoppiai a ridere d’un tratto
E risi per un quarto d’ora,
Tu un poeta? Saresti tu un poeta?
A tal punto vai via di cervello?-
“Sì, signor mio, voi siete un poeta !”
Così disse l’uccello picchio.
Friedrich Wilhelm Nietzsche (traduzione di Ferruccio Masini)