Cinque poesie inedite di Sara Recalcati, lettura di Roberto Taioli

ventoSara Recalcati è una giovane poetessa lombarda che intende la poesia non come esercizio di scrittura e sperimentazione di nuove forme di linguaggio, ma prevalentemente come confessione nel senso laico usato da Marìa Zambrano di un affidarsi alla parola perché conduca a capire e disigillare il Secretum, come avrebbe scritto Petrarca, in un intenso, sofferto e rigoroso colloquio con se stressi. Un lavoro di scavo periglioso nel quale non si posseggono riferimenti certi se non la propria nudità, la spoliazione di se stessi. Il nudo, il vuoto che vanno rivestititi. Il mondo poetico di Sara Recalcati non appare quindi subito evidente, perché preferisce le nuances, le sfumature, i rinvii, alle nette dichiarazioni che sono invece il sostrato del reale, l’abitudinario in cui ci si imbatte e che non si può schivare. La sua poesia svela quindi un lato inquietante (nel senso che smuove ciò che è fermo, fisso) operando in noi una metanoia, una trasformazione. Sara Recalcati ci obbliga con i suoi versi a fuoruscire da noi stessi, a vestirci dei suoi simboli e a seguirla nel suo viaggio. L’accompagnano in questa sua geografia dell’animo, ove tocca tutti i porti del cuore: la desolazione, l’attesa, l’inutilità, la speranza, il tempo, sporgenze acute dalle quali dipendiamo, ma anche la forza e l’energia titanica come emerge nell’ultima terzina di Vento d’Irlanda, forse la sua poesia più potente, ove l’elemento fisico è cosi ben trasfuso in una forza levatrice ed invocatrice. Ma anche altre immagini in altri versi ci insediano in un territorio tendenzialmente metafisico e surreale. In L’orchestra della notte, l’ immagine paradossalmente carnale dei musicanti che attendono il sorgere della luna in una landa terrena, dove l’accordo e il disaccordo dei rumori si fa orchestra, composizione, luce sfocata, ordine, sottrae quella sofferta attesa ad una lamentatio, diventando stupore sottile C’è una attesa e uno stupore che si raggrumano attorno al cuore delle parole in fuga dallo zainetto come atomi di libertà. Si potrebbe parlare di un rinnovato stilnovismo, ma senza la figura della donna angelo che polarizza il discorso, ma di uno stilnovismo che attinge ad un’idea di purezza, di candore, di stupore. Questo candore tende ed aspira ad un ordine che diventa anche formale, nei gioco reiterato dei rimandi dei versi e di uno scrittura iconografica che incolonna le parole lavorando negli spazi tra verso e verso, come se ci fosse un non detto, segno questo di una armonia interiore cui l’autrice aspira. Questa compostezza del dire, questa architettura dei versi non è un lusus, semmai una ricerca di ordinare il confuso mondo del reale in una compagine di senso che ancora sembra sfuggire.

Roberto Taioli

 

L’orchestra della notte

Luci e rumori che il giorno assembla,
il vento disperde nella notte nascente.
Assistono al debutto della luna
quei musicanti che dal suolo
ne attendono, piccoli, l’arrivo.
Sui loro corpi lucidi di vita
quel bagliore che urgendo
li richiama all’ascolto.
S’apprestano a vibrare,
rospi e grilli, tra lucciole e zanzare.
E in accordo rispondono a quel chiarore
Come un’orchestra solenne del maestro
Trae rapita il suo vigore.
S’innalza lieve dapprima il canto
Col crescere della notte più forte e nitido.
Robusta è l’espressione
Potente e impreparata
che la vita innalza al cielo
Nella ricerca del suo stesso mistero.
E l’ombra scalza di un uomo solo
ebbra siede tra il vento e il suolo.
Il suo silenzio è in cammino
Come voce di quel coro
Che muta sale verso il cielo.
Dal suo zaino rotolano parole
In fogli d’inchiostro e fessure del cuore.
Un nuovo spartito s’accinge a scoprire
Con occhi vergini e pieni
Del velluto che la notte stende
Preparando l’alba a venire.

 

La danza degli scorpioni

Bisbiglia il suolo
In sussulti che i nostri piedi
aprono tra la polvere.

A danzar come scorpioni
In gesti misurati
tra luce e oscurità .

Lento è il tuo sguardo
A scivolarmi addosso
come un inchino.

I polsi al venti, i palmi alla rugiada
nel petto il tempo
a sgretolar coi nostri anni

Sulle labbra il sapore
di una parola mancata,
in attesa del suo destino.

La danza è iniziata
mio Re

*

Non sono capace di fregare il Silenzio
La sua voce copre la mia
e nel suo mare io perdo profondità.

In tempesta e controvento
un solo verso ho cercato
capace di tenermi a galla.

E via via navigando
ai pensieri che affioravano
ho affidato il mio sguardo,
il peso del mio corpo
in divenire tra i suoi flutti.

Ho creduto al calore di un ricordo,
ho trovato il gelo di un giorno morto.
Ed il respiro in affanno
la parola che tarda a venire
l’emozione inerte nel cuore.

Tutto tace
ed io non esisto.
Non mi stupisco
Non prego
Temo l’ombra di ciò che non vedo

*

Di quella luna negli occhi il riflesso,
argentea tra le nubi serali.
In quel porto che il cielo offre
e stellato divien faro per chi naviga nell’oscurità.
Parole di nutrimento
come scalzi viandanti siamo in cerca di questo.
di quel senso che al vento sopravviva
e la nostra vita conservi dentro al suo tempio.
Poche le certezze sul cammino,
rocce fragili, friabili all’incedere del destino.
E a sgretolar la nostra maschera di pietra
ugualmente a pensarci è la vita.
Scolpendo feroce bellezza
in parole come creta plasmate
nell’umana debolezza.
Volgo sì, a questo nutrimento i miei occhi,
a quel bagliore lassù che in argentei rintocchi
cadenza il tempo che ho d’essere.
D’amare e nascere
quaggiù, con un mio verso.
Così che sia per questo cielo,
per questa luna,
per il sol rumore che le nubi san fare
e contemplare il firmamento.

*

Vento d’Irlanda.
Negli occhi suoi sussurra il suo monito
di vita germogliata da poco
che scorre in parole, voci e musica
per strade, fiumi e case.

Una stretta di mano
mi sembra di essere nata quaggiù,
in questa terra dagli occhi chiari
e trasparenti , come le sue acque
nei rari e speciali giorni di cielo azzurro.

Siamo noi.
Noi e la magia giovane di questa terra
Vento d’Irlanda
nella mia mente sboccia la sua eco
di freschezza e innata poesia traboccante.

Una strada, quella da noi percorsa,
ancora umida di colori:
giovani in amore, contadini bestemmiare la fatica ,
sudori, strida di battaglia.
spade, odori,
viandanti andare chissà dove.

Siamo noi
e questa è la nostra danza.
La loro.

Quella di una vita che scivola
tra nuvole scure e sprazzi di sole.

Vento d’Irlanda
che scuote l’animo
e lo annega in una pioggia incessante.

Impudente e oltraggioso
sferza visi ,occhi, sorrisi.

Senza esperienza e coraggio
alla vita e dignità
su uno sfondo amaranto.
Questo del bel tempo
che rifugge la tempesta
all’alba dei secoli trascorsi.
Inesperti

Vento d’Irlanda ,
sorrido
al tuo ricordo lepricano.

Soffiami il tuo monito
di battaglia, di vita.
Vento d’Irlanda.

Sara Recalcati

 

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