
Rainer Maria Rilke (1875-1926)
Tre poesie per un omaggio a Rainer Maria Rilke, considerato uno dei maggiori poeti di lingua tedesca del XX secolo e famoso soprattutto per le Elegie Duinesi (1923). La prima poesia Giorno d’autunno è tratta dalla raccolta Das Buch der Bilder (Il libro delle immagini) che, uscito nell’estate del 1902 con una seconda edizione del 1906 arricchita da alcune liriche del periodo dal 1902-1906, riunisce le poesie degli anni dal 1898 al 1901. Questa raccolta si colloca idealmente alla fine di quelle che possono essere definite le sue poesie giovanili e ne segna un notevole affinamento delle sue qualità poetiche. La lirica I,3 è tratta da Sonette an Orpheus (Sonetti a Orfeo), un ciclo dei cinquantacinque sonetti scritti da Rilke tra il 2 e il 23 febbraio 1922; qui il movimento, l’armonia, la musica trasformano la caducità del mondo ma nello stesso tempo assumono forma caduca anch’esse e subito svaniscono dopo aver tracciato una linea di grazia e bellezza. La terza lirica scelta è tratta da Spàte Gedichte (Poesie estreme) che, raccolte postume, esprimono limpida serenità delle liriche dell’ultimo periodo dove il poeta ha raggiunto il culmine della maturità poetica ben presto interrotta dalla morte per leucemia sopravvenuta in un sanatorio di Valmont presso Montreux, in Svizzera, dopo terribili sofferenze.
HERBSTTAG
Herr: es ist Zeit. Der Sommer war sehr gross.
Leg deinen Schatten auf die Sonnenuhren,
und auf den Fluren lass die Winde los.
Befiehl den letzten Früchten voll zu sein;
gib ihnen noch zwei südlichere Tage,
dränge sie zur Vollendung hin und jage
die letzte Süsse in den schweren Wein.
Wer jetzt kein Haus hat, baut sich keines mehr.
Wer jetzt allein ist, wird es lange bleiben,
wird wachen, lesen, lange Briefe schreiben
und wird in den Alleen hin und her
unruhig wandern, wenn die Blätter treiben.
GIORNO D’AUTUNNO
Signore: è tempo. Grande era l’arsura.
Deponi l’ombra sulle meridiane,
libera il vento sopra la pianura.
Fa’ che sia colmo ancora il frutto estremo;
concedi ancora un giorno di tepore,
che il frutto giunga a maturare,
e spremi nel grave vino l’ultimo sapore.
Chi non ha casa adesso, non l’avrà.
Chi è solo a lungo solo dovrà stare,
leggere nelle veglie, e lunghi fogli scrivere,
e incerto sulle vie tornare
dove nell’aria fluttuano le foglie.
I.3
Ein Gott vermags. Wie aber, sag mir, soll
ein Mann ihm folgen durch die schmale Leier?
Sein Sinn ist Zwiespalt. An der Kreuzung zweier
Herzwege steht kein Tempel für Apoll.
Gesang, wie du ihn lehrst, ist nicht Begehr,
nicht Werbung um ein endlich noch Erreichtes;
Gesang ist Dasein. Für den Gott ein Leichtes.
Wann aber sind wir? Und wann wendet er
an unser Sein die Erde und die Sterne?
Dies ists nicht, Jüngling, dass du liebst, wenn auch
die Stimme dann den Mund dir aufstösst, — lerne
vergessen, dass du aufsangst. Das verrinnt.
In Wahrheit singen ist ein andrer Hauch.
Ein Hauch um nichts. Ein Wehn im Gott. Ein Wind.
I,3
Un dio lo può. Ma un uomo, dimmi, come
potrà seguirlo sulla lira ìmpari?
Discorde è il senso. Apollo non ha altari
ali’incrociarsi di due vie del cuore.
Il canto che tu insegni non è brama,
non è speranza che conduci a segno.
Cantare è per te esistere. Un impegno
facile al dio. Ma noi, noi quando siamo?
Quando astri e terra il nostro essere tocca?
O giovane, non basta, se la bocca
anche ti trema di parole, ardire
nell’impeto d’amore. Ecco, si è spento.
In verità cantare è altro respiro.
E un soffio in nulla. Un calmo alito. Un vento.
* * *
An der sonngewohnten Strasse, in dem
hohlen halben Baumstamm, der seit lange
Trog ward, eine Oberfläche Wasser
in sich leis erneuernd, still ich meinen
Durst: des Wassers Heiterkeit und Herkunft
in mich nehmend durch die Handgelenke.
Trinken schiene mir zu viel, zu deutlich;
aber diese wartende Gebärde
holt mir helles Wasser ms Bewusstsein.
Also, kämst du, braucht ich, mich zu stillen,
nur ein leichtes Anruhn meiner Hände,
sei’s an deiner Schulter junge Rundung,
sei es an den Andrang deiner Brüste.
Sulla via assolata, dentro al vecchio
tronco cavo che da lungo tempo
serve a bere e piano in sé rinnova
uno specchio d’acqua, la mia sete
calmo: l’acqua limpida e il suo
flusso prendo in me nel cavo della mano.
Bere è troppo, è un atto che tradisce,
mentre questo gesto in cui m’indugio
porta un’acqua chiara alla coscienza.
E così potrebbe riposarmi
se tu fossi qui, posare piano
la mia mano sulla fresca curva
della spalla o al limite del seno.
Rainer Maria Rilke (traduzione di Giaime Pintor)
L’ha ribloggato su "LA MELA ROSSA DIMENTICATA" di Giorgina Busca Gernetti.