Personalità di grande rilievo all’interno della Controriforma napoletana e romana fu Giovan Battista De Luca, che la Controriforma interpretò in tutte le sue varie istanze. Fu difensore della Chiesa; contemporaneamente, però, si batté per il rinnovamento morale di essa e per l’attuazione del messaggio evangelico. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che la vita ecclesiastica fu da lui abbracciata dopo un lungo periodo di esperienza civile, umana e culturale, quale grande avvocato, prima a Napoli e poi a Roma. Era nato a Venosa il 1614. Si laureò utroque iure a Napoli, nel 1635. A Napoli cominciò ad esercitare l’attività di avvocato. Nel 1645 si trasferiva a Roma, dove poté allacciare importanti relazioni con le più alte autorità politiche ed ecclesiastiche della città, compreso il Papa. Nel 1656 visse chiuso nel suo studio, riuscendo a sfuggire alla peste che imperversava su tutta l’Europa. Nella solitudine del suo ritiro cominciò a scrivere il Theatrum veritatis et iustitiae (“Specchio di verità e giustizia”), in 15 libri, che è l’opera sua fondamentale. In quegli anni entrò a far parte del cenacolo della regina Cristina di Svezia. Nel 1675 fu ordinato sacerdote, avendo ormai sessantuno anni. Nel 1681 il papa Innocenzo XI lo nominò cardinale. Nel 1683, il 5 febbraio, veniva a morte. Erano, quelli, anni difficili per la Chiesa, colpita in più parti da “eresie” protestanti. Giovan Battista De Luca intuì che la battaglia doveva passare attraverso la riforma dei costumi e, là dove fosse necessaria, attraverso la stessa riforma della dottrina. Coraggiosamente, e affrontando talora le opposizioni del Sant’Uffizio, si batté per abolire i privilegi dei pochi, che si ripercuotevano, inevitabilmente, sulle condizioni dei molti, poveri soprattutto. Voleva abolire le immunità degli ecclesiastici e punire gli abusi criminali degli stessi.
Chiedeva che, a ricoprire cariche ecclesiastiche, fossero chiamate persone degne, indipendentemente dal censo e dalla nobiltà. Per far fronte alle difficoltà economiche della Chiesa, infine, proponeva di snellire tutto l’apparato burocratico, a suo parere troppo costoso. Per primo volle, su questo programma, dare il buon esempio, lasciando tutti i suoi beni alla Chiesa di Venosa, <<amata patria>><, salvo l’usufrutto per le sorelle suore. Un lascito fece al monastero di San Benedetto del suo paese, ove alloggiavano 30 suore ed educande. Istituì, sempre a Venosa, un Monte di beneficenza “per maritaggi” di ragazze povere e per aiuto agli studenti bisognosi, che avessero voglia di proseguire gli studi presso l’Università di Napoli. Infine, istituì un Monte frumentario “per sollievo in ogn’anno a’ coloni, bracciali ed altre Persone”. Ma i suoi interessi si allargavano alla società nel senso più lato. Formatosi sui libri e sul pensiero del “suo” Orazio, che invitava alla semplicità, alla moderazione e alla aequitas, come Orazio legato a Venosa e alla sua gente, Giovan Battista De Luca, grande avvocato dei fori di Napoli e Roma, volle diventare “dottore volgare”, nel senso che la sua saggezza mise a disposizione dei semplici, battendosi per la difesa dei loro diritti. A tal fine, auspicò leggi scritte in volgare, perché “ciascuno, benche idiota, il qual’ habbia tal quale lume di ragione, possa havere almeno qualche barlume di quel che la legge disponga sopra i suoi interessi”. Come Manzoni, asseriva anche che leggi nette e chiare avrebbero impedito agli Azzeccagarbugli, tanto diffusi a Napoli quanto a Roma, di imbrogliare e opprimere. A rendere tali le leggi, ma anche i trattati di legge in tutta Italia, schierandosi contro l’Accademia della Crusca e contro tutta una tradizione letteraria aulica, così come aveva fatto anche Ascanio Persio da Matera, propose un volgare “italiano e non toscano”, non rifiutando termini stranieri e nemmeno termini regionali di nobile uso, sicché la lingua “sia la più polita che ivi corra, purche la pulizia non pregiudichi alla chiarezza e alla facilità”.Si trattava di posizioni coraggiose che confermavano come, proprio nel Seicento, e in coincidenza con l’impegno di evangelizzazione e propaganda assunto dalla Chiesa, per la prima volta, dopo Dante, la cultura italiana, anche nel Sud, tornava a rivolgersi al popolo con un nuovo linguaggio verbale, persino dialettale (vedi Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile), ma anche con il linguaggio del teatro di Serafino da Salandra, o della nuova musica di don Gesualdo da Venosa, o della nuova pittura degli Stabile di Potenza e Ferri da Tricarico, che raggiunsero, nel loro vagabondaggio artistico, anche i paesi più sperduti della regione, non senza contribuire alla loro elevazione culturale. Opere fondamentali di Giovan Battista De Luca furono il Theatrum veritatis et iustitiae (1669-73), Il dottor volgare (1673), Supplementum ad theatrum veritatis et iustitiae (1677), Il cavaliere e la dama, ovvero discorsi nell”ozio tusculano autunnale del 1675 (1675), Difesa della lingua italiana (1675) e Il giuoco dell’ombre (1681).
Giovanni Caserta