Sul mercato non ci sono testi così aggiornati, così, mi verrebbe da dire, completi, che diano una visione di ciò che è avvenuto in letteratura, in Italia, dagli inizi del Novecento. E la ragione è semplice: Anna Maria Vanalesti è entrata nei testi senza pregiudizi, senza il peso dei maestri della critica che l’hanno preceduta e che partivano con i paraocchi ideologici. Mario Fubini e Giacinto Spagnoletti invitavano a stabilire le scelte di una storia letteraria o di una antologia dopo avere sperimentato le pagine e non per difendere posizioni di potere, opere ispirate a tesi predisposte dai partiti politici. La Vanalesti non ha piegato il capo alla moda e ai richiami, come direbbe Elio Vittorini, per “suonare il piffero alla rivoluzione” e il risultato è evidente e lampante a chiunque si avvicini a questo prezioso libro che ha saputo discernere perfino nella marea ultima delle pubblicazioni con un rigore critico di rara sensibilità. Non era facile; il potere editoriale distorce e impone autori che spesso non valgono niente, che sono appena espressione di una casta dura a debellare, e avere il coraggio, è proprio il caso di sottolinearlo, di non tenere conto delle imposizioni ed essere libera di decidere quali sono gli autori del Novecento e del Duemila è stato un atto di lealtà suprema alla Poesia, alla Letteratura, alla Verità del cuore, dell’intelletto e della cultura. Il libro si apre con un “panorama storico” sintetico ma illuminante, in modo da non appesantire con teorie l’incontro con gli autori e con i testi e ogni argomento vive nella medesima maniera: chiaramente esposto, decisamente comprensibile e con giudizi che nascono dalla conoscenza diretta delle opere. In questo modo si delinea uno “sviluppo” che spesso non è proprio tale (e la Vanalesti registra anche questo) e così gli autori si stagliano nel loro tempo e nella loro essenza di attendibilità letteraria e poetica che sa andare oltre i confini del proprio tempo. A leggere i profili, uno per uno, è facile rendersi conto di come la Vanalesti abbia saputo entrare nella carne viva di molti autori comprendendone le tensioni, le accensioni e perfino le adesioni a ideali che sono stati il pane e il lievito di molti. Si noti che non ci sono accozzaglie di nomi e genericità; gli scrittori e i poeti, anche quando vagamente appartengono a un clima, a una scuola, a un progetto, non diventano mai gregge mansueto che segue l’onda dichiarata. Se fosse così sarebbe la fine della creatività. Ma questa coscienza non esiste in molti storici anche considerati espressione di scuole importanti. La Vanalesti ce l’ha in sommo grado e così noi possiamo godere di un “panorama” non organizzato secondo regole imposte dall’alto, ma secondo criteri di conoscenza e d’amore, fermo restando il rigore della valutazione e le implicazioni squisitamente letterarie ed estetiche. Molto utili gli schemi che di tanto in tanto appaiono nel libro a dare un’idea di alcune situazioni, per esempio la “Mappa del crepuscolarismo”, quella “Del Futurismo”, quella de “Le problematiche pirandelliane”, “Le tematiche di Quasimodo”, “La mappa del romanzo del primo Novecento”, “Il romanzo degli anni ‘60”, per citare qualche esempio. Sottolineo il capitolo XIII dedicato a Salvatore Quasimodo che la dice lunga sulla assoluta libertà di pensiero e di giudizio della Vanalesti. In giro si soffre un ostracismo ingiustificato e violentemente organizzato contro il poeta siciliano che sicuramente è uno dei maggiori del Novecento. Rancori non ancora sopiti o dimenticati portano a considerazioni funeste in letteratura. La Vanalesti invece va per la sua strada, applica la sua conoscenza e la sua esperienza, il suo gusto e la sua cultura e senza mai favorire il solo piacere o la propria inclinazione. Ecco la ragione per cui Lo specchio – Storia letteraria del ‘900 e del 2000 risulta un’opera seria, capace di informare e di indirizzare, di offrire un panorama non arruffato e caotico di ciò che è avvenuto per più di un secolo. Anche gli ultimi decenni sono trattati con discernimento e con equilibrio, senza sopraffazioni, imposizioni e intenti che a me piace chiamare “politici” o forse, come dice qualcuno, razzisti. Storia letteraria, dunque, che non annoia e non fa sbadigliare, che si legge come un bel romanzo affollato di personaggi vivi e convincenti.
Dante Maffia