In fondo alla notte
(a Sebastiano Vassalli)
Forse assomiglia al nulla la solitudine
il ritrarsi dell’animo in disparte
alla ricerca del silenzio e di immensi
spazi in cui potersi sprofondare
obliando il tarlo del tempo
al cospetto di ciò che sfugge alle parole.
Se sia mare o montagna non importa
il paesaggio è soltanto ciò che ospita
nel cammino che conduce all’erranza
lasciandoci il mondo oltre la porta
a gridare e sopraffarsi nel rumore.
I soli stanno soli e fanno luce
in attesa di approssimarsi alla soglia
liberi da chimere di ogni tipo
per giungere fino in fondo alla notte
che annulla la fine nell’inizio.
E ci ingoierà la pace come il ventre della notte.
Inizio
L’inizio è l’impresa più difficile
stretto tra il primo attimo che trema di luce
e l’ansia primordiale del non detto
come l’energia compressa dello scoppio
che consegnò il caos al proscenio della vita.
Poi il verbo espande le sue note, iniettando
intorno a sé l’aroma inconfondibile
che declina melodie irripetibili,
simile al vento mentre rincorre le onde
destinandole ad una fuga senza tempo.
Così il poeta alza lo sguardo dal foglio
una volta chiusa la demiurgica parentesi
che lo restituisce all’esilio consumato
da perfetto semidio decaduto, alla babele
impazzita di voci incomprensibili.
In attesa di nuove parentesi da aprire
per far da eco alla miriade infinita
di atomi sgorgati dalla fonte
avvolgente di barbara vita.
Lungo la spiaggia
Se la notte inghiottisse le parole
lungo la spiaggia che il tuo corpo accolse
alla nuda mercé del mondo
solo il silenzio potremmo opporre
allo sdegno della natura spettatrice
di uno strazio che ci inchioda all’istante
come se il tempo si fosse fermato
per guardare in faccia sgomento
un’umanità assuefatta alla morte.
Ma se di parole si nutrono i poeti
è per dirti quanto è svanita la gioia
per sempre da quell’arida spiaggia
orfana dei giochi dei bambini
che scrivo questi versi spalancati
piccolo Aylan
sull’abisso di un’epoca bastarda.
In attesa di una parola che accolga
l’imperfetta pietà di una carezza
o diradi la nebbia tremante
squarciata dalla luce dell’inizio.
Oppure che ci inghiottisca il silenzio
e che la notte ci giudichi al cospetto delle stelle
noi figli di una colpa innominabile
e di un’ignavia più fredda della tomba.
Sulla soglia del mondo
Il mondo scorre sul filo dell’acqua
mentre sbircio le vite degli altri
nella loro costante evoluzione
tra nuove unioni e figli generati
nelle finte pause di un’epoca barbara.
Con disincanto le osservo dal balcone
della mia dimora identica negli anni
scolpita dal vigore del silenzio
compagno di una fiera solitudine.
All’improvviso l’edizione straordinaria
di una Parigi incendiata di follia
sotto lo sguardo
di una storia che trama e gira a vuoto.
E affacciato sulla soglia del mondo
scrivo versi che graffiano la notte
di un secolo abortito troppo in fretta.
Altrimenti sarà notte
Diamo un senso a questa sera
tra cinema stipati e sguardi persi
nell’oceano di una notte consacrata
al credo imperante del non autentico.
Questo mi sussurrano le anime
dei bambini affogati nell’inerzia
di un’Europa cinica e buonista
ridotta al suo misero fantasma.
Le loro voci giungono lontane
attraverso il mare che rantola nel gorgo
in cui sprofonda carne da macello.
È per dare un senso a questa sera
che scrivo versi sull’orlo dell’abisso
affacciato su di un nero senza fondo
in ascolto di gente senza voce.
Solo così esorcizzo il maleficio
sperando che ci sia da qualche parte
una specie di Dio che prende appunti
altrimenti sarà davvero notte
notte su tutto ciò che avremo amato.
Espiazione
Tra poco il vulcano esploderà
è scritto nella storia senza fine
della nostra insensata ferocia.
Eterno il male, eterna l’espiazione
che anticipa il male stesso
che siamo destinati a subire
in un’unica immensa voce
dal sapore atroce dell’assenza.
Il declino si annuncia lento, nel fragore
del mare d’inverno, quando la pioggia
scivola sui nostri peccati, furtiva
e insieme tenace, come
Il pianto incalzante dei bambini.
