“I limoni” di Eugenio Montale, nota di Fabrizio Milanese, lettura di Nando Gazzolo

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Eugenio Montale (1896-1981). PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 1975

montale_ossiLa raccolta Ossi di seppia, pubblicata nel 1925, presenta da subito il carattere anomalo della poetica montaliana rispetto al quadro della lirica di quegli anni che vede già ben presenti Umberto Saba e Giuseppe Ungaretti. Altro fattore singolare è che la raccolta uscisse presso un editore, quale era Piero Gobetti, che non pubblicava lirica e che sarà il vero scopritore di Eugenio Montale. Il consiglio di pubblicare con Gobetti gli venne dall’amico Sergio Solmi al quale Montale dedicherà la sezione Meriggi (Meriggi e ombre dalla seconda edizione). La lirica “I limoni” apre Movimenti, la prima sezione della raccolta Ossi di seppia e si pone come opera programmatica e polemica, una sorta di manifesto poetico con cui Montale prende le distanze dalla poesia accademica della tradizione e dal suo linguaggio aulico e ricercato. Alla poesia raffinata e aulica dei “poeti laureati”, che hanno familiarità con piante “dai nomi poco usati”, Montale contrappone la propria poesia, dettata da una realtà più umile e quotidiana, che si trova a proprio agio nel parlare più comune, nel descrivere un paesaggio più povero e scabro, che vive di presenze consuete e concrete tanto da cogliere in questa realtà quotidiana l’improvvisa rivelazione del mistero dell’esistenza. In questa poesia si chiarisce da subito ed inequivocabilmente la contrapposizione di Montale rispetto i poeti dal linguaggio altisonante, dal lessico scelto o dai paesaggi classici e ricercati quali Carducci, Pascoli ma soprattutto D’Annunzio e la volontà del poeta di torcere il collo alla retorica e inoltrarsi in un territorio nuovo della poesia.

 

I LIMONI

Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.

Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo dei cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.

Eugenio Montale

2 commenti
  1. “le trombe d’oro della solarità” le ho sempre avvertite come un eccesso retorico biblico-mediterraneo: la sapiente lettura di Nando Gazzolo attenua di molto e forse risolve questa mia (errata?) impressione. Grazie di cuore a Fabrizio Milanese per la riproposta.

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