I Canti leopardiani: L’infinito

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Una siepe, un uomo seduto e contemplante, un improvviso soffio di vento che giunge  e rapido si dilegua: ecco i semplici elementi di questa prodigiosa poesia. E’ dalla siepe che s’inizia e si svolge la serie dei profondi pensieri che si tramutano e si concretano in mirabili fantasmi poetici.  La linea precisa dell’orizzonte, che sembra veramente concludere e definire il campo della realtà, suscita in lui il sentimento e la coscienza del limite. Ma spezzata da quella siepe la continuità della linea, interrotta la curva di quel circolo estremo dove lo sguardo si arrende, la fantasia del poeta seduto e contemplante può levarsi e si leva ad una visione ideale infinitamente più vasta. Dietro quella siepe non sono già i campi coltivati e non i borghi e le ville echeggianti di risa festose o di gemiti dolorosi, e non il mare tempestoso. Dietro quella siepe è lo spazio interminato, è il sovrumano silenzio, è la quiete assoluta, perfetta. Dietro quella siepe è il mistero. E nel mistero si sprofonda l’anima del poeta che perde, oltre la consapevolezza del proprio essere, anche la nozione delle cose reali. Un improvviso alito di vento, una voce tenue, sottile, un leggero tremare di foglie, lo immerge nuovamente nella meditazione e nel sogno. E la piccola voce richiama al pensiero dell’uomo seduto e contemplante il suono della vita presente e il rumore, già spento, delle generazioni passate. Che è quella vita? che furono quelle generazioni? Non altro che brevi soffi di vento dileguatisi negli spazi infiniti. L’ultimo verso, con prevalenza di vocali aperte e con una quasi rima al mezzo, dà l’impressione di uno scendere lento, continuo, dentro l’immobile massa liquida, giù giù, verso un fondo che non sarà mai toccato.

 

L’INFINITO

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.

Giacomo Leopardi

2 commenti
  1. Tra le liriche leopardiane e non , L’infinito davvero rappresenta la punta più alta! Tutto si compone un un ‘ armoniosa sinfonia di toni e suoni e , a darle forma , sono solo le parole che si snodano come perle splendenti , una dopo l’altra fino a quando anche noi lettori ci smarriamo dolcemente in quel naufragio in cui prende forma la percezione , in un solo istante, la porzione più piccola del tempo, dello spazio infinito che solo per un attimo può essere sentito ! E il più grande dei poeti é riuscito a fermarlo, questo istante,per regalarlo all’ umanità…per sempre !

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