Forse la salvezza è là, nel luogo
ancora da svelare, nell’innominabile
che viene prima di ogni cosa
e che su tutto veglia, consegnandoci
al battesimo dei nostri errori.
Attesa
Sei fuggita, poesia
svanita in una notte d’estate
quando gli uomini rincorrono i sogni
e sfidano l’immensità del mare
limpido nell’amplesso delle stelle.
Forse non è tempo di comporre
quando la vita manca di un concerto
e le note stridono nel buio
della nostra disperata solitudine.
Soltanto qua rinnovo la mia attesa
tra le capanne battute dal sole
e il vento che frusta la mia accidia
ostinata come questa notte infinita.
Prodigio di luce
La luce fugge inghiottita dal grigio
in un cielo che trema all’orizzonte
come i sogni di un secolo bugiardo.
Il mare incanutisce verso riva
in questa stagione prossima alla fine.
Si muore sempre con una maschera addosso
che invano tentiamo di calare
con un gesto estremo e l’ansia disperata
di naufraghi prossimi alla meta.
Amaro schermo è sottrarsi agli altri
alla visione che hanno di noi stessi
elevandoci a giudici supremi
del nostro io fluttuante tra le pieghe
di anni vissuti troppo in fretta.
Alla fine i conti non tornano
e solo il mare riparte l’indomani
nella sua immacolata trasparenza
nel suo aspro prodigio di luce.
Surrogato di amare
L’occhio scorre la pagina
ma altrove è la mente
da dentro sale l’uggia
e corrode nella calda sera.
Il libro aperto mi richiama al dovere
ma il tarlo bussa coriaceo
e interrogo il tuo sguardo lontano
per capire, per tentare di sapere.
Esposti a questo strano vento
di un ottobre malato, si levano
i tuoi capelli verso il cielo grigio
come storni impauriti
in cerca di una timida gioia.
Riempio il bianco della pagina
solo per sopravvivere, ma so
che stasera scrivere
può essere soltanto
il surrogato di amare.
Pagina bianca
Il cielo pesa come piombo
in questa sera d’angoscia sovrana
quando la terra reclama diritti
sconosciuti ai cuori degli uomini.
Le viscere restano in agguato
senza logica né pietà alcuna
scevra di sogni è la pallida luna
dietro una livida trincea.
Le parole escono a singhiozzo
come gocce di una stanca pioggia
che i tuoi occhi seguono distratti
persi in chissà quali pensieri.
Cerco la chiave per comprendere
ma stasera sono una pagina bianca:
la terra trema come le mie vene
e non lo so spiegare.
Stefano Colli
Stefano Colli nasce a Grosseto l’11-10-1970. Si laurea in filosofia all’Università di Siena il 24-2-1998 con 110/110 e lode con una tesi sulla fase mediana della Dottrina della Scienza di Fichte. È docente di ruolo di filosofia e storia al liceo scientifico di Grosseto. Scrive poesie dal 2005 e al momento, oltre ad alcune liriche inserite in varie antologie di altrettanti concorsi di poesia, ha conseguito i seguenti risultati: premio speciale della Giuria (4° posto ex aequo) al premio Penna d’autore 2006 di Torino (sez. silloge inedita); premio riservato ai poeti della provincia di Grosseto per il Dino Bavona di Montepescali, ed. 2007 e 2014; terzo posto al premio “G. Pascoli” 2011, sez. silloge inedita; 2° posto al premio di poesia Il Litorale 2013, sez. silloge inedita; menzione di merito al premio Lorenzo Montano 2015, sez. silloge inedita. Sue poesie figurano nei siti http://www.aphorism.it, Iris News, Pioggia obliqua e Patria letteratura. Stefano Colli ha pubblicato due romanzi: L’estate di Emma, uscito ai primi di Marzo 2013 con la casa editrice Europa Edizioni; Qualcosa di insolito, I Libri di Emil, Bologna 2014, che ha ottenuto il Premio speciale della giuria al concorso San Domenichino di Massa. Alla fine di novembre 2014 è uscita la prima raccolta di poesie con le Edizioni Tracce di Pescara, dal titolo Non lasciate che uccidano i poeti, segnalata al concorso Il Litorale 2015. Sono in attesa di pubblicazione un romanzo e una raccolta di poesie.