Ricevo per posta un involto, un grigio pomeriggio di novembre. Lo ricevo in un momento di fatica, per tale ragione, lo ricevo con maggiore gratitudine. Lo apro: si tratta di Ascendit – poema alpino di Roberto Taioli. L’essenza del poemetto, trecentosessantasette versi di ritmo, mistici ed incalzanti, è racchiusa in una parola: ascesi. In primo luogo, il poema può essere, infatti, ricondotto alla chiave di lettura della meditazione, del raccoglimento, della riflessione. Il progressivo distacco dal mondo terreno e l’avvicinamento alla dimensione trascendente sono due percorsi che si compenetrano a vicenda, disseminati di simboli cristologici.
Si smorza la luce
si fa ombra senza passi
ad un paese muto che muto visitasti
ombra della montagna
tra la vetta e la Croce.
I paesaggi descritti, al culmine della loro suggestione, divengono occasione dell’incontro con Dio, che si manifesta in ogni dettaglio circostante, scorcio o fruscio.
Che sia l’erba la tua pace e croce
quella dell’alta quota che contende
nei muschi vita alla pietra
e ghiaia e terra sugli sfasciumi eterni
ove tutto s’invola; ti sia lembo e misura
e guardaci dall’alto soffocàti
da un ritorno breve al tuo grembo.
L’ascesi si accompagna all’ascesa, intesa in senso fisico e spaziale. Le due dimensioni, quella psichica e quella fisica, sono inscindibilmente legate. Illuminante, in questo senso, l’omaggio a Thomas Mann, attraverso la citazione iniziale da La montagna incantata (Continuò la sua strada sempre più su, verso il cielo). Secondo un topos della letteratura di tutti i tempi, Taioli fa dell’altitudine il simbolo della ricerca spirituale.
Oh liquida presenza
umore intatto e sfatto
che affratelli e conforti
chi sale dalla piana.
E’ possibile individuare nelle vette descritte un luogo preciso. Si tratta della valle alpina d’Ayas, in Valle d’Aosta. Tale circostanza conferisce al poema la verità della confessione e del ricordo. Sulle Alpi, quanto più immediata risulta la contemplazione della creazione! Quanto più forte è la percezione (o forse la ricerca) di Dio nel silenzio, nell’immensità delle distese innevate, nello stormire del vento tra i rami, nel riflesso dei bacini lacustri (laghi che prima d’acqua/ stagnano nell’aria/ sospesi nell’età/ oltre tutte le morti e tutti i vivi)! Ma Ascendit rivela una terza lettura, in chiave autenticamente teologica. Il poema richiama alla mente l’Ascensione del Signore al cielo, ricorrenza liturgica successiva alla Pasqua, celebrata nei salmi e nei canti dei cori; valga in proposito la composizione seicentesca di Peter Philips di cui proponiamo l’ascolto: https://www.youtube.com/watch?v=tjU9GdGt3NI . Il poema si scioglie in una preghiera, sebbene sia possibile sostenere che esso costituisca in ogni sua parte un salmodiare diffuso:
Per omnia specula sidera et secula
Fonte che persisti, ruga della Terra, ampolla,
Tu che hai visto come il filo nella tela
In te si getta un fluire lento che nulla sciupa
Si fa caverna e ansa,
In quanti strati d’acque bisognerebbe vederti
Trattenere, cancellare e poi restituire
Al di sopra della terra in altra sostanza.
In principio si diceva del ritmo; ad essere sorprendente è la tenuta armonica per il tutto il componimento. Roberto Taioli affronta la sfida del componimento lungo, sfida che non tutti possono ingaggiare. E il felice esito di questo esperimento rivela l’interiorizzazione dei canoni estetici, che hanno strutturato la personalità e scandito la formazione dell’autore. Nulla d’avanguardia; il poema alpino lascia anzi trasparire un virtuosismo stilistico misurato, razionale e musicale, che ricorre a figure metriche e foniche, talvolta a un gioco di contrasti, come nell’incipit:
Si velano si svelano
dimmi se continua la vita
dove tutto finisce
se qualcosa s’accampa s’inerpica,
più alto del cielo
se gli alberi nel loro diradarsi
schiudono lo spazio occluso
il vuoto sempre aperto la bolla
di aria e di neve
(…)
il vento amico e nemico
l’acqua che sgorga al parto
e nulla chiede di sé
appare sgorga si infrange
smuove la terra sotto
fila nella sabbia acre
dove melma ed erba si contendono
il lembo della vita.
Il lessico attinge prevalentemente dal campo semantico naturale, con elementi di antropomorfismo (Il fiume rumina la notte; la notte che assembla i pini). Il linguaggio risulta tutt’altro che piano, sia per gli accostamenti, a volte osati e sorprendenti; sia perché è coronato da scelte auliche, così come del resto appare impenetrabile il mistero divino. I toni sono perfettamente confacenti alla solennità della celebrazione divina, presente nei cenni liturgici e nei latinismi. Taioli eguaglia così, in poesia, le vette raggiunte da Umberto Eco in prosa. Se la liturgia, in un certo senso, sottrae la poesia di Taioli al tempo presente, neppure lo relega nel passato. In un momento in cui appare difficile discorrere di religione e di religiosità, la spiritualità di Roberto Taioli si rivela nella sua essenza: inchiesta senza sosta sul mondo e sulla condizione umana (Calvario del mondo eretto intorno a noi/ ma non per meritarlo per cancellarci/ della colpa di essere piccoli e sparsi); una pietà travagliata, un colloquio ininterrotto con Dio:
T’accolgano le miriadi
le speridi che non tradiscono
la presa del piede e ti hanno
sede sicura al vento o all’errare che facesti.
In conclusione, l’explicit non può che coincidere con l’ultimo momento di preghiera della giornata:
Compieta.
Si è consumata
Qui ed ora tra i ponti del torrente
e l’ultimo stambecco svagato
ai bordi del villaggio
nutrito d’erba
selvaggio
come la tua preghiera…
Maria Grazia Trivigno